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Mantenimento: non spetta se non si dimostra la ricerca di lavoro
La Corte di Cassazione con la Ordinanza n 3354 del 10.02.2025 ha replicato ad un caso di sepazione con addebito specificando il perimetro dell'assegno di mantenimento.
Sinteticamente la Cassazione ha statuito che "in applicazione del consolidato orientamento della stessa Corte le doglianze della ricorrente sono inammissibili poiché la questione della rilevante disparità delle condizioni reddituali tra i coniugi è da ritenere preclusa dall'accertamento preliminare della mancata prova dell'adeguata ricerca di lavoro tanto più che emersa la mancata accettazione di un'offerta di lavoro e la mancata allegazione dei motivi del rifiuto".
Assegno di mantenimento: quando spetta e quando no
La Corte di Cassazione ha replicato ad un caso di separazione personale tra coniugi, con richiesta di addebito della separazione alla moglie e al conseguente rigetto della sua domanda di assegno di mantenimento.
Il caso è stato oggetto di due gradi di giudizio in cui, in primis era stato riconosciuto il mantenimento alla moglie, successivamente nell'appello le sorti sono state ribaltate con negazione del diritto all'assegno.
La moglie ha presentato ricorso per Cassazione, lamentando la violazione di norme civili e processuali, nonché un difetto di motivazione nella sentenza impugnata.
La difesa riteneva di evidenziare una grande disparità economica tra i coniugi.
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello.
Viene ribadito che il diritto all’assegno di mantenimento non può essere riconosciuto automaticamente, ma è subordinato alla dimostrazione dell’impossibilità oggettiva di procurarsi un reddito di sostentamento.
Secondo la Corte la ricorrente non ha dimostrato un’effettiva ricerca di lavoro e in aggravio della sua posizione aveva rifiutato un’offerta occupazionale senza fornire alcuna spiegazione adeguata.
Tale elemento è stato ritenuto determinante per escludere la possibilità di riconoscerle un assegno di mantenimento.
Vi è, come evidenzia la Cassazione, un consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui la disparità economica tra i coniugi non è sufficiente a giustificare il riconoscimento di un assegno di mantenimento.
È inoltre necessario che il coniuge richiedente dimostri non solo la propria difficoltà economica, ma anche l’impossibilità concreta di reperire un’occupazione adeguata.
Il rifiuto ingiustificato di una proposta lavorativa costituisce, secondo la Corte, un elemento ostativo alla concessione dell’assegno.
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Assegno una tantum al coniuge tassato in Spagna: indeducibile in Italia
Con le Sentenze n. 25383 del 29 agosto 2023, la Cassazione è intervenuta in merito all’interpretazione dell’art. 10 comma 1 lett. c) del TUIR, norma in base alla quale sono deducibili “gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria”.
La Cassazione ha ritenuto indeducibile la somma versata da un coniuge alla proprio moglie, somma (che secondo l'accordo doveva essere pagata a rate) a seguito di un accordo di separazione firmato in Spagna, dove entrambi risiedevano all'atto della separazione, e poi dichiarato in Italia dal marito.Assegno divorzile tassato in Spagna: indeducibile in Italia
Nel dettaglio, con sentenza del 19 maggio 2006 il Tribunale di Valencia (Spagna) dichiarò la separazione personale di due coniugi, allora entrambi residenti in Spagna, sulla base di un accordo approvato dal giudice spagnolo.
La sentenza riconobbe alla moglie la somma una tantum di 1.000.000 di euro a titolo di "pension compensatoria" da versare ratealmente nel corso di sei anni sino all'estinzione del debito. Dopo la separazione, il ricorrente trasferì il proprio domicilio in Italia.
Nel 2006 il ricorrente versò alla moglie una rata della "pension compensatoria", pari ad euro 50.000, che fu tassato in Spagna in capo alla percipiente, in quanto assimilato ad un reddito da lavoro dipendente.
In sede di dichiarazione dei redditi del 2007, presentata in relazione al periodo d'imposta 2006, il ricorrente portò in deduzione dal reddito imponibile il suindicato importo.
In esito ad un controllo formale ex art 36 ter del DPR n. 600 del 1973, l'Ufficio rilevò l'indebita deduzione ed iscrisse a ruolo le maggiori imposte dovute a titolo di Irpef, addizionali comunali e regionali, interessi e sanzioni, per un importo pari ad euro 31.137,87.
Successivamente, l'agente della riscossione notificò al ricorrente la cartella di pagamento con la quale gli venne richiesto il detto importo oltre ai compensi di riscossione.
Il ricorrente propose ricorso alla C.T.P. di Milano, invocando il principio di simmetria e la doppia imposizione economica.
Il giudice di primo grado accolse le doglianze del contribuente.
La C.T.R. della Lombardia riformò integralmente la sentenza di primo grado, accogliendo l'appello dell'Ufficio.
Avverso la sentenza d'appello il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione, sulla base di cinque motivi tutti rigettati dalla corte.Assegno divorzile da accordo spagnolo: indeducibile in Italia
La Cassazione valorizza il tenore letterale del dettato normativo (art. 10 comma 1. lett. c) del TUIR), il quale, ponendo esplicito riferimento agli assegni periodici, esclude la deducibilità degli assegni una tantum.
Inoltre, essendo i soggetti della transazione residenti in due Stati diversi, non potrebbe essere invocato il principio di simmetria volto a garantire la deducibilità delle somme che sono considerate imponibili in capo al percipiente, in quanto lo stesso non varrebbe nei rapporti tra due diversi ordinamenti.
Ne consegue che, in mancanza di una specifica disposizione convenzionale in materia, si applica l’art. 10 comma 1, lett. c) del TUIR che esclude la deducibilità dell’assegno una tantum.Viene spiegato che che proprio il riferimento agli “assegni periodici” risultanti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, fa propendere per l’esclusione della deducibilità degli assegni una tantum.
La sentenze in commento è in liena con la giurisprudenza prevalente, pur trattando altri aspetti internazionali della separazione dei due ex coniugi. -
Superbonus: spetta anche se abitazione principale “ci diventa” a fine lavori
Con Risposta a interpello n 377 del 10 luglio le Entrate replicano ad un quesito sul Superbonus e in particolare chiarendo il momento rilevante per la verifica del rispetto del requisito di destinazione ad ''abitazione principale'' di un'unità immobiliare unifamiliare oggetto di un intervento di demolizione e ricostruzione ( articolo 119 del decreto legge19 maggio 2020, n. 34).
L'Istante riferisce di aver acquistato, fruendo dell'agevolazione c.d. ''prima casa'', un immobile accatastato in categoria A/3 ma descritto come ''parzialmente crollato e in stato fatiscente, con tetti e solai completamenti crollati'', con ''solo parte delle pareti esterne'' e, pertanto, ''inagibile''.
Per rendere abitabile detto immobile, la proprietaria è intenzionata ad effettuare un intervento di demolizione e ricostruzione e di volersi avvalere, a tal fine, delle agevolazioni cd. Superbonus di cui all'articolo 119 del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 (decreto Rilancio).
A tal fine, l'Istante dichiara di soddisfare parzialmente le condizioni previste dalla normativa vigente per accedere al Superbonus in caso di interventi su immobili unifamiliari, in quanto risulta:
- essere titolare di diritto di proprietà sull'unità immobiliare;
- avere un reddito di riferimento, determinato ai sensi del comma 8bis.1 dell'articolo 119 del citato decreto Rilancio, non superiore a 15.000 euro,
- però, evidenzia di non aver ancora stabilito la propria residenza nello stesso e che ciò potrà avvenire solo al termine dei lavori di demolizione e ricostruzione.
Chiede, pertanto, se possa beneficiare del Superbonus qualora adibisca l'immobile a propria abitazione principale, stabilendovi anche la propria residenza, solo alla fine degli interventi previsti.
Le entrate replicano che nello specifico, l'articolo 9, comma 1, lettera a), numero 3), del citato decreto Aiuti quater ha modificato il comma 8 bis dell'articolo 119 del decreto Rilancio, introducendo il terzo periodo, ai sensi del quale per gli interventi avviati a partire dal 1° gennaio 2023 su unità immobiliari dalle persone fisiche al di fuori dell'esercizio di un'attività d'impresa, arti e professioni, il Superbonus spetta nella misura del 90 per cento delle spese sostenute entro il 31 dicembre 2023, a condizione che il contribuente sia titolare di diritto di proprietà o di diritto reale di godimento sull'unità immobiliare, che la stessa unità immobiliare sia adibita ad abitazione principale e che il contribuente abbia un ''reddito di riferimento'', determinato ai sensi del comma 8 bis.1 del medesimo articolo 119, non superiore a 15.000 euro.
Con la circolare n. 13/E del 2023 è stato, al riguardo, chiarito che la verifica del rispetto dei predetti requisiti costituisce una novità dell'attuale disciplina del Superbonus che riguarda soltanto gli interventi iniziati a partire dal 1° gennaio 2023.
In merito al requisito della destinazione dell'unità immobiliare ad abitazione principale, la circolare chiarisce che possa essere applicata la definizione del comma 3bis dell'articolo 10 del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR) di cui al decreto del presidente della repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, secondo cui «per abitazione principale si intende quella nella quale la persona fisica, che la possiede a titolo di proprietà o altro diritto reale, o i suoi familiari dimorano abitualmente. ».
Il medesimo documento di prassi ha, inoltre, chiarito che, qualora l'unità immobiliare non sia adibita ad abitazione principale all'inizio dei lavori, il Superbonus spetta per le spese sostenute per i predetti interventi a condizione che il medesimo immobile sia adibito ad abitazione principale al termine degli stessi.
La medesima circolare precisa, inoltre, che per «interventi avviati dal 1° gennaio 2023» (di seguito anche interventi iniziati) devono intendersi, in linea generale, gli interventi per i quali la comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) sia stata presentata a decorrere dalla predetta data e la cui data di inizio lavori, indicata nella medesima CILA, sia successiva al 31 dicembre 2022.
Possono rientrare, inoltre, nella nuova disciplina anche gli interventi per i quali la presentazione della CILA sia antecedente al 1° gennaio 2023, purché il contribuente dimostri che i lavori abbiano avuto inizio a decorrere dall'anno 2023, circostanza che può essere documentata dalla data di inizio lavori indicata nella CILA o anche mediante un'attestazione resa dal direttore dei lavori secondo le modalità dell'autocertificazione rilasciata ai sensi dell'articolo 47 del DPR n. 445 del 2000.
Ciò premesso, l'Istante, nel rispetto di ogni altra condizione e adempimento previsto dalla normativa di riferimento potrà fruire del Superbonus nella misura del 90 per cento delle spese sostenute dal 1° gennaio al 31 dicembre 2023, a condizione che l'immobile di proprietà oggetto degli interventi agevolabili sia adibito ad abitazione principale, nel senso sopra chiarito, al termine degli interventi medesimi.