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Contratti di locazione con penale: regole per l’imposta di registro
Con Risposta a interpello n 185 del 18 settembre le Entrate chiariscono l'applicazione dell'imposta di registro ad un contratto di locazione contenente disposizioni relative ad una clausola penale.
In sintesi, l'Agenzia conferma che, per contratti di locazione con clausola penale, l'imposta di registro deve essere applicata alla disposizione più onerosa, che nel caso di specie è il contratto di locazione.
Locazione con penale: come si applica l’imposta di registro
L'Istante intende locare un proprio immobile adibito a studio medico che «sarà locato ad un professionista, ancora da individuare, esercitante professione medica o sanitaria».
Fa presente che intende inserire nel contratto le seguenti clausole penali volontarie:
- a) Il mancato pagamento puntuale del canone e degli oneri accessori di cui al successivo paragrafo, costituisce motivo di risoluzione del presente contratto ed obbliga il conduttore alla corresponsione degli interessi di mora nella misura del tasso ufficiale di sconto maggiorato di cinque Punti;
- b) In caso di mancata riconsegna della cosa locata alla scadenza prevista in contratto o a quella di una sua eventuale rinnovazione, il conduttore, oltre al pagamento del corrispettivo, si obbliga al pagamento di una penale giornaliera pari ad un trentesimo del triplo dell'ultimo canone corrisposto salvo i maggiori danni.
Ciò premesso, il contribuente chiede se, in sede di registrazione del predetto contratto, si applichi, ai fini dell'imposta di registro, l'articolo 21, comma 2, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (TUR) ovvero la disciplina degli atti contenenti più disposizioni più onerosa.
Le Entrate ricordano innanzitutto che la clausola penale è disciplinata dagli articoli 1382 e seguenti del codice civile.
In particolare, il citato articolo 1382 del codice civile stabilisce che «La clausola, con cui si conviene che, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l'effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore. La penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno».
In base alla predetta disposizione normativa, la clausola penale ha la finalità di predeterminare il valore del risarcimento del danno in caso di ritardo o di inadempimento della prestazione dedotta nel contratto, esonerando il creditore dall'onere di provarne l'entità.
Ai fini fiscali, il pagamento che consegue, in caso di inadempimento, dalla clausola è escluso dalla base imponibile Iva, ai sensi dell'articolo 15, comma 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e assoggettato ad imposta di registro ai sensi dell'articolo 40 del TUR (c.d. principio di alternatività Iva/ Registro).
Con riferimento al trattamento ai fini dell'imposta di registro della clausola penale inserita in un contratto di locazione, ricompreso nell'ampia categoria generale dei contratti a prestazioni corrispettive, occorre considerare le previsioni dettate dall'articolo 21 del TUR («Atti che contengono più disposizioni»), secondo cui: «Se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse è soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto» (comma 1);
«Se le disposizioni contenute nell'atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l'imposta si applica come se l'atto contenesse la sola disposizione che dà luogo all'imposizione più onerosa» (comma 2).
Viene evidenziato che come da ultimo chiarito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 7 febbraio 2024, n. 3466, l'espressione ''disposizioni'', utilizzata dalla norma, deve essere intesa nel senso di ''disposizioni negoziali'', ognuna contraddistinta da una autonoma causa negoziale, e non di pattuizioni o clausole concernenti un unico negozio giuridico.
La Corte di Cassazione, con la citata sentenza nel pronunciarsi sul trattamento fiscale ai fini dell'imposta di registro della clausola penale contenuta in un contratto di locazione, ha ritenuto che «ai fini di cui all'art. 21 d.P.R. 131/86, la clausola penale (nella specie inserita in un contratto di locazione) non è soggetta a distinta imposta di registro, in quanto sottoposta alla regola dell'imposizione della disposizione più onerosa prevista dal secondo comma della norma citata».
A tali conclusioni, la Corte di Cassazione è pervenuta puntualizzando che: ''Stante la natura accessoria della clausola penale rispetto al contratto che la prevede, l'obbligo che da essa deriva non può sussistere autonomamente rispetto all'obbligazione principale; ne consegue che, se il debitore è liberato dall'obbligo di adempimento della prestazione per prescrizione del diritto del creditore a riceverla, quest'ultimo perde anche il diritto alla prestazione risarcitoria prevista in caso di mancato adempimento del predetto obbligo».
In sostanza, secondo la Cassazione, la funzione della clausola in esame, desumibile dal dettato normativo degli articoli 1382 e seguenti del codice civile, non può ritenersi eterogenea rispetto all'obbligazione derivante dal contratto di locazione cui accede, «perché sul piano giuridico, l'obbligazione insorgente dalla clausola penale, sebbene si attivi conseguentemente all'inadempimento dell'obbligazione, non si pone come causa diversa dall'obbligazione principale, alla luce della funzione ripristinatoria e deterrente coercitiva rispetto all'adempimento sua propria, dunque finalizzata a disincentivare e 'riparare' l'inadempimento, oltre che introdotta dal legislatore come elemento contrattuale volto a ridurre la conflittualità in caso di inadempienza, tutelando anche in ciò, ab initio, la parte adempiente. È dunque la stessa disposizione di legge che correla gli effetti della clausola penale all'inadempimento contrattuale, con la conseguenza che, assumendo appunto la clausola penale una funzione puramente accessoria e non autonoma come confermato da Cass. del 26.09.2005, n.18779 rispetto al contratto che la prevede, l'obbligo che da essa deriva non può sussistere autonomamente rispetto all'obbligazione principale […]».
Ciò premesso le entrate hanno ritenuto, in linea generale, che in sede di registrazione del contratto di locazione, contenente una clausola penale ai sensi del citato articolo 21, comma 2, del TUR, sia applicata la tassazione della disposizione che dà luogo all'imposizione più onerosa, tra la disposizione afferente al contratto e quella relativa alla clausola penale stessa.
Come precisato dalla risoluzione 16 luglio 2004, n. 91/E, ai fini della valutazione della disposizione più onerosa di cui all'articolo 21, comma 2, del TUR, alla clausola penale si applica la disciplina degli atti sottoposti a condizione sospensiva, di cui all'articolo 27 del TUR, secondo cui «Gli atti sottoposti a condizione sospensiva sono registrati con il pagamento dell'imposta in misura fissa» (ovvero 200 euro).
La clausola penale, infatti, non opera diversamente da una condizione sospensiva: gli effetti di quest'ultima sono ricollegati al verificarsi di un evento successivo alla registrazione del contratto (quello, futuro ed incerto, dedotto in condizione ovvero l'eventuale ritardo/inadempimento se si tratta di clausola penale).
Il verificarsi degli eventi che fanno sorgere l'obbligazione (tardività/ inadempimento) e, quindi, l'ulteriore liquidazione d'imposta «devono essere denunciati entro trenta giorni, a cura delle parti contraenti o dei loro aventi causa e di coloro nel cui interesse è stata richiesta la registrazione, all'ufficio che ha registrato l'atto al quale si riferiscono», ai sensi dell'articolo 19 del TUR
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CIN Affitti brevi: quando la richiesta slitta al 2025
Le regole per il CIN codice identificativo nazionale per le locazioni brevi e turistiche sono operative dallo scorso 3 settembre data di pubblicazione da parte del Ministero dell'avviso di piena operatività del BDRS il portale tramite il quale richiederlo.
Il Turismo, a beneficio degli utenti interessati, ha anche pubblicato delle FAQ in risposta ai dubbi sulla data entro la quale richiedere il CIN, trascorsa la quale, per gli inadempienti, scattano salate sanzioni.
Con le faq è stato innanzitutto chiarito che le disposizioni legate al codice identificativo "sono applicabili dal sessantesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Avviso attestante l’entrata in funzione, sull’intero territorio nazionale, della piattaforma" ossia dal 2 novembre.
In una delle FAQ però il ministero fornisce una interpretazione estensiva del termine previsto dall'art 13-ter, decreto-legge 18 ottobre 2023, n. 145, vediamo quale.
CIN Affitti brevi: quando la richiesta può slittare al 2025
Veniva domandato quanto tempo ha per richiedere il CIN chi ha ottenuto il codice identificativo regionale o provinciale prima dell’applicazione delle disposizioni sul CIN.
Il Ministero ha replicato che i termini di applicazione delle norme sul CIN decorrono dal momento di effettiva applicazione delle disposizioni del Decreto-legge n. 145 del 2023, art. 13-ter, cioè dopo 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Avviso attestante l’entrata in funzione della BDSR su tutto il territorio nazionale.Tuttavia, chi ha già ottenuto il codice identificativo regionale o provinciale prima dell’applicazione delle disposizioni sul CIN, hai ulteriori 60 giorni di tempo per ottenere il CIN.
Quindi, si hanno complessivamente 120 giorni dalla pubblicazione dell’Avviso. Una volta decorsi questi termini, si sarà suscettibile di sanzione.
Leggi anche Codice CIN affitti brevi: tutte le regole per richiederlo
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Locazione breve e turistica 2024: il punto sulle regole per gli intermediari
La disciplina fiscale per le “locazioni brevi” si applica ai contratti di locazione di immobili a uso abitativo, situati in Italia, di durata non superiore a 30 giorni e stipulati da persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa.
Le regole sulla tassazione dei contratti di locazione breve si applicano anche ai contratti che prevedono la prestazione di servizi accessori, quali, per esempio, la fornitura di biancheria, la pulizia dei locali, la concessione dell’utilizzo delle utenze telefoniche o del wi-fi.
Attenzione al fatto che non sono "locazioni brevi" i contratti con i quali il locatore, oltre a mettere a disposizione l’immobile, fornisce altre prestazioni aggiuntive (per esempio, il servizio di colazione e la somministrazione di alimenti e bevande, la messa a disposizione di auto a noleggio, guide turistiche o interpreti).
In questi casi, infatti, sarebbero riconducibili a una prestazione qualificabile, sotto il profilo fiscale, come attività d’impresa, anche se svolta in maniera occasionale.
Quando nella stipula del contratto di locazione interviene un intermediario immobiliare, il decreto n. 50/2017 ha dettato nei suoi confronti precisi adempimenti, vediamoli.
Locazioni brevi 2024: regole per gli intermediari
I soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare hanno obblighi di natura informativa tutte le volte che intervengono nella stipula di un contratto di locazione breve.
Inoltre, se incassano o intercedono anche nella fase del pagamento dei canoni di locazione o dei corrispettivi, sono tenuti ad applicare una ritenuta quando versano al locatore la somma incassata.
In sintesi, gli intermediari devono:- comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati dei contratti di locazione breve stipulati per il loro tramite
- operare, in qualità di sostituti d’imposta, una ritenuta del 21%, da effettuarsi a titolo d’acconto sull’ammontare dei canoni e corrispettivi, ed effettuare il relativo versamento
- rilasciare la certificazione (ai sensi del Dpr 322/1998 – articolo 4).
Per evitare ulteriori adempimenti a carico degli “intermediari” che incassano o intervengono nel pagamento dei canoni relativi ai contratti in questione, la legge di bilancio 2024 ha previsto che la ritenuta sia mantenuta nella misura del 21% e operata sempre a titolo d’acconto, indipendentemente dal regime fiscale adottato dal beneficiario.
Pertanto, entro il termine per il versamento a saldo delle imposte sui redditi il contribuente è tenuto, per ciascun periodo d’imposta, a determinare l’imposta dovuta (ordinaria o sostitutiva) e a versare l’eventuale saldo, determinato previo scomputo delle ritenute d’acconto subite.
I dati dell’imposta dovuta, delle ritenute subite e dell’imposta a saldo sono indicati nella dichiarazione dei redditi.
La comunicazione dei dati e l’effettuazione della ritenuta sono a carico dell’intermediario al quale il locatore ha affidato l’incarico, anche quando lo stesso intermediario si avvale, a sua volta, di altri intermediari.
Facciamo un esempio: l’agente immobiliare che ha ricevuto dal proprietario dell’immobile l’incarico di locarlo è tenuto a comunicare i dati del contratto ed effettuare la ritenuta, anche se inserisce l’offerta di locazione su una piattaforma online.
Infatti, in questa situazione, la piattaforma rende la prestazione di mediazione all’agente e non al proprietario dell’immobile.Il ricorso alla piattaforma online è, in pratica, un modo di esercitare l’attività di intermediazione nei confronti del locatore.
Sarà cura dell’agente, in questo caso, informare il gestore della piattaforma della veste in cui opera, in modo da non fargli operare la ritenuta sul canone e comunicare i dati del contratto conclusoLe modalità con le quali gli intermediari devono assolvere gli adempimenti di comunicazione e conservazione dei dati, nonché di versamento, certificazione e dichiarazione delle ritenute operate sono state individuate dal provvedimento dell’Agenzia delle entrate del 12 luglio 2017 (come successivamente modificato e integrato).
Il provvedimento prevede, inoltre, che questi adempimenti siano effettuati in base alle informazioni e ai dati forniti dai locatori o beneficiari del pagamento, cioè dalle persone che mettono a disposizione l’immobile.Su di loro ricadono le responsabilità nel caso abbiano fornito indicazioni non veritiere.
Gli intermediari possono, tuttavia, tener conto anche di altre informazioni in loro possesso, rilevanti ai fini fiscali.
Per esempio, possono non effettuare gli adempimenti, ritenendo che la locazione sia riconducibile all’esercizio di una attività d’impresa, quando il locatore ha comunicato loro il numero di partita Iva per la compilazione della fattura relativa alla prestazione di intermediazione.I soggetti che intervengono nella conclusione dei contratti di locazione breve devono trasmettere all’Agenzia delle Entrate:
- nome, cognome e codice fiscale del locatore
- durata del contratto
- indirizzo dell’immobile
- importo del corrispettivo lordo.
Non tutti gli intermediari che agevolano l’incontro tra domanda e offerta di abitazione sono tenuti alla trasmissione dei dati, ma solo quelli che, oltre a tale attività, danno un supporto professionale o tecnico informatico nella fase del perfezionamento dell’accordo.
Per esempio, l’intermediario deve comunicare i dati del contratto se il conduttore ha accettato la proposta di locazione tramite l’intermediario stesso o aderendo all’offerta di locazione tramite una piattaforma online.
Al contrario, se il locatore si avvale dell’intermediario solo per proporre l’immobile in locazione ma il conduttore comunica direttamente al locatore l’accettazione della proposta, l’intermediario non è tenuto a comunicare i dati del contratto. In questa situazione, infatti, ha solo contribuito a mettere in contatto le parti, rimanendo estraneo alla fase di conclusione dell’accordo.
La comunicazione dei dati va effettuata entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di conclusione del contratto.
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Il risarcimento del danno da anticipata cessazione della locazione
Il canone di locazione è il corrispettivo, versato dal locatario al locatore, per il godimento del bene preso in locazione, di solito un immobile.
Situazione non frequente è quella in cui il contratto di locazione viene risolto anticipatamente, rispetto alla sua naturale conclusione, per inadempimento del conduttore.
Nel momento in cui il contratto viene risolto, il bene locato torna nella disponibilità del locatore.
Se è pacifico che il locatario debba versare al locatore i canoni di locazione maturati fino al giorno in cui il bene locato torna nella disponibilità del proprietario, ugualmente pacifico non è il corretto trattamento di un eventuale maggior danno subito dal locatore.
Il punto sotto osservazione è appunto se, nella situazione in esame, un danno effettivamente c’è e, nell’eventualità, come questo possa essere quantizzato.
Infatti, se da un lato, con la risoluzione anticipata del contratto, viene lesa la legittima aspettativa del locatore di ricevere i canoni di affitto fino al termine del contratto, è anche vero che, nel momento in cui il bene torna nella disponibilità di questi, il canone per la privatizzazione del diritto non sarebbe dovuto.
Infatti, l’interesse che si valuta di tutelare non è il diritto alla percezione dei canoni non maturati, che non c’è, ma il risarcimento del danno derivante dal recesso anticipato.
In questo contesto, si sono contrapposte due diverse linee di pensiero sul tema:
- secondo un primo orientamento, una volta anticipatamente risolto il contratto, nulla dovrebbe essere dovuto al locatore, in conseguenza del fatto che il mancato percepimento dei canoni di locazione non rappresenta un danno subito, ma un mancato guadagno (fa eccezione il caso in cui lo stato in cui l’immobile viene lasciato non permette un corretto godimento del bene, motivo per cui sarebbero dovuti i canoni di locazioni anche per il tempo necessario al ripristino dello stato originario del bene);
- secondo diversa linea di pensiero, invece, il locatore, in caso di recesso anticipato del contratto di locazione, avrebbe diritto a percepire i canoni di locazione fino al giorno del reperimento di un nuovo conduttore.
La linea interpretativa oggi prevalente si pone in posizione di compromesso tra le due posizioni, ammettendo la possibilità che il locatore subisca un danno e che, in conseguenza di ciò, abbia diritto ad un risarcimento; ma l’ammontare del risarcimento dovrebbe essere deciso dal giudice in base alle circostanze del caso concreto.
Questa maniera di approcciarsi alla questione tiene conto della differenza tra “danno evento”, che si concretizza nel mancato percepimento dei canoni di locazione in conseguenza del recesso, e “danno conseguenza”, rappresentato dalle conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’evento (il recesso anticipato); e tiene anche conto del fatto che il danno risarcibile è quello derivante dal “danno conseguenza”.
Di ciò si è occupata in modo analitico l’ordinanza interlocutoria numero 31276 della Corte di Cassazione, pubblicata il 9 novembre 2023, la quale a riguardo precisa anche che “il conduttore è tenuto in base all’articolo 1591 a corrispondere, a titolo risarcitorio, il canone convenuto fino alla restituzione”, ma resta “il margine, come è noto salvaguardato dalla norma, del «maggior danno»”.
Quello che deve essere chiarito, spiegano i giudici di legittimità, è se nel maggior danno contemplato dall’articolo 1591 del Codice civile possa rientrare il “danno conseguenza” prima esposto, oppure no.
Per fare ciò la Corte di Cassazione rimanda la questione alle Sezioni Unite che, decidendo, scioglieranno definitivamente i nodi di una questione dai notevoli risvolti pratici.