• Reverse Charge

    Omissione del reverse charge: le sanzioni applicabili

    Il reverse charge è quel meccanismo di inversione contabile in base al quale il cedente o prestatore emette una fattura senza applicazione dell’IVA e spetta al cessionario o committente applicare l’imposta e liquidarla.

    Per il cessionario o committente ciò si configura nell’emissione di una autofattura o nell’integrazione della fattura emessa dal cedente o prestatore, a seconda dei casi, e nella doppia annotazione nel registro IVA degli acquisti e delle vendite.

    In conseguenza di tale meccanismo, eccezione fatta per i casi in cui l’IVA risulta indetraibile (per le caratteriste dell’operazione o per il pro-rata di detraibilità dell’impresa), di norma l’operazione, in termini di saldi IVA, risulta neutrale per il cessionario o committente.

    La recente ordinanza numero 27176 della Corte di Cassazione, pubblicata il 22 settembre 2023, illustra l’impianto sanzionatorio dell’omissione dell’applicazione del reverse charge, da parte del cedente o prestatore, una volta che questi abbia ricevuto una fattura senza applicazione dell’imposta.

    Violazione formale

    L’ordinanza 27176/2023 della Corte di Cassazione chiarisce la natura delle sanzioni che devono essere applicate al caso in cui il cedente o prestatore omette di mettere in atto il meccanismo del reverse charge; il che si configura nell’omessa emissione dell’autofattura o nell’omessa integrazione della fattura ricevuta e, in conseguenza di ciò, nella manca indicazione sui registri IVA delle vendite e degli acquisti.

    La Corte di Cassazione inizia col spiegare che “anche secondo la giurisprudenza unionale, in caso di inosservanza degli obblighi contabili nel sistema di reverse charge, pur spettando la detrazione dell’IVA, debbano essere comunque irrogate le sanzioni, potendo la violazione degli obblighi contabili generale una potenziale evasione di imposta, nell’ipotesi di detraibilità limitata”.

    Definita la necessita di irrogare sanzioni, bisognerà chiarire quali siano queste sanzioni da applicare, partendo dalla loro qualificazione.

    Infatti le sanzioni cambiano a seconda della natura delle violazioni, e queste “sono sostanziali se incidono sulla base imponibile o sull'imposta o sul versamento, sono formali se pregiudicano l'esercizio delle azioni di controllo, pur non incidendo sulla base imponibile, sull'imposta o sul versamento, e sono meramente formali se non influiscono sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento del tributo, né arrecano pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo”.

    In conseguenza del fatto che tramite il meccanismo del reverse charge l’operazione per il cedente o prestatore è, dal punto di vista dell’IVA, sostanzialmente neutra, “nessun pagamento è in concreto dovuto all'erario e, dunque, non si verifica, in linea di principio, alcun omesso versamento dell’imposta”.

    Quindi, potendosi escludere la qualificazione della fattispecie come violazione sostanziale, però secondo la Corte di Cassazione la fattispecie “non ha certamente natura meramente formale”. Quindi quella in esame costituisce una violazione formale, sempre che la violazione non abbia riflessi sulla base imponibile, in conseguenza di eventuali limitazioni alla detraibilità dell’operazione o in capo all’impresa.

    Spiega la Corte infatti che queste violazioni “ove non abbiano riflessi sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta o del versamento del tributo, configurano violazioni di carattere formale, poiché la normativa ha lo scopo di prevenire la violazione della procedura di inversione contabile, sì da evitare un pregiudizio all'esercizio delle attività di controllo, secondo una valutazione astratta e compiuta ex ante, anche quando l'inosservanza degli adempimenti non abbia in concreto inciso sui versamenti e sulla determinazione dell'imponibile”.

    Sanzioni

    Le sanzioni irrogabili sono quelle previste dall’articolo 6, comma 9 bis, del Decreto Legislativo 471/1997, nella sua forma attualmente in vigore dopo le modificazioni operate dal Decreto Legislativo 158/2015.

    L’articolo in questione prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 2.000 euro per il cessionario o committente che omette di porre in essere, in tutto o in parte, gli adempimenti connessi col meccanismo del reverse charge.

    Qualora l’operazione oggetto di inversione contabile non risulti neanche annotata nella contabilità tenuta ai fini delle imposte sui redditi, trova applicazione la sanzione proporzionale tra il 5% e il 10% dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro.

    Inoltre, nei casi in cui il mancato assolvimento del reverse charge comporti una indebita detrazione, come visto ad esempio in caso di pro-rata o di operazione non detraibile, la violazione assumerà una connotazione sostanziale e torneranno ad essere applicabili le ordinarie sanzioni in tema di dichiarazione infedele e di illegittima detrazione.

  • Reverse Charge

    Rivalsa in caso di errato reverse charge e IVA in pro-rata

    Con Risposta n 20 del 26 gennaio le Entrate chiariscono come recuperare l'IVA corrisposta a titolo di rivalsa in presenza di un pro–rata di indetraibilità (articolo 60, ultimo comma, del DPR n. 633 del 1972) nel caso di errata applicazione dell'inversione contabile. 

    Le Entrate chiariscono che, in  base a quanto disposto dall'articolo  60, ultimo  comma, del decreto IVA, una volta effettuato il pagamento dell'IVA addebitata in via di rivalsa dal prestatore ­tramite emissione di una fattura, ex articolo 26, comma 1, del decreto IVA, per ciascun periodo d'imposta oggetto di accertamento, nella quale richiamare ogni fattura oggetto di integrazione, l'istante potrà esercitare il diritto alla detrazione della medesima alle condizioni esistenti al momento di effettuazione delle originarie operazioni, ossia applicando all'IVA addebitata in rivalsa il pro-­rata di indetraibilità relativo a ciascun periodo d'imposta oggetto di accertamento (2015,  2016,  2017), e non anche la percentuale applicabile nel periodo d'imposta di corresponsione dell'IVA di rivalsa.

    Vediamo ulteriori dettagli dal caso di specie.

    Rivalsa in caso di errato reverse charge e IVA in pro-rata

    L'istante pone un  quesito in merito al recupero dell'IVA erroneamente versata nell'ambito di applicazione del meccanismo dell'inversione contabile. 

    Egli ha affidato ad un prestatore, i lavori di ristrutturazione, ampliamento e realizzazione di nuovi spazi all'interno dei propri edifici, effettuati nel corso degli anni 2015, 2016 e 2017.

    Nei confronti del prestatore e  per le annualità  suddette, a seguito di verifiche  fiscali, sono stati  emessi processi verbali  di constatazione, con i quali i verificatori hanno riscontrato come numerose prestazioni fossero state erroneamente fatturate in regime di inversione contabile nei confronti dell'istante in luogo dell'assoggettamento ad IVA secondo le regole ordinarie, ai sensi dell'articolo 21 del decreto IVA.

    Per i medesimi periodi d'imposta, sono stati notificati nel 2022 gli avvisi di accertamento con i quali, in sintesi, per ciascuna annualità: 

    • con riferimento agli interventi di ristrutturazione […] è stata irrogata la sola sanzione di cui all'articolo 6, comma 9­bis2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, senza recupero dell'IVA, 
    • mentre, con riferimento ai lavori di fornitura e posa in opera e agli oneri di discarica e consulenze tecniche, è stata recuperata anche l'IVA dovuta ai sensi dell'articolo 21 del decreto IVA; ­ 

    Il prestatore ha provveduto a versare l'IVA a debito accertata e, nel corso delle annualità oggetto di accertamento, ha integrato le fatture ricevute dal prestatore con l'IVA a debito, in applicazione del meccanismo dell'inversione contabile ai sensi dell'articolo 17, comma 6, lettera a­ter), del decreto IVA, annotandole sia nel registro acquisti di cui all'articolo 25 del decreto IVA, sia nel registro IVA vendite di cui all'articolo 23 che, essendo una  struttura  […],  la  cui  attività  consiste principalmente nell'erogazione di prestazioni […] esenti di cui all'articolo […] del decreto IVA e di altre operazioni imponibili, la stessa è soggetta all'applicazione del meccanismo del pro ­rata di cui all'articolo 19, comma 5, del predetto, sicché l'IVA relativa alle operazioni contestate è stata quasi completamente versata all'Erario. 

    Ciò posto, l'istante chiede come recuperare l'IVA che le sarà addebitata dal prestatore a titolo di rivalsa ai sensi dell'articolo 60, ultimo comma, del decreto IVA, e che la medesima ha già versato quasi completamente all'Erario 

    Le Entrate specificano che l'articolo 60, ultimo comma, del decreto IVA, finalizzato a ripristinare la neutralità dell'IVA in caso di accertamento o rettifica dell'imposta, stabilisce che «Il contribuente ha diritto di rivalersi dell'imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell'imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l'imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione».

    Come chiarito con  la  risoluzione  n.  75/E  del  14  settembre  2016,  la  citata disposizione, introdotta per  «garantire la conformità delle disposizioni interne ai principi di neutralità e di detrazione, previsti dalla normativa comunitaria in termini di caratteristiche immanenti all'intero sistema dell'IVA», consente al contribuente, che ha subito un accertamento ai fini IVA, di ri-addebitare a titolo di rivalsa al cessionario/ committente la maggiore imposta accertata e versata. 

    Essa prevede, inoltre, che l'esercizio del diritto a detrazione da parte del cessionario o committente sia subordinato, in deroga agli ordinari principi, all'avvenuto pagamento dell'IVA addebitatagli in via di rivalsa dal cedente o prestatore. 

    In tal modo è scongiurato l'ingiusto arricchimento che il cessionario o committente conseguirebbe se detraesse l'imposta senza provvedere al suo effettivo pagamento.

    La norma mira a ripristinare, anche nelle ipotesi di accertamento, la neutralità garantita dal meccanismo della rivalsa e dal diritto di detrazione consentendo il normale funzionamento dell'IVA, la quale deve, per sua natura, colpire i consumatori finali e non gli operatori economici.

    Tanto premesso le entrate chiariscono che, in  base  a  quando  disposto dal citato  articolo  60,  ultimo  comma,  del decreto IVA, infatti, una volta effettuato il pagamento dell'IVA addebitata in via di rivalsa dal prestatore ­ tramite emissione di una fattura, ex articolo 26, comma 1, del decreto IVA, per ciascun periodo d'imposta oggetto di accertamento, nella quale richiamare ogni fattura oggetto di integrazione , l'istante potrà esercitare il diritto alla detrazione della medesima alle condizioni esistenti al momento di effettuazione delle originarie operazioni, ossia applicando all'IVA addebitata in rivalsa il pro ­rata di indetraibilità relativo  a  ciascun  periodo  d'imposta  oggetto  di  accertamento  (2015,  2016,  2017), e non anche la percentuale applicabile nel periodo d'imposta di corresponsione dell'IVA di rivalsa.

    Non  è, altresì, consentito recuperare  in detrazione, direttamente  in  sede  di dichiarazione  annuale,  quanto  già  versato a seguito dell'errata  applicazione  del meccanismo  dell'inversione  contabile  poi ri-addebitato in rivalsa dal prestatore  in deroga alle disposizioni che limitano il diritto a detrazione in presenza di un pro-­rata di indetraibilità. 

    Al fine di garantire la neutralità dell'IVA, tuttavia, detto importo potrà essere chiesto a rimborso, ai sensi dell'articolo 30­ter, comma 1, del decreto IVA, secondo cui «Il soggetto passivo presenta la domanda di restituzione dell'imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione»

    Allegati:
  • Reverse Charge

    Oro da investimento: la forma non è requisito sostanziale

    L’articolo 10 comma 1 numero 11 del DRP 633/72, che recepisce gli articoli 344 e 346 della Direttiva 2006/112/CE, stabilisce che sono esenti dall’Imposta sul Valore Aggiunto le cessioni di oro da investimento (e dei titoli rappresentativi dello stesso).

    La successiva Legge 7/2000, all’articolo 1, definisce più chiaramente l’oro da investimento come “l'oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell'oro, ma comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli”.

    Quindi, la normativa italiana in tema di IVA, distingue tra:

    • oro da investimento: in regime di esenzione dall’IVA;
    • oro industriale: in regime di imponibilità con il meccanismo del reverse charge ex articolo 17 comma 5 del DPR 633/72.

    Secondo una lettura letterale della norma, per poter inquadrare la fattispecie di oro da investimento e poter, di conseguenza, godere del regime di esenzione dall’IVA, l’acquisto in oro deve rispettare, congiuntamente, tre requisiti:

    1. peso: superiore a 1 grammo;
    2. purezza: pari o superiore a 995 millesimi;
    3. forma: lingotti o placchette.

    Al venir meno di uno solo tre requisiti, l’oggetto in oro non può essere considerato oro da investimento ma oro industriale, con le relative conseguenze in termini di imposizione fiscale indiretta; ma, se il peso e la purezza sono requisiti sostanziali indiscutibili, lo stesso non si può dire per la forma: infatti, il Comitato IVA della Commissione Europea, con il White Paper numero 1000 del 19 ottobre 2020, ha precisato che il requisito della forma non è vincolante, aprendo le porte a una lettura estensiva della norma che permetta il regime di esenzione a prescindere dalla forma assunta.

    La prassi italiana non si è allineata alle indicazioni unionali, per cui non è raro che venga contestata la mancanza del requisito della forma. Proprio di questo si è occupata la sentenza numero 13742 del 18 maggio 2023 della Corte di Cassazione, secondo la quale “ va sottolineato che appaiono decisivi i requisiti relativi al peso e alla purezza più che alla forma”, in quanto “i servizi della Commissione Europea, su quesito di uno Stato membro, hanno suggerito (Working paper n. 1000 del 19 ottobre 2020) che – pur in assenza di puntuali linee-guida – potrebbero rientrare nel regime di esenzione anche le cessioni di oro con forme diverse dal lingotto o placchetta (ossia, in forma ovale o tonda o irregolare) purché siano rispettati i requisiti sostanziali della purezza e del peso, sempreché il bene sia accettato dal mercato di riferimento”; recependo così di fatto le indicazioni della Commissione Europea.

    Quindi, in definitiva, la Corte di Cassazione, apre la strada a una interpretazione estensiva della normativa; secondo questa i requisiti sostanziali di peso e purezza sarebbero determinanti in modo congiunto per l’accesso al beneficio dell’esenzione dall’IVA, a differenza di quello formale che può considerarsi accessorio e non determinante.

    In considerazione del fatto che la giurisprudenza di legittimità italiana giudica attendibili le indicazioni della Commissione Europea sul tema, è lecito attendersi un conseguente allineamento della prassi italiana.

  • Reverse Charge

    Reverse charge: dall’UE arriva la proroga al 2026

    E' stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della UE la Direttiva 2022/890 del Consiglio del 3 giugno 2022 recante modifica della direttiva 2006/112/CE.

    In particolare si dispone una proroga al 2026 del periodo di applicazione del meccanismo facoltativo di inversione contabile relativo:

    • alla cessione di determinati beni 
    • e alla prestazione di determinati servizi
    • a rischio di frodi 
    • e del meccanismo di reazione rapida contro le frodi in materia di IVA.

    In particolare, il Consiglio della Unione Europea ha deliberato che l’articolo 199 bis è così modificato: 

    a)al paragrafo 1, la frase introduttiva è sostituita dalla seguente: "Fino al 31 dicembre 2026 gli Stati membri possono stabilire che il debitore dell’imposta sia il soggetto passivo nei cui confronti sono effettuate le seguenti operazioni".

    Il Consiglio considerando quanto segue:

    • la frode fiscale in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA) provoca notevoli perdite di bilancio e incide sul funzionamento del mercato interno;
    • la direttiva 2006/112/CE del Consiglio consente agli Stati membri di avvalersi facoltativamente del meccanismo di inversione contabile per il pagamento dell’IVA su cessioni di beni e prestazioni di servizi predefinite che possono essere oggetto di frode, in particolare la frode intracomunitaria dell’operatore inadempiente (MTIC). Tale direttiva consente anche la misura speciale del meccanismo di reazione rapida che offre agli Stati membri, a talune condizioni rigorose, una procedura accelerata che consente l’introduzione del meccanismo di inversione contabile, ossia una risposta più adeguata ed efficace alle frodi improvvise e massicce. Il periodo di applicazione di entrambi i meccanismi scade il 30 giugno 2022;
    • la Commissione ha adottato due proposte legislative per introdurre il sistema definitivo dell’IVA, che mira a garantire una risposta globale alla frode MTIC. Tali proposte, che dovevano inizialmente entrare in vigore il 1 luglio 2022, sono tuttora in fase di negoziazione in sede di Consiglio e non si prevede che siano adottate né che entrino in vigore prima di tale data. Nella sua relazione dell’8 marzo 2018 concernente gli effetti degli articoli 199 bis e 199 ter della direttiva 2006/112/CE sulla lotta contro la frode la Commissione indica che in linea di principio gli Stati membri e i portatori di interessi ritengono che il meccanismo di inversione contabile sia un efficace strumento temporaneo per la lotta alle frodi in materia di IVA;
    • emerge pertanto che il meccanismo di inversione contabile e il meccanismo di reazione rapida si sono dimostrati utili come misure temporanee e mirate. La loro scadenza priverebbe gli Stati membri di strumenti efficienti di lotta contro la frode;

    ritiene opportuno pertanto modificare di conseguenza la direttiva 2006/112/CE, disponendo la proroga suddetta al 2026.

    Inoltre la stessa direttiva proroga fino a tutto il 2026 anche il meccanismo di reazione rapida (Quick Reaction Mechanism – QRM) contro le frodi in materia di IVA.

    Leggi anche Le ipotesi di applicazione del reverse charge