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Composizione negoziata e misure protettive: rilevante la condotta pregressa dell’impresa
Il Tribunale di Prato con l’ordinanza n. 1105 del 26 ottobre 2025 ha stabilito che le misure protettive del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza vanno revocate per la condotta pregressa della società in crisi la quale, nel decennio precedente alla presentazione dell’istanza di nomina dell’esperto indipendente, si è “autofinanziata” non versando l’Iva e le ritenute dovute all’Erario.
Vediamo ora i dettagli della causa.
Composizione negoziata: rilevante la condotta pregressa dell’impresa
La pronuncia in sintesi ha statuito che, nel caso in cui una società in crisi chieda, contestualmente all’istanza di nomina dell’esperto l’applicazione delle misure protettive del proprio patrimoni il giudice, in sede di udienza per la relativa conferma, valuta come dirimente l’indisponibilità dell’Amministrazione finanziaria a qualsiasi tipo di composizione negoziale, in ragione della pregressa condotta della società debitrice, rea di aver deliberatamente inadempiuto in maniera costante negli anni le proprie obbligazioni verso l’Erario, protraendo la continuità aziendale in situazione di sistematico dissesto finanziario.
Nel caso di specie una società trovatasi in una situazione di crisi, ritenendo ragionevole il risanamento della propria attività, ha depositato apposita istanza nella piattaforma telematica per la nomina di un esperto indipendente, ai fini dell’accesso a una procedura di composizione negoziata della crisi d’impresa, chiedendo contestualmente l’applicazione in proprio favore delle misure protettive del patrimonio.
Successivamente, a stessa società chiedeva la conferma di tali misure di protezione con conseguente udienza fissata dal giudice, nella quale ha partecipato, in veste di creditore, la direzione provinciale delle Entrate della provincia.
Nel proprio ricorso, la società ha proposto all’Erario un accordo transattivo (ex articolo 23, comma 2-bis, Ccii), con stralcio di interessi e sanzioni e soddisfacimento della sorte capitale, calendarizzata, con previsioni di pagamento tra il 65 e il 70% per ritenute/imposte e Iva.
In udienza, le stesse Entrate hanno evidenziato come il carico erariale si era formato nel corso del decennio 2015/2025 in maniera pressocché costante e “cadenzata”, concretizzandosi in larghissima parte nel mancato versamento “annuale” dell’Iva dovuta all’Amministrazione finanziaria.
Inoltre, veniva sottolineato il fatto che la società fosse rimasta in vita “autofinanziandosi” con il mancato riversamento dell’imposta sul valore aggiunto: contegno che non solo dimostrava un vulnus in materia di “meritevolezza” ma che induceva, altresì, l’ufficio a nutrire molti dubbi sulla sostenibilità del piano di risanamento (piano che, ovviamente, doveva necessariamente comportare una regolarità nel versamento delle imposte dovute all’Erario: regolarità che prima non c’era mai stata).
Il piano della società prevedeva la parziale dispersione della forza lavoro. A tal proposito l’ufficio ha evidenziato che questo punto del piano si poneva in contrasto con quella che appariva come una delle finalità principali perseguite dal legislatore, quando aveva pensato di riscrivere l’intero impianto normativo legato alle crisi d’impresa e quindi la salvaguardia dei lavoratori.
Con l’ordinanza in oggetto, viste tali circostanze ha revocato le misure protettive richieste dalla società, non ritenendo sussistenti i presupposti per la relativa conferma: in particolare, il giudice ha evidenziato come il vaglio della sussistenza della disponibilità dei soggetti interessati a intraprendere una trattativa per la composizione negoziale della crisi trovasse una risposta nella espressa indisponibilità dell’Amministrazione finanziaria, in quanto portatrice di un credito di un milione e 200.000 euro circa, su un indebitamento totale di un milione e 700.000mila euro circa.
Il Tribunale ha evendenziato che la presenza delle Entrate in undinze sia stato, “un elemento cardine e imprescindibile del progetto di risanamento presentato” il quale pone al centro l’intenzione di procedere a un accordo con l’Erario “non realizzabile stante la netta contrarietà manifestata da Agenzia delle Entrate Dir. Provv..”.
Infine veniva evidenziato come la situazione contabile aggiornata avesse fatto emergere risorse destinabili al soddisfacimento dei creditori nettamente inferiori a quelle preventivate
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Concordato preventivo: quando emettere nota variazione
Le Entrate con la Risposta a interpello n 234 del 9 settembre replicano a dubbi sul concordato preventivo, consecuzione tra procedure concorsuali, ed emissione nota di variazione ex art. 26 d.P.R. 633 del 1972
L'istanza è stata presentata dalla società Alfa, esercente attività di commercio di articoli sportivi creditrice commerciale nei confronti della società Beta, attiva nel settore della vendita al dettaglio, che per crisi di liquidità, è divenuta insolvente nei confronti dei propri fornitori.
La società ha provato ad accedere nell’anno 2020 a una procedura di concordato preventivo, che prima ammessa, è stata poi revocata.
Nel 2022, la società Beta ha proposto un nuovo ricorso per concordato preventivo in continuità aziendale, ottenendo l’omologa di un piano di riparto da adempiere entro la fine dell’anno 2027 con una generale falcidia dei crediti, compreso quello vantato dalla società Alfa.
La società creditrice Alfa ha presentato interpello all’Agenzia delle entrate per conoscere le corrette modalità per il recupero dell’Iva fatturata ma che, all’esito della procedura di concordato, verrà incassata soltanto parzialmente.L'istante ha domandato:
- se al caso prospettato debba applicarsi l’articolo 26 del decreto Iva (Dpr n. 633/1972) nella formulazione ante o post riforma del 2021 a opera del decreto "Sostegni-bis". Il legislatore ha introdotto nella norma i commi 3-bis e 10-bis che stabiliscono la possibilità per il cedente/prestatore di emettere una nota di credito dal momento in cui il cessionario/committente è assoggettato a una procedura concorsuale, ovverosia dal momento dell’apertura della procedura medesima.
- se il recupero dell’Iva possa avvenire all’esito del piano di riparto, quindi al momenti d’infruttuosità della procedura concorsuale, poiché al verificarsi di tale condizione vi è la “ragionevole certezza” dell’incapienza del patrimonio del debitore.
Concordato preventivo: quando emettere nota variazione
La replica dell'agenzia ai due quesiti ha specificato quanto segue:
- ha escluso il ricorrere di un’ipotesi di una “consecuzione” tra le due procedure concorsuali. Nella specie, la prima procedura di concordato aperta nel 2020 non è “confluita” nella seconda aperta nel 2022, ancorché in presenza di un originario stato di insolvenza. Tanto perché, in accordo con la giurisprudenza di legittimità, la “consecuzione” prescinde dalla semplice successione cronologica, ma richiede una “unicità della causa”. Riscontrata, quindi, l’autonomia tra le due procedure, per l’Agenzia bisogna fare riferimento alla data di avvio del secondo concordato preventivo. Per questo motivo, pertanto, la norma di riferimento è l’articolo 26 Dpr n. 633/1972 nella sua nuova formulazione;
- l’Agenzia ha richiamato un precedente documento di prassi (lcircolare n. 20/E del 2021), precisando che, laddove il cedente scelga di insinuarsi al passivo e di non emettere la nota di credito al momento dell’apertura della procedura concorsuale (ai sensi dell’articolo 26, comma 3-bis del Dpr n. 633/1972), e la procedura si riveli infruttuosa, il cedente ha la possibilità di avvalersi di quanto disposto dal comma 2 dello stesso articolo 26 del decreto Iva. Può insomma attendere la definitività del piano di riparto infruttuoso che attesta il mancato definitivo pagamento del corrispettivo ed emettere la nota di variazione con detrazione dell’imposta.
L’Agenzia, condividendo la soluzione proposta dalla Società, ha chiarito che nel caso in concreto non rileva il principio della consecuzione tra le procedure concorsuali; che va applicato l’articolo 26 del Dpr Iva, come novellato dal decreto "Sostegni-bis" e che l’istante può attendere la conclusione della procedura di concordato ed emettere nota di variazione in diminuzione in caso di esito infruttuoso della stessa.
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Composizione negoziata: gli incarichi validi per iscriversi all’Elenco esperti
Con il pronto ordini n 66 del 15 luglio il Consiglio nazionale dei commercialisti ed esperti contabili ha chiarito alcuni aspetti della composizione negoziata relativamente alla validità degli incarichi precedentemente svolti.
Composizione negoziata: gli incarichi validi per iscriversi all’elenco esperti
Un Ordine provinciale chiedeva se, ai fini dell'iscrizione nell'elenco degli esperti nella composizione negoziata, istituto dall'art. 13 comma 3 CCII, possano essere considerati validi i seguenti incarichi di:
- commissario giudiziale nominato nelle procedure di concordato minore in continuità, ai sensi dell'art. 78 comma 2-bis, lett. b) CCII;
- advisor nominato per la redazione della proposta di accordo ai sensi degli artt. 8 e ss. della L. 3/2012, relativamente alla ristrutturazione dell'impresa agricola.
Con riferimento al primo quesito, in considerazione di quanto precisato nelle Linee di indirizzo agli Ordini professionali, diffuse dal Ministero della giustizia con circolare del 29 dicembre 2021, che includono tra le prestazioni professionali e gli incarichi indicativi delle esperienze nella ristrutturazione aziendale e nella
crisi di impresa quello di commissario giudiziale e viste le specifiche indicazioni contenute nell’art. 74, comma 2-bis, CCII, nonché quanto previsto dall’art. 74, comma 4, CCII, che connota il concordato minore come istituto strettamente affine al concordato preventivo, può fornirsi risposta positiva.
Incarico di ADVISOR
Con riferimento al secondo quesito, non può essere fornita risposta positiva.
Al riguardo, si rammenta che, stando alle richiamate Linee di indirizzo del Ministero della giustizia, diffuse con circolare del 29 dicembre 2021, per quanto attiene alle prestazioni di advisor, sono valutabili unicamente quelle relative a incarichi relativi a istituti disciplinati nella previgente legge fallimentare – e non anche disciplinati nella previgente legge n. 3/2012 – e, segnatamente, finalizzati alla predisposizione e alla presentazione di piani di risanamento attestati, di piani in accordi di ristrutturazione dei debiti, di convenzioni e/o accordi di moratoria con più creditori e infine di piani e proposte di concordati preventivi o fallimentari in continuità o misti.
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Crisi d’impresa e amministrazione straordinaria grandi imprese novità in arrivo
l Consiglio dei Ministri del 28 marzo, su proposta del Ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, ha approvato un disegno di legge, collegato alla legge di bilancio 2025, che delega il Governo alla riforma delle amministrazioni straordinarie e alla riforma della vigilanza sugli enti cooperativi e mutualistici.
Come evidenziato dallo stesso Governo le novità riguardano:
- a. Amministrazione straordinaria Gli elementi caratterizzanti riguardano la riforma organica della disciplina relativa all'amministrazione straordinaria delle imprese grandi o strategiche che versino in stato di insolvenza, attraverso:
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- il superamento dell'attuale stato di frammentazione normativa, mediante l'abrogazione del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, “Disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza” e del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, “Misure urgenti in materia di ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza”;
- l'ulteriore estensione del campo soggettivo di applicazione della procedura, con specifico riguardo alle imprese di carattere strategico (in continuità con quanto previsto dall'art. 4-bis del decreto-legge 18 gennaio 2024, n. 4, “Disposizioni urgenti in materia di amministrazione straordinaria delle imprese di carattere strategico”);
- l'immediata adozione, da parte del MIMIT, del provvedimento di apertura della procedura, previa istanza dell'impresa.
- b. Vigilanza sugli enti cooperativi e mutualistici Il Governo viene delegato ad intervenire, in via principale, sulla disciplina del decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220, e sulle disposizioni del codice civile. Gli elementi caratterizzanti la riforma di cui alla delega riguardano, in particolare:
- l'inclusione nell'attività revisionale di un costante monitoraggio sulla gestione, nonché sulla rendicontazione di sostenibilità;
- la riforma dell'Albo delle società cooperative, volta ad assicurare che tutti gli enti cooperativi siano iscritti in un unico pubblico registro nazionale accessibile gratuitamente e digitalmente;
- l'introduzione di una disciplina del procedimento sanzionatorio a carico del revisore cooperativo;
- l'integrazione della disciplina della Commissione centrale per le cooperative (organo consultivo del MIMIT).
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Concordato fallimentare con terzo assuntore: quale imposta di registro si applica
Con la Risoluzione n. 13 del 19 febbraio le Entrate hanno replicato a dubbi sul concordato fallimentare con terzo assuntore.
L'Ordine istante ha chiesto di chiarire la tassazione applicabile, ai fini dell'imposta di registro, al decreto di omologa del concordato fallimentare con intervento del terzo assuntore, disciplinato dall'articolo 124 del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 estensibile anche al concordato nella liquidazione giudiziale prevista dal decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (codice della crisi d'impresa), agli artt. 240-253.
Come ricordato dall'istante il concordato fallimentare «rappresenta una particolare modalità di chiusura del fallimento a mezzo della quale l'imprenditore fallito definisce i rapporti pregressi con il pagamento, anche parziale, dei creditori e ottiene la liberazione dei beni soggetti alla procedura fallimentare» e che «la proposta di concordato può essere presentata sia dal fallito (a determinate condizioni), da parte di uno o più creditori o da un terzo, e deve essere approvata dai creditori e poi omologata dal Tribunale».
A tale riguardo, l'Ordine precisa che la fattispecie oggetto di quesito concerne i decreti di omologa del concordato fallimentare con intervento di un terzo assuntore, procedura nella quale «quest'ultimo si obbliga a soddisfare i crediti concorsuali nella misura concordata, in base allo schema civilistico dell'accollo (art. 1273 c.c.), dietro la cessione delle attività fallimentari».Vediamo i chiarimenti ADE.
Concordato fallimentare con terzo assuntore: imposizione di registro
La problematica interpretativa riguarda la determinazione della base imponibile dell'imposta proporzionale di registro alle disposizioni negoziali contenute nel decreto di omologa del concordato fallimentare con terzo assuntore, disciplinato dagli articoli da 124 a 140 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 [cd. legge fallimentare (LF)].
Tale procedura si caratterizza per la duplice circostanza che l'assuntore, da un lato, si obbliga con i propri mezzi a soddisfare i creditori concorsuali nella misura concordata, in base allo schema civilistico dell'accollo, e dall'altro lato, acquisisce, di regola, per effetto della sentenza di omologa le attività fallimentari.
In particolare, nel concordato fallimentare con terzo assuntore è possibile distinguere due effetti:- uno obbligatorio, che si realizza con l'assunzione degli obblighi derivanti dal concordato da parte del terzo e si sostanzia in una sorta di accollo dei debiti dell'imprenditore fallito da parte dell'assuntore;
- uno traslativo, ossia il trasferimento all'assuntore del patrimonio fallimentare.
La Suprema Corte ha stabilito che «al decreto di omologa del concordato fallimentare, con intervento di terzo assuntore, va applicato il criterio di tassazione correlato all'art. 8, lett. a), della tariffa, parte prima, allegata al cit. d.P.R. n. 131 del 1986, con commisurazione dell'imposta di registro in misura proporzionale al valore dei beni e dei diritti
fallimentari trasferiti, tenuto conto che l'aliquota applicabile dipende dalle voci dell'attivo trasferito (cessioni di crediti, cessione di beni, trasferimento dell'attivo) – mentre il contestuale accollo dei debiti – collegato a detta cessione dei beni fallimentari – è escluso dalla tassazione ex art. 21 comma 3, cit. e dalla base imponibile»
La tesi della Corte muove dalla considerazione che gli effetti del concordato con assuntore derivano direttamente dalla legge, tale per cui non può essere paragonato ad un accordo negoziale siglato tra le parti.
In particolare, la Corte ha osservato che nel concordato fallimentare, gli obblighi di pagamento del terzo assuntore, «non possono intendersi alla stregua del prezzo dei beni ceduti (d.p.r. n. 131 del 1986, art. 43, c. 2) in quanto l'assunzione di detti debiti costituisce effetto legale naturale ed imprescindibile, del mezzo di liquidazione alternativo alla procedura fallimentare (mezzo che, come tale, rimane sottoposto al controllo degli organi fallimentari) e, tenuto conto che nella fattispecie in esame non siamo in presenza di un mero contratto con correlativi corrispettivi, per il quale vigono le diverse regole di cui alla citata disposizione. (…).
In altri termini, analizzando la disciplina fallimentare, si osserva come l'assunzione delle passività rappresenti un effetto fisiologico del concordato con terzo assuntore, in quanto disposta direttamente dalla legge e correlata anche all'interesse del terzo assuntore che, animato da intenti legittimamente speculativi, mira a conseguire, dal ricavato della vendita dei beni e dall'esperimento delle azioni, un quid, economicamente apprezzabile, rispetto ai debiti
che si è accollato»
Pertanto, secondo la Cassazione, alla fattispecie in esame deve trovare applicazione la disposizione di cui all'articolo 21, comma 3, del T.U.R., ai sensi del quale «non sono soggetti ad imposta gli accolli di debiti ed oneri collegati ad altre disposizioni (…)» e l'imposta di registro in misura proporzionale deve dunque essere applicata su una base imponibile corrispondente al valore dei beni e dei diritti fallimentari trasferiti.
Alla luce dell'indirizzo assunto dalla Suprema Corte, che viene recepito in questa sede, si devono ritenere superati i chiarimenti forniti sulla questione in esame dalla richiamata circolare n. 27/E del 2012.
In conclusione, il decreto di omologa di un concordato fallimentare con intervento del terzo assuntore disciplinato dall'articolo 124 e seguenti della Legge Fallimentare, deve essere ricondotto all'ambito applicativo del citato articolo 21, comma 3 del TUR, e quindi l'imposta proporzionale di registro troverà applicazione sui beni dell'attivo fallimentare, oggetto di trasferimento, identificato analiticamente nei singoli beni che lo compongono ed applicando per ciascuno di essi, in base alla relativa natura, l'imposta di registro prevista nella tariffa.
Le medesime conclusioni valgono anche per quanto concerne il trattamento dell'imposta di registro alla procedura di concordato nella liquidazione giudiziale, disciplinato dal nuovo Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza, agli articoli 240-253, in quanto tale istituto non presenta differenze sostanziali rispetto al previgente ''concordato fallimentare'.
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Notifica di cartella società fallita: risvolti sul Curatore
Per la Cassazione la notifica di una cartella di pagamento effettuata ad una società dichiarata fallita non viola il divieto di compiere azioni esecutive e cautelari sui beni compresi nel Fallimento.
Si tratta del principio espresso nella Ordinanza n 26989 del 16 ottobre scorso, vediamo il caso di specie.
La notifica alla società fallita, legittima la notifica anche al Curatore
Una Corte di giustizia tributaria di secondo grado rigettava l'appello principale proposto dall'Agenzia delle entrate e l'appello incidentale proposto da una Spa in liquidazione e in fallimento, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria provinciale che aveva accolto il ricorso dalla società contribuente avverso una cartella di pagamento per IRES.
La CTR respingeva l'appello principale dell'ADE e l'appello incidentale della Spa evidenziando che:
- 1) la notificazione della cartella di pagamento nei confronti della società fallita era illegittima in ragione della previsione dell'art. 51 L.Fall., ben potendo l'Agente della riscossione insinuare al passivo il proprio credito sulla base del semplice estratto di ruolo;
- 2) con riferimento alle censure proposte dalla società si rimandava integralmente alla sentenza di primo grado.
L'agenzia proponeva ricorso per Cassazione, affidato a due motivi.
Con il primo motivo di ricorso, l'ADE deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente deciso la controversia sulla base di una questione – la violazione dell'art. 51 della L.Fall– che non è mai stata tempestivamente proposta in primo grado.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in via subordinata, la violazione e falsa applicazione dell'art. 51 L.Fall., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto l'impossibilità di notificare agli organi del fallimento la cartella di pagamento.
La Cassazione ha ritenuto che il secondo motivo è fondato e assorbe l'esame del primo motivo.
La vicenda processuale è scaturita da un controllo manuale svolto ai sensi dell’articolo 36 –bis del testo unico in tema di accertamento delle imposte sui redditi, Dpr n. 600/1973.
Oggetto del controllo era una dichiarazione dei redditi, “Modello 770” presentato da una società.
Dal controllo è risultato che la società, pur avendo dichiarato come dovute determinate somme a titolo d’imposta, non le aveva poi versate.
Al fine di recuperare le somme dovute all’erario, l’ufficio territoriale dell’Agenzia delle entrate ha proceduto con l’iscrizione a ruolo.
Quando l’ufficio ha riscontrato il mancato pagamento delle imposte, la società era già stata dichiarata fallita, e si è proceduto con l’iscrizione a ruolo “straordinario”.
In proposito il terzo comma dell’articolo 11 del testo unico sulla riscossione, Dpr n. 602/1973, dispone che “I ruoli straordinari sono formati quando vi è fondato pericolo per la riscossione.”
L'ufficio si era avvalso di questa particolare procedura in quanto era già stata emessa la sentenza di fallimento della società debitrice delle imposte.
La società ha impugnato la cartella di pagamento principalmente per tre motivi e secondo i quali:
- la cartella non era stata preceduta dalla notifica di una comunicazione di irregolarità;
- non sussistevano gli estremi per l’iscrizione della società stessa nei ruoli straordinari;
- in presenza di una procedura concorsuale, non sia possibile notificare una cartella di pagamento.
Le osservazioni della società sono state accolte solo parzialmente, sia in primo grado che in sede di appello.
I giudici tributari hanno ritenuto che:
- in caso di controllo ex articolo 36-bis del Dpr n. 600/1973 non vi è l’obbligo di preventivo invio di una comunicazione di irregolarità, prima dell’iscrizione a ruolo delle somme dovute;
- la dichiarazione di fallimento già pronunciata è condizione sufficiente per l’utilizzo della procedura di urgenza dei ruoli straordinari;
- la cartella di pagamento è da annullare, in quanto emessa in violazione dell’articolo 51 della legge fallimentare (Rd. N. 267/1942), in base al quale “…dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento.”
In sede di giudizio per Cassazione, l’Agenzia delle entrate ha rilevato che l’attività di notifica di una cartella di pagamento non può essere assimilata all’esercizio di un’azione esecutiva.
La Corte di Cassazione, dopo aver ribadito che l’atto impositivo riguardante un credito tributario di natura concorsuale deve essere notificato sia al fallito che al curatore fallimentare, ha ritenuto legittimo l’operato dell’Amministrazione finanziaria, evidenziando che la notifica al curatore fallimentare è “…necessaria ove si voglia procedere alla successiva insinuazione al passivo del credito, onde consentire l’eventuale impugnazione nelle sedi competenti.”
La motivazione ha confermato che la cartella di pagamento non è un atto esecutivo, pertanto la sua notifica non viola il disposto del citato articolo 51 della legge fallimentare.
Pertanto è stato accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate nella parte in cui, i giudicidi merito, avevano ritenuto illegittima la notifica della cartella di pagamento agli organi del fallimento.
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Crisi d’impresa: il correttivo ter arriva alle Commissioni
Comincia l'iter di approvazione definitiva dello schema di Dlgs integrativo del Dlgs n 14/2019, correttivo ter delle regole per la Crisi d'Impresa, approvato in via preliminare dal CdM lo scorso 10 maggio.
Si evidenzia che il termine ultimo dei pareri delle Commissioni è il giorno 24 agosto.
Il correttivo del Codice della crisi e dell’insolvenza contiene numerose modifiche poste anche al fine di chiarire i dubbi interpretativi emersi in sede di applicazione del DLgs. 14/2019.
Vediamo alcune anticipazioni.
Correttivo ter Crisi d’impresa: le anticipazioni
Come specificato dal comunicato stampa dello stesso esecutivo, lo schema di decreto legislativo è composto di oltre 50 articoli, recante disposizioni integrative e correttive al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo n. 14/2019.
Si tratta del terzo correttivo apportato al Codice e si inserisce nel quadro degli impegni assunti col PNRR.
In particolare, lo schema di decreto legislativo approvato in prima lettura dal Consiglio provvede a correggere taluni difetti di coordinamento normativo emersi a seguito dei precedenti correttivi, a emendare alcuni errori materiali ed aggiornare i riferimenti normativi, nonché a fornire chiarimenti ad alcuni dubbi interpretativi emersi in sede di applicazione del codice.
Leggi: Revisore legale e obblighi segnalazione precrisi d'impresa per un approfondimento.
Il presidente del CNDCEC de Nuccio in una nota di ieri 10 giugno dichiarava:
“Decisamente apprezzabili le modifiche all’art. 25-octies in cui viene rivisto il meccanismo della segnalazione anticipata per l’emersione della crisi di impresa. In particolare, per quanto di più stretto interesse dei Commercialisti, il testo del decreto contiene la riformulazione, sollecitata da tempo dal Consiglio Nazionale, dell’art. 25-octies prevendendo l’attenuazione o anche l’esclusione della responsabilità per i sindaci che siano attivati tempestivamente con la segnalazione all’organo amministrativo, ma anche circoscrivendo in modo adeguato i termini e le condizioni per considerare tempestiva tale segnalazione: sessanta giorni dalla conoscenza effettiva (e non dalla teorica conoscibilità) delle condizioni di crisi. Un traguardo storico che si accompagna alla modifica dei presupposti della responsabilità dei sindaci prevista dall’art. 2407 approvata dalla Camera la settimana scorsa, ed è altresì di buon auspicio per quella che sarà la revisione dei reati fallimentari, in corso, per la quale il Consiglio Nazionale ha in più occasioni sollecitato di veder ripristinato il perimetro del “dolo eventuale” con la prova necessaria della intenzionalità”.
Inoltre viene anche specificato che tra le novità di rilievo vi sono:
- le modifiche approvate anche quelle all’art. 356 del Codice.
- la modifica alla composizione negoziata. Il Codice della crisi è stato integrato con una disposizione di nuovo conio recante la disciplina di accordi transattivi per i crediti tributari.
Su quest'ultimo tema sempre De Nuccio ha specificato che “Trattandosi di un accordo di natura privatistica che viene validato dal tribunale con i creditori pubblici si confida nella novità per favorire la diffusione della composizione negoziata e la riuscita delle trattative nei casi in cui l’indebitamento principale sia verso l’Erario"
Si attendono testi in bozza del provvedimento per ulteriori dettagli.
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Ristrutturazioni debiti: regole ADE per accordi presentati dal 1.02
Con Provvedimento n 21447 del 29 gennaio le Entrate pubblicano le regole per gli adempimenti in materia di transazione di cui all’art. 63 CCII nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti, a seguito di quanto previsto dal DL Anticipi.
Crisi d'impresa: regole ADE dal 1.02 per transazioni per ristrutturazioni debiti
In dettaglio, con il provvedimento in oggetto si prevede che:
- per le proposte di transazione fiscale aventi ad oggetto tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate, formulate nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 63 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII),
- l’adesione alla proposta, nei casi disciplinati dal successivo punto 2, è espressa con la sottoscrizione dell’atto negoziale da parte della competente Direzione provinciale o regionale, su parere conforme dell’Ufficio tutela del credito erariale e gestione delle crisi aziendali della Direzione centrale piccole e medie imprese.
La competenza a rendere il parere conforme riguarda le proposte di transazione fiscale che prevedono:
- una falcidia del debito originario, comprensivo dei relativi accessori, così come indicato nella proposta presentata dal debitore, superiore al 70 per cento e, contestualmente, all’importo di euro 30.000.000 (trenta milioni).
Le disposizioni di cui all’articolo 4-quinquies, commi 5 e 6, del decreto-legge 18 ottobre 2023, n. 145, come attuate dal presente provvedimento, si applicano alle proposte di transazione fiscale presentate agli uffici dell’Agenzia delle entrate a partire dal 1° febbraio 2024.
Il provvedimento è emanato in attuazione di quanto disposto dall’articolo 1-bis, comma 1, secondo periodo, del decreto-legge 13 giugno 2023, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 agosto 2023, n. 103 – come modificato dall’articolo 4-quinquies, comma 5, del decreto-legge 18 ottobre 2023, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 dicembre 2023, n. 191 – secondo cui «…nei casi in cui l’adesione alla proposta di transazione abbia ad oggetto tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate e preveda una falcidia del debito originario, comprensivo dei relativi accessori, superiore alla percentuale e all’importo definiti con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, il parere conforme di cui all’articolo 63, comma 2, terzo periodo, del codice di cui al decreto legislativo n. 14 del 2019 è espresso, per l’Agenzia delle entrate, dalla struttura centrale individuata con il medesimo provvedimento».
Il provvedimento individua dunque:
- la struttura centrale cui è devoluta la competenza ad esprimere il parere conforme di cui all’articolo 63, comma 2, terzo periodo, del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo n. 14 del 2019;
- la soglia percentuale ed in valore assoluto della falcidia del debito originario proposta, al di sopra della quale il predetto parere è espresso dalla struttura centrale individuata;
- la decorrenza delle nuove disposizioni
come sopra dettagliate.
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Plusvalenza da cessione di marchi: imponibilità IRAP nel concordato preventivo
Con la Risposta a interpello n 27 del 31 gennaio le Entrate replicano ad un istante che domandava chiarimenti in merito all'eventuale rilevanza ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) della plusvalenza realizzata a seguito della cessione di un marchio d'impresa nel caso di "procedura di concordato preventivo liquidatorio omologato nel 2020".
Secondo l'Agenzia la plusvalenza derivante dalla cessione del solo marchio d’impresa è imponibile ai fini IRAP secondo le regole ordinarie.
Vediamo il perché.
Plusvalenza da cessione marchi: imponibilità IRAP nel concordato preventivo
Nell’ambito della procedura di concordato preventivo, il liquidatore giudiziale ha ceduto un marchio detenuto in proprietà, realizzando una plusvalenza rispetto al valore iscritto nel libro dei beni ammortizzabili e nei conti sociali.
L'istante asserisce che la plusvalenza non rileva al fine del calcolo della base imponibile IRES, ai sensi dell'articolo 88, comma 5, del Tuir; ma chiede se concorra alla formazione della base imponibile ai fini IRAP.
L’Agenzia in prima istanza ha replicato inquadrando giuridicamente il concordato preventivo regolato attualmente dall’articolo 84 del Dlgs n. 14/2019 (“Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”), confermando che per la determinazione della base imponibile IRES, per espressa previsione legislativa, la cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non comporta il realizzo di eventuali plusvalenze o minusvalenze (articolo 86, comma 5, del Tuir).
Successivamente l'agenzia aggiunge che per quanto riguarda l’IRAP il principio generale, così come ridisegnato dalla legge finanziaria 2008, è quello della “presa diretta da bilancio” delle voci espressamente individuate e considerate rilevanti ai fini impositivi, senza il riconoscimento delle variazioni fiscali effettuate ai fini delle imposte sul reddito come avveniva in passato attraverso l’abrogato articolo 11bis del Decreto IRAP.
Attualmente, le modalità di calcolo del tributo sono più aderenti ai criteri adottati in sede di redazione del bilancio di esercizio.
Nel caso di specie essendo l’istante una società di capitali la base imponibile è determinata dalla differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alle lettere A) e B) dell'articolo 2425 del codice civile, con esclusione delle voci di cui ai numeri 9), 10), lettere c) e d), 12) e 13), nonché dei componenti positivi e negativi di natura straordinaria derivanti da trasferimenti di azienda o di rami di azienda, così come risultanti dal conto economico dell'esercizio.
L'Agenzia richiama la circolare n. 27/2009 che ha definito rilevanti ai fini Irap le plusvalenze e le minusvalenze emergenti in sede di realizzo dei beni strumentali, in coerenza con quanto avviene per la cessione di immobili patrimoniali, con la sola esclusione dalla base imponibile Irap delle plus o minusvalenze realizzate in sede di cessione d’azienda (in quanto ''operazione che genera sempre componenti straordinarie'').
Nello specifico ''non sarebbe coerente un sistema in cui assumono rilievo le plus/minusvalenze derivanti dalla cessione di immobili patrimoniali e non anche quelle derivanti dalla cessione dei beni strumentali che ordinariamente partecipano al processo produttivo. Né si può trascurare la circostanza che le componenti reddituali che si contabilizzano in sede di realizzo dei beni strumentali sono indirettamente collegate a costi che hanno concorso alla formazione della base imponibile IRAP nei periodi d'imposta precedenti, attraverso quote di ammortamento. Una interpretazione di tipo sistematico porta, in definitiva, a ritenere pienamente rilevanti le plusvalenze e le minusvalenze emergenti in sede di realizzo dei beni strumentali”.
In relazione specificamente ai marchi d’impresa, l'articolo 5, comma 3, ultimo periodo del decreto Irap riconosce espressamente la rilevanza ai fini del tributo regionale dei costi d’acquisto, stabilendo che '”sono comunque ammesse in deduzione quote di ammortamento del costo sostenuto per l'acquisizione di marchi d'impresa e a titolo di avviamento in misura non superiore a un diciottesimo del costo indipendentemente dall'imputazione al conto economico”.
Non essendo previste specifiche disposizioni per la determinazione del valore della produzione in relazione a operazioni realizzate in attuazione di un concordato preventivo, secondo l'agenzia trova applicazione l’ordinaria disciplina Irap, se i componenti reddituali siano correttamente classificati ai fini contabili nelle voci di conto economico rilevanti ai fini del tributo, tranne che nel caso già citato di operazioni di cessioni d’azienda.
In conclusione l’Agenzia ritiene che la plusvalenza realizzata a seguito della cessione del solo marchio d'impresa avvenuta nell'ambito di concordato preventivo assuma rilevanza ai fini Irap secondo le regole ordinarie (articoli 4 e 5 del Dlgs n. 446/1997), stante la sua classificazione contabile, anche per espresso riconoscimento della società istante, nella voce A.5) del conto economico.
Secondo l'agenzia in sintesi, occorre distinguere l’ambito IRES, per il quale l’articolo 86, comma 5, del Tuir stabilisce espressamente che la cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni.
Dal 2008 per l’Irap vale invece il principio della presa diretta dal bilancio, che sostituisce il meccanismo precedente per cui rilevavano ai fini Irap le variazioni fiscali effettuate ai fini delle imposte sul reddito, cosicché si è determinato lo sganciamento dell'IRAP dall’IRES.
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Beni da pignorare: operativo l’accesso ai dati per gli ufficiali giudiziari
Con un comunicato stampa del 3 ottobre il Ministero della giustizia informa del fatto che dal mese di ottobre è pienamente attiva e operativa la convenzione tra il Ministero della giustizia e l'Agenzia delle entrate che consente l'accesso autonomo degli ufficiali giudiziari alle banche dati ADE, utili ai fini della ricerca telematica di beni con titolo esecutivo da pignorare su richiesta di creditore o da sottoporre a procedura concorsuale da parte del curatore della liquidazione giudiziale.
La convenzione, siglata a giugno dal Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e dal Direttore dell'Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, introduce, infatti, la possibilità che siano i creditori a richiedere agli ufficiali giudiziari l'accesso alle banche dati telematiche.
Il Dipartimento per la Transizione digitale della giustizia ha completato il processo di connessione alle banche dati di Agenzia delle entrate da parte di tutti gli uffici NEP (Uffici Notificazioni, Esecuzioni e Protesti) che possono ora accedere direttamente e reperire agevolmente i dati sui beni da sottoporre a esecuzione forzata o a procedure concorsuali.
Gli ufficiali giudiziari possono ricercare i beni da sottoporre a esecuzione, nel rispetto della disciplina del codice della privacy, direttamente dalle banche dati interconnesse, all'interno dell'Anagrafe tributaria, comprensiva dell'archivio dei rapporti tributari, senza oneri aggiunti per la finanza pubblica.Le nuove procedure imprimono una notevole accelerazione nelle attività di indagine: le risposte sono fornite in pochi minuti agli ufficiali giudiziari rendendo agevole e fluido lo svolgimento delle attività e limitando sensibilmente l'impiego di risorse.
Ricordiamo che già con una nota del 21 agosto il Ministero della Giustizia informava del fatto che a partire dal 22 agosto 2023 è operativo con valore legale l’accesso diretto da parte dell’ufficiale giudiziario alle banche dati dell’Agenzia delle Entrate per le finalità di cui all'articolo 492-bis c.p.c., ossia per la ricerca, con modalità telematiche, dei beni da pignorare.Si specificava che si tratta dell’accesso diretto da parte dell’ufficiale giudiziario attraverso il Sistema di Interscambio flussi Dati (SID) alle seguenti banche dati:
- a) Dichiarazioni dei Redditi e Certificazione unica;
- b) atti del Registro;
- c) archivio dei Rapporti finanziari