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Accertamento induttivo sui conti correnti bancari dei professionisti: principio Cassazione
Con Ordinanza 23 agosto 2025, n. 23741, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul tema delicato dell’accertamento induttivo sui conti correnti bancari dei professionisti.
Il fulcro della controversia è la deducibilità dei costi in presenza di versamenti ritenuti compensi non dichiarati.
La Corte ribadisce un principio ormai consolidato: anche in caso di accertamento basato su presunzioni, l’Agenzia delle Entrate deve considerare una quota di costi deducibili per rispettare il principio di capacità contributiva.
Vediamo il dettaglio del caso di specie.
Deducibilità dei costi in presenza di versamenti ritenuti compensi non dichiarati: decisione della Cassazione
Il ricorso è stato proposto dagli eredi di un avvocato destinatario di un avviso di accertamento induttivo emesso dall’Agenzia delle Entrate in relazione ai redditi professionali dell’anno 2002.
Il de cuius aveva impugnato l’atto di accertamento, ottenendo inizialmente un parziale successo in CTP e successivamente in CTR.
Tuttavia, la Cassazione, con precedente pronuncia, aveva annullato la sentenza di appello, rinviando alla Corte di Giustizia Tributaria regionale di secondo grado, affinché si tenesse conto della sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014, che aveva eliminato la presunzione legale di evasione per i prelievi bancari dei professionisti.
Il giudice del rinvio accolse parzialmente l’appello del contribuente.
A seguito di tale decisione, gli eredi ricorrevano nuovamente in Cassazione per tre motivi:
- la sentenza impugnata non indicava chiaramente il debito residuo,
- non veniva applicata correttamente la deduzione dei costi relativi ai compensi presunti,
- non si rispettava il principio di capacità contributiva, come sancito dalla Corte Costituzionale n. 10/2023.
La Cassazione nell'rodine:
- ha rigettato il primo motivo, relativo alla presunta estinzione del giudizio per mancata riassunzione nel termine;
- accolto il secondo motivo, nella parte riguardante la mancata deduzione forfettaria dei costi;
- assorbito il terzo motivo, relativo alle spese del primo giudizio di Cassazione.
La Corte ha riaffermato un principio di diritto fondamentale: «Nel caso in cui, in seguito ad accertamento induttivo, vengano imputati al contribuente maggiori ricavi, è obbligatoria la deduzione di una quota forfettaria di costi necessari alla produzione di tali ricavi, anche in assenza di una documentazione precisa».
La ratio risiede nel rispetto dell’art. 53 della Costituzione, che impone la tassazione sulla capacità contributiva reale e non presunta. L'accertamento induttivo, anche quando fondato, non può trasformarsi in un’imposizione automatica che ignora i costi sostenuti per produrre il reddito.
Occorre evidenziare che la sentenza conferma un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, ad esempio, la Cassazione n. 7122/2023 e la Cass. n. 31981/2024 avevano affermato che, in caso di accertamenti basati su presunzioni (es. movimentazioni bancarie), l’Amministrazione non può prescindere dalla stima di costi proporzionali ai ricavi accertati.
La novità della Sentenza n. 23741/2025 sta nell’estensione applicativa anche ai versamenti bancari imputati a compensi in nero, e nel rafforzamento del legame tra accertamento tributario e principi costituzionali.
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Accessi fiscali: l’obbligo di motivazione dopo la sentenza CEDU 2025
Il Decreto Fiscale che ha terminato il suo iter di conversione in legge ed è atteso in GU con l’articolo 13-bis, introdotto in sede referente, obbliga a motivare nell’atto di autorizzazione e nel processo verbale le circostanze e le condizioni che giustificano un accesso ai fini di verifica fiscale, dopo la sentenza CEDU 2025, vediamo i dettagli.
Accessi fiscali: l’obbligo di motivazione dopo la sentenza CEDU 2025
L’introduzione dell’articolo 13-bis nello Statuto del contribuente (Legge n. 212/2000), nel corso dell'iter di conversione del DL Fiscale, rappresenta un’importante evoluzione nel sistema delle garanzie riconosciute ai contribuenti in caso di verifiche fiscali.
La novità normativa si pone in diretta risposta alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) che ha censurato la disciplina italiana per mancata tutela del diritto al rispetto del domicilio professionale.
In sintesi, ad essere contestato dalla Corte non è i la declinazione nei documenti di prassi e nelle pronunce giurisprudenziali delle norme sugli accessi per le verifiche fiscali.
Secondo la giurisprudenza consolidata non è necessario motivare l’autorizzazione per l’accesso ai locali commerciali e agli studi professionali, ritenendola un mero requisito procedurale
E' stato inoltre affermato che gli agenti della Guardia di Finanza, poiché membri delle forze dell’ordine, possano avere facoltà di accedere ai citati locali senza bisogno di autorizzazione scritta.
Basandosi sull’articolo 8 della Convenzione, che non distingue nella tutela del domicilio fra abitazione o sede dell’attività lavorativa, la CEDU ritiene che, anche mediante indicazioni di prassi amministrativa, la normativa dovrebbe indicare con nettezza le circostanze e le condizioni che autorizzano le
autorità ad accedere ai locali e ad effettuare verifiche in loco per evitare accessi indiscriminati.Inoltre, secondo la stessa pronuncia la normativa italiana dovrebbe garantire un controllo giurisdizionale effettivo su tali atti.
La nuova disposizione a breve in vigore, impone che sia nell’atto di autorizzazione che nel verbale di accesso, vengano esplicitamente indicate le circostanze e le condizioni che giustificano l’ingresso nei locali del contribuente (sedi professionali, commerciali, ecc.).
Ricordiamo che la normativa che riguarda gli accessi, le ispezioni e le verifiche per l’accertamento delle imposte e la repressione dell’evasione fiscale è contenuta nell’articolo 52 del d.P.R. n. 633 del 1972.
Si attende in GU il testo della norma contenuta nella legge di conversione del DL Fiscale appena approvato anche dal Senato.
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Autotutela per atti sanzionatori: le novità del Correttivo
Il Governo, nel Cdm di ieri 14 luglio, ha approvato in via preliminare, un Decreto Correttivo al Dlgs su Ires e Irpef. che inizia il suo iter legislativo.
Come evidenziato dal comunicato stampa del Governo il testo introduce norme di semplificazione per le persone fisiche e le imprese, in un’ottica di maggiore trasparenza ed equità.
Inoltre, si modifica lo Statuto dei diritti del contribuente con l’obiettivo di perfezionare il procedimento accertativo e rafforzare le garanzie nei confronti dei cittadini.
In particolare, per l'istituto dell’autotutela obbligatoria si chiarisce che sia esteso anche agli atti sanzionatori, specificando quindi un aspetto la cui interpretazione risultava ancora dubbia.
Per le altre modifiche restano però alcuni dubbi e si confida nel testo definitivo del decreto.
Autotuela per atti sanzionatori e altre modifiche del Correttivo
Con l’introduzione dell’autotutela obbligatoria ai sensi dell'articolo 10-quater della legge 212/2000 l’amministrazione procede in certe occasioni, all’annullamento in tutto o in parte di atti di imposizione o alla rinuncia all’imposizione, senza l'istanza di parte. Il correttivo specifica che tale annullamento riguarda anche gli atti sanzionatori.
Inoltre, relativamente alla consultazione semplificata l’articolo 10-nonies della legge 212/2000 prevede per le persone fisiche e i contribuenti di minori dimensioni l’accesso a una banca dati ai fini di una soluzione al quesito esposto dal contribuente.
Quando la risposta al quesito non è individuata univocamente, la banca dati informa il contribuente che può presentare istanza di interpello.
Con il correttivo si prevede che l’interpello è inammissibile anche se la banca dati non informa il contribuente sulla possibilità di presentazione dell’interpello a meno che non si dimostri che il documento di prassi richiamato nella risposta non fornisca una soluzione univoca al quesito.
Infine, si restringono i tempi del confronto preventivo nel caso in cui il contribuente chieda l’accesso agli atti.
La norma attuale, l'articolo 6-bis dello Statuto del contribuente, dispone che al contribuente, una volta comunicato lo schema di atto, viene data la possibilità di presentare controdeduzioni o di accedere ed estrarre copia degli atti del fascicolo.Il decreto recepisce il fatto che al contribuente deve essere data possibilità di accesso agli atti e dalla data di accesso devono decorrere i 60 giorni per presentare le controdeduzioni/osservazioni.
Sorge comunque il dubbio sul fatto che i giorni dovrebbero decorrere da quanto i documenti vengono resi disponibili ai fini delle controdeduzioni.
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Accertamento bancario: quando è valido anche senza i numeri di conto corrente
Con l’Ordinanza n. 15021/2025 la Cassazione ha ribadito un principio consolidato in materia di accertamenti bancari: l’assenza dei numeri di conto corrente negli avvisi di accertamento non ne inficia la validità, qualora il contribuente abbia ricevuto informazioni sufficienti per esercitare il proprio diritto di difesa.
Il fatto.
Accertamento bancario: quando è valido anche senza i numenri di conto corrente
Il caso di specie prende avvio da un invito delle Entrate ad una ditta individuale in relazione agli anni di imposta del 2008 e 2009.
Si notificava un invito con cui si richiedeva di giustificare i movimenti finanziari in entrata e in uscita in relazione a sedici conti correnti relativi a cinque istituti bancari.
Dopo il contraddittorio venivano notificati due avvisi di accertamento con i quali si contestavano maggiori ricavi non dichiarati per diversi milioni di euro, sulla base di movimentazioni bancarie non giustificate.
Il contribuente impugnava gli atti dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, che accoglieva i ricorsi, ritenendo carente la motivazione degli avvisi per mancata indicazione dei numeri di conto corrente.
La decisione veniva confermata in appello. L’Agenzia impugnava la sentenza di appello ricorrendo in Cassazione.
La Cassazione con l'Ordinanza n 15021/2025 evidenziava che l’assenza dei numeri di conto corrente non è sufficiente a rendere nullo l’accertamento, se il contribuente ha comunque ricevuto informazioni adeguate per comprendere la pretesa fiscale e difendersi.
L'Agenzia infatti aveva fornito oltre mille pagine di documentazione, con indicazione degli istituti bancari, delle partite Iva e degli importi contestati e durante il contraddittorio, il contribuente aveva avuto modo di fornire giustificazioni e richiedere ulteriori documenti alle banche.
La Casssazione con una consolidata giurisprudenza ha chiarito che non si può confondere il piano della motivazione dell’atto con quello della prova della pretesa tributaria.
Infatti, ad avviso della Corte il primo serve a spiegare perché si procede all’accertamento, il secondo riguarda la fondatezza della pretesa nel merito.
Pertanto, non sussiste alcun vizio di motivazione dell'avviso di accertamento così come prospettato dai giudici di appello.
La Corte di Cassazione ha ribadito che l’Amministrazione finanziaria adempie al proprio onere probatorio producendo gli estratti conto, mentre spetta al contribuente dimostrare, in modo analitico, che le movimentazioni non sono riferibili a delle operazioni imponibili.
Relativamente all'accertamento delle imposte sui redditi, qualora esso sia effettuato dall'ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, si determina un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili, mentre l'onere probatorio dell'Amministrazione è soddisfatto attraverso i dati e gli elementi risultanti dai predetti conti correnti.
Cpncludendo la legittimità di un accertamento non si misura solo sulla forma, ma sulla sostanza delle informazioni fornite.
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CPB: tutte le regole dall’agenzia
Pubblicata la Circolare n 9 del 24 giugno con istruzioni sul CPB.
Il documento delle entrate conferma risposte a dubbi sul patto con il fisco e riassume come e quando aderire dopo il Decreto Correttivo che ha introdotto ulteriori novità.
CPB: tutte le regole dall’agenzia
Come previsto dal provvedimento del 24 aprile scorso, l’adesione al CPB per il biennio 2025-2026 può essere trasmessa congiuntamente alla dichiarazione dei redditi e ai modelli ISA, entro il 30 settembre 2025, oppure in via autonoma.
Nel caso di adesione autonoma, il contribuente potrà inviare il modello CPB insieme al solo frontespizio della dichiarazione Redditi 2025, utilizzando lo stesso canale telematico della dichiarazione annuale, entro il termine stabilito per l’adesione.
A questo proposito, la circolare ricorda che il termine per accettare la proposta Cpb, originariamente fissato al 31 luglio, è stato spostato al 30 settembre 2025 dal decreto “correttivo” (Dlgs n. 81/2025).
Il documento di prassi illustra in modo sistematico tutti gli aspetti fondamentali dell’istituto, introdotto dal Dlgs n. 13/2024 al fine di favorire l’adempimento spontaneo agli obblighi dichiarativi: dai requisiti alle modalità di adesione, passando per cause di esclusione e decadenza, effetti e modalità di determinazione degli acconti.
Attenzione al fatto che per il biennio 2025-2026 possono aderire al Concordato i contribuenti che nel 2024 hanno esercitato, in via prevalente, una delle attività economiche del settore dell’agricoltura, delle manifatture, dei servizi, delle attività professionali e del commercio per le quali risultano approvati gli Isa e che non hanno già aderito per il primo biennio (2024-2025).
Si segnala un’appendice alle risposte, già oggetto di precedente pubblicazione e vengono forniti alcuni nuovi chiarimenti.
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CPB: ultimi chiarimenti sugli acconti
Il Cdm del 4 giugno ha approvato in via definitiva il Decreto Correttivo del Concordato prenvetivo biennale e altri adempimenti fiscali.
Innanzitutto, viene confermata la proroga per l'adesione al 30 settembre in luogo di luglio prossimo.
Per una sintesi delle modifiche e delle conferme in base alle osservazioni delle Commissioni di Camera e Senato leggi anche: Decreto Correttivo sul CPB: conferme e modifiche
Relativamente agli acconti ricordiamo che l'Agenzia delle Entrate a fine maggio ha integrato la sezione delle FAQ del Concordato Preventivo Biennale con due chiarimenti.
Vediamo il dettaglio del chiarimento ade sugli acconti, oltre ad un riepilogo su tutto quanto riguarda il CPB, ad oggi.
CPB: calcolo acconti e imposta sostitutiva
Un contribuente domandava se, per coloro che hanno aderito al CPB per gli anni 2024 e 2025, il calcolo dell'acconto per il 2025 con metodo storico possa essere effettuato sulla base dell'imposta dovuta per il 2024, determinata in considerazione del reddito CPB del 2024.
Le Entrate hanno evidenziato che l'articolo 20 comma 1 del decreto legislativo 12 febbraio 2024, n. 13, dispone che «l'acconto delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive relativo ai periodi d'imposta oggetto del concordato è determinato secondo le regole ordinarie tenendo conto dei redditi e del valore della produzione netta concordati».Ciò evidenziato, si ritiene, che l'acconto, per il periodo d'imposta 2025 (laddove si faccia ricorso al metodo storico), debba essere determinato in base alle modalità ordinarie, vale a dire facendo riferimento all'imposta dovuta ai fini delle imposte sui redditi e dell'IRAP per il periodo d'imposta precedente (2024).
Inoltre, ai fini della determinazione dell'acconto, l'entrate specificano che non sia da considerare la parte di reddito CPB 2024 assoggettata ad imposta sostitutiva.
Concordato preventivo biennale: tutte le regole da conoscere per aderire
A decorrere dal 2024 il Decreto Legislativo n. 13/2024 ha introdotto a favore dei soggetti ISA e dei contribuenti forfetari, titolari di reddito d'impresa / lavoro autonomo, il CPB concordato preventivo biennale.
Successivamente, il Decreto correttivo della Riforma fiscale approvato in via defintivia il 4 giugno dal Governo, ha previsto il differimento al 30 settembre del termine di adesione alla proposta di CPB 2025-2026 e la soppressione del concordato per i contribuenti forfetari.
L'Agenzia delle Entrate con due Provvedimenti datati 9 aprile e 24 april 2025 ha rispettivamente: approvato:
- il nuovo modello utilizzabile dai soggetti ISA per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell'elaborazione della proposta di CPB 2025-2026
- ed ha definito le specifiche tecniche per l'invio dell'adesione del CPB 2025-2026 e della eventuale revoca dello stesso.
In base all'art. 9, comma 1, Dlgs. n. 13/2024, il MEF, con Decreto 28 aprile, ha approvato la Nota Metodologica in base alla quale l'Agenzia formula la proposta di concordato per il 2025-2026.
Inoltre come sopra esposto l'agenzia ha chiarito dubbi sull'acconto con FAQ del 28 maggio precisando che, per i soggetti che hanno aderito al CPB 2024-2025, l'acconto 2025 calcolato utilizzando il metodo storico, va determinato facendo riferimento all'imposta dovuta ai fini delle imposte sui redditi e irap per il 2024.
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Adesione al CPB: il CNDCEC insiste sulla proroga
Il decreto Milleproroghe in fase di conversione da terminarsi entro il 25 febbraio doveva contenere un emendamento con una importante novità per il CPB Concordato preventivo biennale.
Si trattava di una norma di proroga dei termini di adesione, poi ritirata.
Il CNDCEC, a voce di Elbano De Nuccio ribadisce la necessità di reinserirla visto che l'attuale scadenza cade specificano i Commercialisti "nel periodo dell’anno in cui gli studi professionali sono già congestionati dagli adempimenti ordinari”
CPB: proroga in arrivo col Milleproroghe
In dettaglio, con il testo presentato poi ritirato si mirava a spostare dal 31 luglio al 30 settembre la scadenza entro la quale sarà possibile aderire alla seconda edizione del concordato.
Nell’emendamento, il calendario si distendeva però anche per l’amministrazione finanziaria, che doveva avere altri 15 giorni per pubblicare il software con i calcoli, rispetto alla norma originaria.
Relativamente al concordato preventivo biennale, in dettaglio, si voleva modificare il termine di cui all'art 9 comma 3 del Dlgs n 13/2024 previsto per aderire alla proposta del Fisco, relativa ai periodi d'imposta in corso:
- al 31 dicembre 2025,
- al 31 dicembre 2026,
rinviandola al 30 settembre.
Ieri sera in Commissione Bilancio l'emendamento è stato ritirato, lasciando solo spazio a novità per la rottamazione quater.
Visti i colpi di scena cui siamo stata ormani abituati, vedremo ci saranno ulteriori novità dell'ultima ora.
Ora, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili con un comunicato del 12 febbraio ribadisce la necessità che il termine sia prorogato.
Come spiegato dal Presidente De Nuccio, “La nostra richiesta è motivata dalla circostanza che l’attuale temine, previsto per il 31 luglio, cade nel periodo dell’anno in cui gli studi professionali sono già congestionati dagli ordinari adempimenti connessi alla determinazione e liquidazione delle imposte dei loro assistiti. L’adesione al CPB presuppone la definitività dei dati del periodo di imposta precedente e un fitto dialogo con il contribuente che si impegna per un biennio e quindi deve effettuare la scelta nella piena consapevolezza degli impegni che assume, delle premialità dell’istituto, ma anche delle numerose fattispecie di cessazione e decadenza e delle relative conseguenze. È evidente che tale processo richiede tempo che, con l’attuale termine, semplicemente non c’è e ciò rischia di minare le finalità per le quali il CPB è stato introdotto nell’ordinamento”.
Viene anche precisato che relativamente ai flussi di gettito, che avrebbero giustificato il ritiro dell'emendamento di proroga, la proposta del Consiglio Nazionale non crea alcuna difficoltà in quanto il termine per versare gli acconti di imposta del primo anno concordatario resta comunque confermato al 30 novembre”.
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Accessi, ispezioni e verifiche violano i diritti dell’uomo: pronuncia della Corte UE
La pronuncia n 366178/2025 della Corte Europea sancisce che "la normativa italiana in materia di verifica ed ispezioni fiscali viola l’articolo 8 della Convenzione in quanto il quadro giuridico nazionale concede alle autorità nazionali un potere discrezionale illimitato sia per quanto riguarda le condizioni in cui le misure contestate potevano essere attuate sia per quanto riguarda la portata di tali misure.
Allo stesso tempo, il quadro giuridico nazionale non fornisce sufficienti garanzie procedurali, poiché le misure contestate, sebbene suscettibili di alcuni rimedi giurisdizionali, non erano soggette a un controllo sufficiente.
Pertanto, il quadro giuridico nazionale non forniva ai ricorrenti il livello minimo di protezione a cui avevano diritto ai sensi della Convenzione."
Vediamo il caso di specie.
Accessi, ispezioni e verifiche violano i diritti dell’uomo: pronuncia della Corte UE
La disciplina degli accessi, ispezioni e verifiche secondo la Corte UE viola l’art. 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo e deve essere riformata mediante una disciplina interna.
Lamentando la violazione dell'art 8 della CEDU, hanno fatto ricorso alla Corte Ue: un cittadino italiano persona fisica e dodici persone giuridiche.
In sintesi, la loro doglianza è riassumibile in due motivi:
- le disposizioni nazionali si limitano a indicare l’autorità competente ad autorizzare accessi, ispezioni e verifiche, ma non disciplinano le condizioni entro cui questi devono concretizzarsi “conferendo così un margine di discrezionalità illimitato per valutare l’adeguatezza, l’oggetto e la portata delle misure”;
- non è prevista la possibilità di impugnare l’autorizzazione o di chiedere ai giudici misure sospensive a:
- accesso,
- ispezione
- verifica.
Ai sensi degli artt. 33 del DPR 600/73 e 52 del DPR 633/72 l’Amministrazione finanziaria, ottenute le debite autorizzazioni, può eseguire accessi e ispezioni in ogni luogo.
Inoltre, l’art. 52 comma 1 del DPR 633/72 riconosce agli uffici la possibilità di disporre l’accesso nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali e non, agricole, artistiche o professionali al fine di procedere a ispezioni documentali, verificazioni, ricerche e a ogni altra rilevazione ritenuta utile per l’accertamento.
Ciò premesso la Corte UE con la pronuncia in oggetto ha affermato che occorrono indicazioni di prassi amministrativa circa l’indicazione chiara di circostanze e “condizioni in cui le autorità nazionali sono autorizzate ad accedere ai locali e a effettuare verifiche in loco”; occorre anche “imporre alle autorità nazionali l’obbligo di fornire una motivazione e di giustificare” le misure predette.
Secondo la Corte occorre fornire “garanzie per evitare l’accesso indiscriminato o almeno la conservazione e l’uso di documenti e oggetti non connessi con l’obiettivo della misura in questione”.
Per quanto riguarda l’autorizzazione all’attività ispettiva, la Corte EDU ha sottolineato la necessità di un controllo giurisdizionale, infatti, afferma che “il quadro giuridico interno dovrebbe chiaramente prevedere un controllo giurisdizionale effettivo di una misura contestata e, in particolare, un controllo del rispetto, da parte delle autorità nazionali, dei criteri e delle restrizioni riguardanti le condizioni che giustificano tale misura e la loro portata”.
Si rimanda alla consultazione della pronuncia n 366178/2025 per gli altri approfondimenti
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Adempimento collaborativo: TCF e adesione di nuovi soggetti
L'Agenzia delle Entrate ha chiarito il perimetro dell'obbligo di TCF certificazione del sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale prevista dall'art 4 comma 1bis del Dlgs n 128/2015 in ambito di Adempimento Collaborativo.
Vediamo il quesito proposto durante Telefisco 2025 e il chiarimento ADE.
Leggi anche Adempimento collaborativo: requisiti e adempimenti per la certificazione
Adempimento collaborativo: TCF e adesione di nuovi soggetti
L’obbligo di certificazione del sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, “TCF” di cui all’articolo 4, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 128 del 2015 si applica esclusivamente ai soggetti che presentano istanza di adesione al regime di adempimento collaborativo successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 30 dicembre 2023 n. 221 per le imprese di nuovo ingresso.
In base a quanto previsto dall’articolo 1, comma 3, del medesimo decreto, i soggetti già ammessi o che abbiano presentato istanza di adesione prima della predetta data (cd. soggetti già aderenti) non sono, infatti, tenuti al rilascio della certificazione.
Si conferma, pertanto, che, ove una o più società appartenente al medesimo gruppo di uno o più soggetti già aderenti presenti istanza di adesione dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 221 del 2023, sfruttando ad esempio la possibilità prevista dall’articolo 7, comma 1 quater del decreto legislativo n. 128 del 2015, la certificazione sarà richiesta solo sul TCF delle imprese di nuovo ingresso e non sul TCF dei soggetti già aderenti, in quanto quest’ultimo è stato già validato in sede di ammissione.
Viene anche precisato che in tali ipotesi, qualora il TCF dell’impresa del gruppo che esercita attività di direzione e coordinamento sul sistema di controllo del rischio fiscale sia stato già validato dall'Agenzia delle entrate, le imprese di nuovo ingresso saranno tenute al rilascio della sola certificazione “semplificata” di cui all’articolo 7, comma 2, del decreto interministeriale del 12 novembre 2024 n. 212.
Le Entrate evidenziano che ai fini del rilascio di tale certificazione, il professionista sarà tenuto a svolgere esclusivamente le valutazioni di activity level previste dall’articolo 6, comma 2 lettera b) del decreto interministeriale.
Il certificatore non svolgerà, invece, i controlli di company level, previsti dall’articolo 6, comma 2 lettera a) del medesimo decreto, ma attesterà, in sostituzione di essi, che il sistema di controllo interno e di gestione dei rischi fiscali della società è inserito in quello adottato dalla società che svolge funzioni di indirizzo sul TCF.
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CPB: integrazione volontaria e decadenza
L’Agenzia delle Entrate in Telefisco 2025 ha diffuso diversi chiarimenti in materia di concordato preventivo biennale,
e in particolare su decadenza e cessazione dall'istituto.
Vediamo un chiarimento sul caso di decadenza nella integrazione volontaria dei dati ISA
CPB: integrazione volontaria e decadenza
Veniva domandato se, alla luce della normativa in tema di CPB, un’integrazione volontaria dei dati Isa dichiarati dal contribuente nel 2023, non comporti decadenza dal concordato a prescindere dall’effetto in termini percentuali sul reddito, se il contribuente procede a regolarizzare il differenziale con il ravvedimento operoso sull’anno 2023.
L'agenzia delle Entrate ha chiarito che sulla base di quanto disposto dall’art. 22, comma 3, del decreto legislativo n. 13 del 2024, la regolarizzazione della posizione mediante ravvedimento ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 determina l’irrilevanza ai fini della decadenza dal concordato, delle sole fattispecie richiamate dall’articolo 22, comma 1, lettera e), e comma 2, lettere a) e b), del Dlgs 13/2024, ossia:
- l’omesso versamento delle somme dovute a seguito delle attività di cui all'articolo 12, comma 2 del medesimo Dlgs 13/2024;
- le violazioni constatate che integrano le fattispecie di cui al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, relativamente ai periodi di imposta oggetto del concordato;
- la comunicazione inesatta o incompleta dei dati rilevanti ai fini dell'applicazione degli indici di cui all' articolo 9-bis decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, in misura tale da determinare un minor reddito o valore netto della produzione oggetto del concordato per un importo superiore al 30 per cento.
Viene precisato che la causa di decadenza prevista dall’articolo 22, comma 1, lettera b), del decreto che si verifica a seguito di modifica o integrazione della dichiarazione dei redditi, non può venire meno per effetto della previsione di cui al comma 3.
A tal proposito la Circolare n.18/E del 17/09/2024 ha chiarito che, al fine di evitare possibili distorsioni nell’applicazione dell’istituto, è necessaria una lettura sistematica del testo normativo e delle fattispecie disciplinate, pertanto “si può ritenere che, in generale, affinché le integrazioni o le modifiche delle dichiarazioni dei redditi, ovvero l’indicazione di dati non corrispondenti a quelli comunicati ai fini della definizione della proposta di CPB, siano rilevanti per determinare la decadenza dallo stesso CPB, è necessario che gli stessi determinino un minor reddito o valore netto della produzione oggetto del concordato per un importo superiore al 30 per cento”.