• Matrimonio, Unioni Civili e Convivenze di fatto

    Divorzio fittizio: attenzione alla prova dei post sul social

    La Cassazione con sentenza n 8259/2025 depositata il 28 febbraio scorso specifica che commenti e immagini postati su Facebook possono assumere valore confessorio e quindi rendere fittizio il divorzio. 

    Vediamo il caso di specie.

    Divorzio fittizio: attenzione ai post sul social che sono una prova

    Nel caso di specie marito e moglie erano imputati e poi condannati dal Tribunale di Torino in quanto dapprima promuovevano un procedimento di separazione personale continuando però a convivere more uxorio, prevedendo, tra le condizioni della separazione:

    • l'impegno del marito a trasferire alla moglie, la quota del 100% di un immobile, a titolo di contributo una tantum al mantenimento a favore della stessa e successivamente ricorrevano per ottenere la pronuncia dello scioglimento del matrimonio, in realtà continuando a convivere more uxorio;
    • l'intestazione di un'autovettura Porsche Cayenne alla madre dell'imputata, essendo l'autovettura in realtà di proprietà del genero;
    • la corresponsione da parte del marito di una somma in contanti nell'ambito della compravendita di un’altra autovettura, acquistata a nome della moglie.

    A quest'ultimo veniva notificato con avviso di accertamento, poco prima delle operazioni fraudolente, un debito verso l'erario di quasi 500.000 euro.

    La Procura rinveniva su Facebook una serie di elementi atti a comprovare la natura fraudolenta della separazione e del successivo divorzio, nonché degli atti dispositivi.

    Così, per dimostrare la persistenza della comunione di vita e di interessi (evidentemente incompatibili con l’intervenuto accordo di separazione), sono stati correttamente ritenuti particolarmente significativi sia un post pubblicato dal marito, con il quale, dopo aver definito "ex moglie" la persona ritratta in foto, ha precisato nei commenti che si trattasse ancora della sua compagna, sia quelli attestanti viaggi comuni a Parigi, a Venezia ed all’estero, nonché il costante mantenimento di comuni relazioni amicali e familiari.

    La Procura si era avvalsa anche di servizi di appostamento effettuati dalla Polizia Giudiziaria presso l'abitazione della moglie, nonché presso l'abitazione dove l'imputato aveva formalmente trasferito la sua residenza.

    Dagli appostamento era emerso che il marito frequentasse assiduamente, anche durante le ore notturne, la prima abitazione, formalmente di proprietà della (ex) moglie mentre quest'ultima non avesse mai dimorato nel secondo immobile.

    La Cassazione ha richiamato un costante orientamento giurisprudenziale per cui, “ai sensi dell'art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000, gli atti dispositivi compiuti dall'obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l'esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta allorquando siano connotati da elementi di artificio, inganno o menzogna tali da rappresentare ai terzi una riduzione del patrimonio non corrispondente al vero, così mettendo a repentaglio o, comunque, rendendo più difficoltosa, la procedura di riscossione coattiva”.

    Va ricordato che il Fisco può agire in sede civile con l’azione revocatoria o con l’azione di simulazione, azioni giudiziarie volte a rendere inefficace la separazione simulata.

    L'esperibilità dell’azione revocatoria nei confronti del trasferimento immobiliare operato in sede di separazione consensuale è costantemente riconosciuta dalla giurisprudenza, sul presupposto che l’accordo integra comunque un atto negoziale, frutto di libera determinazione dei coniugi, rispetto al quale il provvedimento di omologazione è mera condizione sospensiva di efficacia: l’azione va quindi a colpire non la separazione in sé, ma solamente la disposizione lesiva delle aspettative dei creditori, a nulla rilevando che essa sia considerata inscindibile rispetto al complesso delle altre condizioni dell’accordo di separazione.

    Con la sentenza n. 26127 del 7/10/2024 la Cassazione ha esteso la possibilità di ottenere la revoca dei trasferimenti patrimoniali pregiudizievoli anche a quelli contenuti in accordi assunti nell’ambito di una separazione giudiziale e recepiti nella sentenza che ne abbia definito il procedimento, a seguito della rassegnazione di conclusioni congiunte da parte dei coniugi, “anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza che lo ha recepito, spiegando quest’ultima efficacia meramente dichiarativa, come tale non incidente sulla natura di atto contrattuale privato del suddetto accordo”.

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    Convivente di fatto: incostituzionale la minore tutela nell’impresa familiare

    La Corte Costituzionale ha dichiarato con Sentenza 148 del 25 luglio l'incostituzionale del comma 3 dell'art 230 bis e dell'art 230 ter relativamente alla mancata inclusione del convivente di fatto.

    Vediamo i dettagli della pronuncia.

    Convivente di fatto: novità dalla Corte Costituzionale

    La Consulta sinteticamente si è espressa sottolineando che il convivente di fatto è un familiare ed è impresa familiare quella con cui collabora. 

    Questa è la sintesi della importante conclusione della Consulta in risposta ad una questione sollevata dalla Cassazione sul tema dei conviventi di fatto.

    Ricordiamo che per “conviventi di fatto”, secondo la definizione prevista dall'articolo 1, comma 36, di tale legge, si intendono “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale”.

    Il caso di specie veniva sollevato da una donna convivente di fatto di una soggetto deceduto, la quale aveva presentato ricorso in Cassazione vedendosi negare dai giudici di prima cure il diritto ad ottenere la liquidazione della sua quota come partecipante all'impresa, per il periodo in cui aveva lavorato nell'azienda agricola di famiglia.

    Il giudice di primo grado aveva respinto il ricorso della donna valutando che il convivente di fatto non poteva essere considerato familiare ai sensi dell'art. 230-bis, terzo comma, del Codice civile. Identicamente si era pronunciata la corte di appello.

    Da qui il ricorso proposto alla Suprema Corte, presso la quale la ricorrente evidenziava anche «la mancata considerazione delle mutate sensibilità sociali in materia di convivenza more uxorio, oltre che delle aperture della giurisprudenza sia di legittimità e sia costituzionale»

    La Consulta ha accolto le questioni della ricorrente rilevando che, in una società profondamente mutata, vi è stata una convergente evoluzione sia della normativa nazionale, sia della giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto.

    Comunque sono immutate le differenze di disciplina rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio.

    In questo caso però si tratta di diritti fondamentali, questi devono essere riconosciuti a tutti senza distinzioni come il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione.

    Tale diritto nel contesto di un'impresa familiare, richiede uguale tutela, versando anche il convivente di fatto, come il coniuge, nella stessa situazione in cui la prestazione lavorativa deve essere protetta.

    Nel rimandare alla consultazione della corposa sentenza e si evidenzia sinteticamente che la Corte Costituzionale ha praticamente dato ragione alla ricorrente e con la Sentenza n. 148/2024 in oggetto 24 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità del comma 3 dell'art 230 nella parte in cui non prevede:

    • come familiare, oltre al coniuge, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo, anche il convivente di fatto;
    • come impresa familiare quella cui collabora anche il convivente di fatto.

    Inoltre, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art 230 ter che riconosce al convivente di fatto una tutela significativamente più ridotta.

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    Assegno una tantum al coniuge tassato in Spagna: indeducibile in Italia

    Con le Sentenze n. 25383 del 29 agosto 2023, la Cassazione è intervenuta in merito all’interpretazione dell’art. 10 comma 1 lett. c) del TUIR, norma in base alla quale sono deducibili “gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria”.
    La Cassazione ha ritenuto indeducibile la somma versata da un coniuge alla proprio moglie, somma (che secondo l'accordo doveva essere pagata a rate) a seguito di un accordo di separazione firmato in Spagna, dove entrambi risiedevano all'atto della separazione, e poi dichiarato in Italia dal marito.

    Assegno divorzile tassato in Spagna: indeducibile in Italia

    Nel dettaglio, con sentenza del 19 maggio 2006 il Tribunale di Valencia (Spagna) dichiarò la separazione personale di due coniugi, allora entrambi residenti in Spagna, sulla base di un accordo approvato dal giudice spagnolo.
    La sentenza riconobbe alla moglie la somma una tantum di 1.000.000 di euro a titolo di "pension compensatoria" da versare ratealmente nel corso di sei anni sino all'estinzione del debito. Dopo la separazione, il ricorrente trasferì il proprio domicilio in Italia.
    Nel 2006 il ricorrente versò alla moglie una rata della "pension compensatoria", pari ad euro 50.000, che fu tassato in Spagna in capo alla percipiente, in quanto assimilato ad un reddito da lavoro dipendente.
    In sede di dichiarazione dei redditi del 2007, presentata in relazione al periodo d'imposta 2006, il ricorrente portò in deduzione dal reddito imponibile il suindicato importo.
    In esito ad un controllo formale ex art 36 ter del DPR n. 600 del 1973, l'Ufficio rilevò l'indebita deduzione ed iscrisse a ruolo le maggiori imposte dovute a titolo di Irpef, addizionali comunali e regionali, interessi e sanzioni, per un importo pari ad euro 31.137,87.
    Successivamente, l'agente della riscossione notificò al ricorrente la cartella di pagamento con la quale gli venne richiesto il detto importo oltre ai compensi di riscossione.
    Il ricorrente propose ricorso alla C.T.P. di Milano, invocando il principio di simmetria e la doppia imposizione economica.
    Il giudice di primo grado accolse le doglianze del contribuente.
    La C.T.R. della Lombardia riformò integralmente la sentenza di primo grado, accogliendo l'appello dell'Ufficio.
    Avverso la sentenza d'appello il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione, sulla base di cinque motivi tutti rigettati dalla corte.

    Assegno divorzile da accordo spagnolo: indeducibile in Italia

    La Cassazione valorizza il tenore letterale del dettato normativo (art. 10 comma 1. lett. c) del TUIR), il quale, ponendo esplicito riferimento agli assegni periodici, esclude la deducibilità degli assegni una tantum. 

    Inoltre, essendo i soggetti della transazione residenti in due Stati diversi, non potrebbe essere invocato il principio di simmetria volto a garantire la deducibilità delle somme che sono considerate imponibili in capo al percipiente, in quanto lo stesso non varrebbe nei rapporti tra due diversi ordinamenti.
    Ne consegue che, in mancanza di una specifica disposizione convenzionale in materia, si applica l’art. 10 comma 1, lett. c) del TUIR che esclude la deducibilità dell’assegno una tantum.

    Viene spiegato che che proprio il riferimento agli “assegni periodici” risultanti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, fa propendere per l’esclusione della deducibilità degli assegni una tantum.
    La sentenze in commento è in liena con la giurisprudenza prevalente, pur trattando altri aspetti internazionali della separazione dei due ex coniugi.