• Determinazione del Reddito

    La deducibilità delle perdite su crediti prescritti

    L’Agenzia delle Entrate torna sui suoi passi con l’emanazione del Principio di diritto numero 16 del 29 dicembre 2021 in tema di deducibilità della perdita scaturente dalla prescrizione di un credito.

    Nel 2019, con la Risposta a interpello numero 197, ancora reperibile on line, l’Agenzia aveva cercato di porre un discutibile limite alla deducibilità delle perdite su crediti prescritti, possibile “sempre che l’inattività del creditore non abbia corrisposto ad una effettiva volontà liberale, la quale dovrà essere desunta dagli specifici fatti e circostanze pertinenti al caso di specie”.

    Questa posizione è oggi superata dall’emanazione del Principio di diritto numero 16 del 2021, con il quale l’Agenzia delle Entrate modifica la propria posizione, adattandosi all’opinione prevalente sulla questione.

    Come osservato dall’Agenzia, le regole che disciplinano la deducibilità delle perdite su crediti, anche in caso di prescrizione del titolo originario, sono concentrate nell’articolo 101 comma 5 del TUIR, il quale, come regola generale, stabilisce che le perdite su crediti sono deducibili quando risultano da elementi certi e precisi.

    Entrando nello specifico della fattispecie della perdita derivante da credito prescritto, il Legislatore tributario stabilisce due punti fondamentali:

    • che “gli elementi certi e precisi sussistono […] quando il diritto alla riscossione del credito è prescritto”;
    • che “gli elementi certi e precisi sussistono inoltre in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in applicazione dei principi contabili”.

    Il quadro normativo di riferimento si completa, nota l’Agenzia, con la limitazione assunta dal successivo comma 5-bis del medesimo articolo, a norma del quale le deduzione delle perdite su crediti di modesto importo scaduti da oltre sei mesi, o vantati verso debitori assoggettati a procedure concorsuali, non è più consentita se l’imputazione in bilancio “non avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui, secondo la corretta applicazione dei principi contabili, si sarebbe dovuto procedere alla cancellazione del credito”.

    Considerando tutto ciò, l’Agenzia delle Entrate giunge alla seguente conclusione: “in base alle modifiche apportate al comma 5-bis del citato articolo 101, sembra evincersi che l'avvenuta prescrizione del diritto di credito rappresenti il momento limite oltre il quale la deduzione della relativa perdita (su credito) non sia più possibile”.

    Riepilogando per maggiore chiarezza, l’articolo 101 comma 5 del TUIR stabilisce che una perdita su crediti è deducibile se rincorrono quegli elementi certi e precisi che dovrebbero essere necessari per la sua rilevazione, e questi sussistono (in relazione alla fattispecie qui esaminata) quando un credito è prescritto e quando il credito è cancellato dal bilancio in base ai principi contabili (il principio contabile di riferimento per questa situazione è l’OIC 15).

    Tuttavia, il comma 5-bis dell’articolo 101 del TUIR, seppur per assimilazione, stabilisce che il limite temporale per la deduzione di una siffatta perdita è costituito dall’esercizio in cui questa doveva essere rilevata in bilancio in ottemperanza alle disposizioni dei principi contabili.

    Quindi, in considerazione di ciò, secondo l’Agenzia delle Entrate:

    • poiché una perdita scaturente dalla prescrizione di un credito è deducibile sia per esplicita previsione sia perché la sua cancellazione dal bilancio è prevista dai principi contabili;
    • e dato che (per assimilazione della fattispecie) il limite temporale per operare la deduzione è costituito dall’esercizio in cui deve essere effettuata la cancellazione dal bilancio in base ai principi contabili;
    • allora l’Agenzia considera le perdite derivanti da crediti prescritti sicuramente deducibili, ma nell’anno fiscale in cui è avvenuta la prescrizione.

    La posizione adesso assunta dall’Agenzia, pur non rifacendosi al tenore letterale della norma, quantomeno in relazione al richiamo al comma 5-bis, presenta comunque delle linee di condivisibilità: assunto che la perdita scaturente dal credito prescritto si assume deducibile senza condizioni, si stabilisce però l’anno fiscale in cui questa lo è effettivamente, in considerazione del fatto che, in effetti, il momento temporale in cui operare una deduzione non può essere lasciato alla totale discrezione del contribuente.

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  • Determinazione del Reddito

    Restituzione somme già sottoposte a tassazione: le criticità interpretative

    Nell’ambito dei redditi da lavoro dipendente, in base alla lettera d-bis) del comma 1 dell’articolo 10 del TUIR, nel caso in cui il lavoratore restituisca al soggetto erogante una somma precedentemente indebitamente erogata ed assoggettata a tassazione, tale restituzione rappresenterà un onere deducibile per il lavoratore nell’anno fiscale di restituzione o nei successivi in caso d’incapienza.

    La norma non lo prescrive espressamente, ma il fatto che le somme restituite rappresentino un onere deducibile per il lavoratore, ha portato alla condivisibile determinazione di prassi che le somme dovessero essere restituite al lordo delle ritenute subite.

    Questo meccanismo spesso si scontra nella pratica contro la volontà del percettore di restituire delle somme non effettivamente percepite, le ritenute, e nella giurisprudenza contro un prevalente orientamento che mette in discussione la legittimità della pretesa della restituzione di somme mai entrate effettivamente nella sfera patrimoniale del percettore.

    Con l’articolo 150 del DL 34/2020, il cosiddetto decreto Rilancio, il legislatore è intervenuto sul problema aggiungendo il comma 2-bis all’articolo 10 del TUIR, per effetto del quale le medesime somme di cui alla lettera d-bis del comma 1, quelle precedentemente indebitamente erogate e assoggettate a tassazione, possono essere restituite al netto delle ritenute subite. In questo caso, per il lavoratore gli importi restituiti non rappresenteranno un onere deducibile, mentre al sostituto di imposta spetterà un credito di imposta del 30% delle somme ricevute, forfetariamente calcolato in base alle ritenute operate sul primo scaglione di reddito Irpef del 23%, utilizzabile in compensazione senza limite di importo per le restituzioni effettuate dal 1 gennaio 2020.

    Recentemente Assonime è intervenuta sull’argomento, a cui ha dedicato la circolare 13/2021, sulla quale mette in evidenza alcune criticità del disposto normativo; la principale e più sensibile si basa sulla constatazione che la norma, prevedendo un credito di imposta forfetario del 30%, non permette il recupero integrale, per il sostituto d’imposta, delle ritenute operate in caso di applicazione di un’aliquota superiore al 23%.

    Dato che il meccanismo di calcolo previsto, in un caso del genere, porterebbe ad un ingiustificato arricchimento dell’Erario, secondo Assonime dovrebbe ritenersi sempre possibile, per il sostituto, recuperare le ritenute effettivamente versate, ipotizzando la possibilità, per la parte che eccede la somma recuperabile tramite credito di imposta, di trasmettere una istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate.

    La soluzione proposta, per quanto condivisibile nei limiti delle considerazioni che vi sono alla base, non è però supportata né dal disposto normativo né dall’interpretazione di prassi.

    Per contro, si noterà che il disposto normativo che ha introdotto il comma 2-bis sull’articolo 10 del TUIR non ha però abrogato la lettera d-bis del comma 1 del medesimo articolo, che dispone l’alternativa modalità di restituzione al lordo delle ritenute; motivo per cui, può sembrare lecito ipotizzare che le due modalità di riversamento previste dal legislatore, al lordo e al netto delle ritenute, debbano essere considerate come delle alternative tra le quali il lavoratore e il sostituto d’imposta possano scegliere, con accordo tra le parti, potendo effettuare una valutazione di ordine pratico ma anche di convenienza fiscale.

    Da alcune risposte ad interpello, la prassi sembra orientata ad avvallare questa linea d’interpretazione e anche Assonime, nella medesima circolare prima citata, ammette che potrebbe rappresentare una adeguata soluzione fiscale al problema esposto.