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    Bilancio 2022: prorogata la sospensione delle perdite rilevanti

    Nel 2020, per la prima volta, sono state promulgate, per le società di capitali, le norme transitorie che permettevano, in deroga agli ordinari principi civilistici, il rinvio degli obblighi derivanti dal conseguimento di perdite rilevanti sul bilancio 2020, come misura per contrastare gli effetti della quarantena, forse più che della pandemia, sulle imprese italiane.

    Da subito una buona parte della dottrina non ha nascosto una certa perplessità, anche in considerazione del fatto che queste norme rimandano un problema senza risolverlo.

    Successivamente queste misure transitorie sono state estese anche al bilancio 2021, questa volta in conseguenza dell’impatto sulle imprese della guerra in Ucraina; oggi sono state prorogate nuovamente per il bilancio in chiusura al 31 dicembre 2022.

    L’idea dovrebbe essere quella di scongiurare una ipotesi di liquidazione di massa delle imprese nazionali, a cui il Legislatore ha deciso di dare ancora più tempo per ricostituire la propria solidità patrimoniale; obiettivo affatto semplice, quando la solidità è compromessa, in un contesto macroeconomico che fa presagire una prossima contrazione della crescita economica.

    Con il comma 9 dell’articolo 3 del DL 198 del 29 dicembre 2022, il cosiddetto annuale decreto Milleproroghe, intervenendo sull’articolo 60 comma 7-bis del DL 104/2020, come convertito dalla Legge 126/2020, il Legislatore proroga ai bilanci in corso al 31 dicembre 2022 le medesime norme che sterilizzavano gli effetti del conseguimento di perdite rilevanti sui bilanci 2020 e 2021, senza apportare senza ulteriori modifiche; per cui “non si applicano gli articoli 2446, secondo e terzo comma, 2447, 2482-bis, quarto, quinto e sesto comma, e 2482-ter del Codice civile e non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4, e 2545-duodecies del Codice civile”.

    Questo vuol dire che, anche per il bilancio d’esercizio 2022:

    • nel caso in cui le perdite superino il terzo del capitale sociale, ma non la sua interezza, il termine entro il quale dovranno risultare diminuite a meno di un terzo sarà il quinto esercizio successivo;
    • nel caso in cui le perdite siano di entità tale da ridurre il capitale al di sotto del minimo legale previsto per la specifica forma societaria interessata, la scelta che dovrà obbligatoriamente essere fatta tra ricapitalizzazione, trasformazione o scioglimento, potrà essere rinviata fino al quinto esercizio successivo.

    Con la nuova deroga, quindi, il momento entro il quale le decisioni dovranno essere prese e la situazione affrontata sarà adesso il termine di approvazione dell’esercizio 2027.

    Si rinnova anche l’obbligo di redazione di una relazione degli amministratori che illustri le prospettive e le modalità di recupero delle perdite, da allegare alla relazione sulla gestione, alla nota integrativa o semplicemente al bilancio, a seconda della dimensione dell’impresa; fermo restando che, nel caso in cui la società si sia avvalsa della deroga anche per uno o più dei due esercizi precedenti, la relazione dovrà tenere conto anche di quelle perdite nell’elaborare delle ipotesi prospettiche di ricostituzione patrimoniale.

    Va precisato che la deroga in trattazione non comprende quella alla continuità aziendale; motivo per cui, in caso di azzeramento del capitale, gli amministratori e i soci dovranno porre l’opportuna attenzione affinché tale principio civilistico sia comunque garantito sul bilancio 2022.

  • Bilancio

    Società liquidata: il fisco può rifarsi sui soci anche in assenza di piano di riparto

    Nessuno può contestare al diritto tributario italiano di comprimere altri interessi in favore della certezza del diritto.

    Se tale considerazione vale in generale per la maggior parte delle fattispecie tributarie, ci sono però situazioni in cui ciò è particolarmente evidente: una di queste è l’estinzione della società di capitali nel caso in cui successivamente nascano pretese da parte del fisco.

    La norma che regola la situazione è l’articolo 2495 del Codice civile, il quale prevede che, dopo l’estinzione della società, i creditori non soddisfatti possano rifarsi sui soci nei limiti di quanto da questi riscosso in base al bilancio finale di liquidazione.

    Con l’estinzione della società di capitali avviene un fenomeno di tipo successorio: i soci, in base al piano di riparto, percepiscono l’attivo residuante dalla liquidazione e, nel caso in cui ci siano creditori non soddisfatti, ne rispondono nei limiti di quanto riscosso. La delicatezza del punto deriva dal fatto che i soci di una società di capitali godono della limitazione della responsabilità, e una responsabilità successoria circoscritta a quanto riscosso si accompagna con coerenza a questo principio.

    Questa impostazione vale in linea generale per tutti i creditori; ma, nello specifico, a tutela dell’interesse generale della riscossione, sono previste norme diversificate per il caso in cui il creditore sia il fisco. 

    L’ormai famoso articolo 28, comma 4, del Decreto Legislativo 175/2014 prescrive che ai soli fini “degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi” l’estinzione della società “ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese”.

    Tuttavia la recente ordinanza numero 10678 della Corte di Cassazione, pubblicata il 4 aprile 2022, ci ricorda che, a prescindere dal comma 4 dell’articolo 28 del Decreto Legislativo 175/2014 (i fatti in causa erano antecedenti alla promulgazione della norma, per cui l’efficacia dei concetti proposti prescindono da questa), secondo ormai consolidata giurisprudenza, la circostanza che i soci abbiano goduto, o meno, di un qualche riparto in sede di bilancio fiale di liquidazione non è dirimente ai fini dell’interesse ad agire del fisco creditore, in quanto “la possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono […] di escludere l’interesse dell’Agenzia delle Entrate a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell’interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti”.

    La conseguenza di questa impostazione è che, potendo il fisco legittimare la sua pretesa anche in assenza di riparto, e realizzandosi comunque il fenomeno successorio, i soci potranno rispondere personalmente anche per importi superiori a quelli percepiti alla chiusura della liquidazione.

    Il concetto condivisibile è che l’estinzione della società non può rappresentare una maniera per estinguere anche le pendenze con il fisco; purtroppo però i tratti fumosi e indeterminati, qualitativamente e quantitativamente, del perimetro della legittimità ad agire espongono il contribuente allo spiacevole cruccio dell’incertezza.