• Amministrazione e Controllo

    Sindaci vincolati a comunicare a Consob tutte le irregolarità: nessun poter discrezionale

    Con sentenza n 25336/2023 la Cassazione sancisce che i sindaci sono vincolati a comunicare alla Consob tutte le irregolarità riscontrate.

    In particolare, gli stessi vengono privati del potere discrezionale sulla rilevanza delle irregolarità riconosciuto in Corte di appello.

    Vediamo i dettagli del caso di specie.

    Il presidente e due sindaci erano stati sanzionati dalla CONSOB per non aver segnalato un possibile conflitto di interessi relativo alla sottoscrizione da parte dell'amministratore delegato di una spa di alcune obbligazioni senza che fosse segnalato nella relazione informativa trimestrale.

    I soggetti in questione proponevano ricorso in Corte di appello venendo accolti in quanto la corte riteneva che non vi fosse alcuna "omissione rilevante" poichè l'amministratore aveva comunicato il suo interesse all'acquisto nella prima riunione utile del consiglio e quindi erano state attivate le relative procedure interne.

    La CONSOB ha proposto ricorso in Cassazione che è stato accolto.

    Sentenza cassazione n 25336/2023: le violazioni secondo la CONSOB

    Con il primo motivo la CONSOB lamentava la violazione e falsa applicazione dell'art 150 del TUF, in combinato disposto con l'art 149 , comma 3, TUF in relazione all'art 360 comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte sovrapposto l'informazione che gli amministratori devono rendere ai sindaci ai sensi dell'art 150 TUF, relativamente alle «operazioni nelle quali essi abbiano un interesse per conto proprio o di terzi», con l'informazione relativa alla situazione diversa e successiva (l'acquisita titolarità del 100% del capitale sociale della società lussemburghese): l'omissione della prima comunicazione concerneva la mancata informativa sulla situazione di conflitto di interesse, laddove la comunicazione nella riunione del 17 marzo 2015 concerneva l'intervenuta assunzione della qualità di parte correlata; questa sovrapposizione sarebbe stata determinata da un'erronea interpretazione dell'art 150 comma 1, TUF come correlato ai doveri dei sindaci ex art. 149 comma 3.
    Con il secondo motivo, la ricorrente ha prospettato la violazione e falsa applicazione dell'art 149 comma 3, TUF, in relazione all'art 360 comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte ritenuto che non fosse ravvisabile alcuna incompletezza dell'informazione né condotta sanzionabile perché l'omessa comunicazione della qualità dell'amministratore al più avrebbe potuto integrare una «mera irregolarità».

    Secondo la Cassazione entrambi i motivi sono fondati.
    L'art 149 del D.Lgs. n. 58 del 1998 prevede, per quel che qui rileva, che il Collegio sindacale vigili sull'osservanza della legge e dell'atto costitutivo e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, comunicando senza indugio alla CONSOB le irregolarità riscontrate nell'attività di vigilanza; l'inosservanza di questi doveri informativi è sanzionata dal terzo comma dell'art. 193 dello stesso Testo unico.
    L'art 149 TUF rappresenta soltanto una specificazione dei poteri e doveri di controllo di cui i sindaci sono investiti ex art 2403 comma I c.c., per il cui esercizio e adempimento l'art 2403 bis c.c., prevede che essi possano in qualsiasi momento procedere, anche individualmente, ad atti di ispezione e di controllo (comma I), che possano chiedere agli amministratori notizie, anche con riferimento a società controllate, sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari e possano altresì scambiare informazioni con i corrispondenti organi delle società controllate in merito ai sistemi di amministrazione e controllo ed all'andamento generale dell'attività sociale (comma II).
    Secondo quanto riportato in sentenza, è stato contestato che il Collegio non ha comunicato a CONSOB che l'Amministratore delegato aveva proceduto, inforza delle deleghe conferitegli, a concludere la sottoscrizione di un prestito obbligazionario con una società di cui era amministratore un componente del Consiglio di amministrazione, ma non aveva riferito la circostanza nella relazione trimestrale informativa periodica.
    La Corte d'appello ha escluso la fondatezza della contestazione e la legittimità della sanzione affermando che fosse «di fatto irrilevante» la «mancata esplicitazione», rispetto alla conclusione dell'operazione di sottoscrizione del prestito da parte dell'Amministratore delegato, della posizione rivestita da un componente del consiglio di amministrazione nella società emittente, perché lo stesso componente aveva, nella riunione del Consiglio di amministrazione del 17 marzo 2015, fissata per la discussione dell'operazione, rappresentato di essere divenuto socio unico della emittente e, in conseguenza, «nessun interesse poteva essere riconducibile a un amministratore non esecutivo di una società che non gli fosse anche ascrivibile per il fatto di essere titolare al 100% delle azioni stesse e nessuna procedura ulteriore avrebbe dovuto essere attivata».

    La motivazione è erronea e fuorviante per più considerazioni.

    Sentenza cassazione n 25336/2023: i motivi della Cassazione

    Nella fattispecie secondo la Cassazione non si controverte delle conseguenze del conflitto di interesse quale parte correlata del singolo amministratore, ma degli obblighi di comunicazione del Collegio sindacale alla CONSOB.
    Secondo l'art 150 TUF, gli amministratori riferiscono tempestivamente, secondo le modalità stabilite dallo statuto e con periodicità almeno trimestrale, al collegio sindacale sull'attività svolta e sulle operazioni di maggior rilievo economico, finanziario e patrimoniale, effettuate dalla società o dalle società controllate; in particolare, riferiscono sulle operazioni nelle quali essi abbiano un interesse, per conto proprio o di terzi, o che siano influenzate dal soggetto che esercita l'attività di direzione e coordinamento.
    Nel caso di specie la sottoscrizione del prestito obbligazionario era stata segnalata come rilevante dall'Amministratore delegato, ma l'informazione non era stata evidentemente accurata e completa perché non aveva riferito della sussistenza di un potenziale conflitto di interesse all'operazione di un componente del C.d.a. in quanto amministratore pure dell'emittente.
    Il difetto di segnalazione del potenziale conflitto rappresentava una «irregolarità» dell'operazione, rilevante ex art 150 TUF e, perciò, da comunicare a CONSOB ex art 149 comma 3, TUF.
    La Corte d'appello non ha osservato questo principio laddove ha ritenuto di poter escludere l'antigiuridicità dell'omessa comunicazione a CONSOB, da parte del Collegio sindacale, della incompletezza della relazione informativa da parte dell'A.d., dando rilievo a circostanze di fatto estranee e sopravvenute.
    Il ricorso è perciò accolto.

  • Amministrazione e Controllo

    Compenso dell’amministratore: il silenzio non costituisce rinuncia

    L’ordinanza della Corte di Cassazione sezione civile numero 21172 del 23 luglio 2021 si occupa del diritto alla retribuzione da parte dell’amministratore di società e dell’eventualità che questo rinunci tacitamente al suo compenso.

    Come principio generale l’assunzione dell’incarico di amministratore di società, specie nella situazione in cui colui che l’assume sia estraneo alla compagine sociale, rappresenta una situazione idonea alla percezione del compenso.

    Considerando la natura dell’incarico assunto, dal quale scaturisce “un rapporto di tipo societario” che comporta “immedesimazione organica tra persona fisica ed ente”, la gratuità dell’incarico è possibile, ma ciò deve risultare da una apposita clausola statutaria, o da una delibera assembleare, perché, in mancanza di esplicita previsione, l’amministratore può legittimamente aspettarsi di essere retribuito.

    Ovviamente, osserva la Corte, il venir meno del compenso può anche discendere dalla rinuncia dell’amministratore, “in quanto il diritto è senz’altro disponibile”, ma bisognerà fare attenzione alle modalità con cui questa si realizza.

    Se la rinuncia espressa oltre che possibile è inequivocabile, oggetto d’attenzione dell’ordinanza in trattazione è l’eventualità che questa avvenga in modo tacito.

    La Corte afferma che l’amministratore può anche rinunciare tacitamente al suo compenso, ma tale intenzione deve “potersi desumere da un comportamento concludente del titolare che riveli in modo univoco la sua effettiva e definitiva volontà abdicativa”.

    Aggiungendo, per meglio inquadrare la questione, che “il silenzio o l’inerzia non possono essere interpretati quale manifestazione tacita della volontà di rinunciare al diritto di credito”, la questione si interpreta con il fatto che la rinuncia tacita è possibile, ma il comportamento dell’amministratore deve essere tale da riuscire a manifestare inequivocabilmente la sua volontà di rinunciare al credito.

    La mancata richiesta del pagamento da parte dell’amministratore eo la mancata corresponsione della retribuzione da parte della società, anche protratte per un lungo periodo di tempo, non sono sufficienti ad inquadrare la rinuncia da parte dell’amministratore.

    Così come, precisa la Corte, non può essere inquadrata in tutti quei casi che costituiscono mera inattività o semplice silenzio, in quanto a queste situazioni non può attribuirsi un significato negoziale.

    Per cui, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza numero 21172/2021, emana il seguente principio di diritto: “la rinuncia al compenso da parte dell'amministratore può trovare espressione in un comportamento concludente del titolare che riveli in modo univoco una sua volontà dismissiva del relativo diritto; a tal fine è pertanto necessario che l'atto abdicativo si desuma non dalla semplice mancata richiesta dell'emolumento, quali che ne siano le motivazioni, ma da circostanze esteriori che conferiscano un preciso significato negoziale al contegno tenuto”.

    In definitiva la Corte stabilisce la possibilità di una rinuncia tacita, nel caso in cui questa sia in grado di dimostrare una inequivocabile volontà, ma bisognerà tenere presente le difficoltà connaturate alla situazione di un silenzio inequivocabile, tali da rendere la fattispecie possibile ma residuale.