• Bilancio

    Affrancamento riserve in sospensione d’imposta: si paga una sostitutiva del 10%

    Il Consiglio dei Ministri il 30 aprile ha approvato in via preliminare lo scherma di DLgs. di revisione di IRPEF e IRES, la cui bozza svela una norma sull'affrancamento delle riserve in sospensione di imposta.

    Vediamo, in sintesi, cosa prevede la norma (art 15 della bozza di Dlgs)  in quesitone sull'affrancamento che, ora passa alle Commissioni competenti per eventuali modifiche o conferme.

    Affrancamento riserve in sospensione d’imposta: novità in arrivo

    Con l'art. 15 rubricato Affrancamento straordinario delle riserve si riaprono, in via straordinaria, i termini per l’affrancamento dei saldi attivi di rivalutazione non affrancati e delle riserve in sospensione di imposta ancora sussistenti nel bilancio dell’esercizio in corso al 31.12.2023, che residuano al termine dell’esercizio in corso al 31.12.2024, previo il pagamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell'IRAP del 10%.

    Secondo la norma in bozza, l’imposta sostitutiva è liquidata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2024 ed è versata in quattro rate annuali di pari importo a partire dalla data di scadenza del termine di versamento a saldo delle imposte relative al medesimo periodo d’imposta. 

    Pertanto, l’affrancamento si perfeziona con la presentazione della dichiarazione dei redditi contenente i dati e gli elementi per la determinazione del relativo tributo.   

    La norma, ancora provvisoria, consente di affrancare le riserve in sospensione d’imposta con il pagamento dilazionato senza interessi, e ciò potrebbe costituire un incentivo determinante per i contribuenti ai fini della scelta.

    Come chiarito dalla Agenzia delle entrate in vari documenti di prassi, l’importo da assoggettare a imposta è quello netto della riserva come risultante dal bilancio.

    Le disposizioni attuative dell’affrancamento saranno dettate con un decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della norma.

  • Bilancio

    Impugnativa Bilancio: la Cassazione chiarisce i termini

    Con Sentenza n 10521/2024 la Cassazione in sintesi ha specificato che l'approvazione del bilancio successivo non incide su di una impugnazione precedente.

    Vediamo la decisione delle Suprema Corte.

    Impugnativa Bilancio: la Cassazione chiarisce i termini

    Si rispondeva sulla nullità della delibera di approvazione del bilancio principalmente accogliendo alcuni dei motivi del ricorso che contestavano le decisioni della Corte d'Appello. 

    In particolare, la suprema corte ha accettato gli argomenti relativi ai limiti temporali per la contestazione della delibera di bilancio, osservando che non era corretto precludere l'introduzione di nuovi vizi specifici dopo l'approvazione del bilancio successivo, se l'azione di impugnativa era stata già introdotta prima di tale approvazione.

    La Cassazione ha chiarito che secondo l'articolo 2434-bis del codice civile, sebbene ci sia un termine decadenziale che impedisce di impugnare le delibere di approvazione del bilancio dopo l'approvazione del bilancio dell'esercizio successivo, ciò non preclude la possibilità di aggiungere nuove motivazioni alla contestazione originaria se quest'ultima è stata avviata in tempo. 

    Con tale argomentazione la Cassazione ha cassato la sentenza della Corte d'Appello su questi motivi e ha rinviato il caso per un nuovo esame alla stessa Corte d'Appello.

    In sostanza, la Cassazione ha confermato la possibilità per i ricorrenti di espandere le loro argomentazioni riguardo agli specifici vizi del bilancio contestato, anche se non originariamente presentati nell'atto di citazione iniziale, purché la contestazione generale del bilancio fosse già stata avviata prima dell'approvazione del bilancio successivo. 

    Questo ha permesso ai ricorrenti di continuare a perseguire la loro causa sulla nullità della delibera di approvazione del bilancio, contrariamente a quanto stabilito dalla Corte d'Appello.

  • Bilancio

    Deducibili le perdite su crediti anche se derivanti da un comportamento antieconomico

    Il comma 5 dell’articolo 101 del TUIR disciplina la deducibilità delle perdite su crediti, le quali, se previamente rilevate in bilancio, sono fiscalmente deducibili nel momento in cui tali perdite:

    • risultino confermate da elementi certi e precisi;
    • in ogni caso se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali.

    Per il caso del creditore in bonis, il perno della deducibilità fiscale risulta essere, quindi, la presenza di elementi certi e precisi che dimostrino la definitività della perdita realizzata e il suo ammontare, essendo, in linea di principio, deducibile una perdita definitiva ma non una perdita stimata.

    La valutazione dell’esistenza degli elementi certi e precisi, richiesta dal comma 5 dell’articolo 101 del TUIR è da effettuarsi caso per caso, in quanto subordinata a specifiche situazioni che possono, tuttavia, essere classificate in due grandi categorie:

    • quelle derivanti da una valutazione di inesigibilità definitiva;
    • quelle conseguenti ad un atto realizzativo o estintivo.

    Per un approfondimento sulla deducibilità delle perdite su crediti è possibile leggere l’articolo: Perdite su crediti: il punto sulla normativa civile e fiscale.

    Il problema dell’antieconomicità

    L’ordinanza numero 8445 della Corte di Cassazione, pubblicata il 28 marzo 2024, prende in esame una importante ipotesi di limitazione della deducibilità delle perdite su crediti, anche quando sostenute dagli elementi certi e precisi richiesti dalla normativa, non a caso oggetto di contestazione fino in Cassazione: il caso in cui il realizzo della perdita sottenda un comportamento antieconomico da parte del soggetto che l’ha realizzata, e che ne richiede il riconoscimento fiscale.

    Nel caso in esame viene contestata dall’amministrazione finanziaria la deducibilità di una perdita su crediti realizzata nel contesto di un accordo transattivo, in conseguenza di un accordo tra le parti.

    Non è la prima volta che l’Agenzia delle Entrate pone difficoltà alla deducibilità delle perdite su crediti in questa situazione; a riguardo è possibile leggere l’articolo L'accordo transattivo per difficoltà economica del cliente.

    Ma sul tema, nel caso in esame, la Corte di Cassazione è rimasta allineata alle precedenti indicazioni giurisprudenziali, che ormai si possono considerare consolidate, rifiutando così di apporre una limitazione di valutazione soggettiva (l’antieconomicità) a una struttura giuridica oggettiva (l’effettiva realizzazione di una perdita).

    Con maggiore precisione, La Corte di Cassazione con l’ordinanza 8445/2024 sostiene che:

    • in tema di imposte sui redditi, non è necessario, al fine di ritenere deducibili le perdite sui crediti quali componenti negative del reddito d'impresa, che il creditore fornisca la prova di essersi positivamente attivato per conseguire una dichiarazione giudiziale dell'insolvenza del debitore e, quindi, l'assoggettamento di costui ad una procedura concorsuale, essendo sufficiente che tali perdite risultino documentate in modo certo e preciso, atteso che […] le perdite sono deducibili, oltre che se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali, quando, comunque, risultino da elementi certi e precisi”;
    • con particolare riguardo all’ipotesi di transazione quale causa della perdita del credito (e prova della sua oggettività) è stato più volte affermato essere sufficiente provare il titolo della perdita realizzativa, rimanendo insindacabile altresì la palese antieconomicità, rientrando nelle scelte dell’imprenditore”;
    • la scelta imprenditoriale di transigere con un proprio cliente non rende indeducibile la perdita conseguente, perché il legislatore ha riguardo solo alla oggettività della perdita e non pone nessuna limitazione o differenziazione a seconda della causa di produzione della stessa, potendo legittimamente compiere operazioni antieconomiche in base a considerazioni di strategia generale ed in vista di benefici economici su altri fronti”.

    In definitiva, quindi, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza 8445/2024, sostiene il principio contenuto nella lettura letterale dell’articolo 101 del TUIR: una perdita su crediti, effettivamente realizzata, definita e definitiva, sostenuta da elementi certi e precisi, è deducibile anche in caso di accordo transattivo palesemente antieconomico, perché l’esame delle motivazioni che stanno alla base della decisione non è richiesta dalla normativa e, comunque, tali motivazioni non inficiano in alcun modo le caratteristiche della perdita che è in ogni caso effettivamente realizzata.

  • Bilancio

    Deposito Bilanci 2023: elenco dei codici bloccanti

    Unioncamere ha pubblicato la Guida per il Deposito dei Bilanci 2023 campagna 2024.

    Il corposo documento, come ogni anno, per tutti i soggetti obbligati, riporta le istruzioni per l'adempimento (ai sensi dell'art degli artt. 2435-bis e 2435-ter c.c.) del deposito del bilancio entro 30 giorni dalla data del verbale di approvazione. 

    Il documento in appendice riporta anche una tabella di riepilogo con tutti gli errori bloccanti rispetto all'invio dei files utili all'adempimento, vediamoli.

    Deposito Bilanci 2023: codici di errore bloccanti

    Ecco una tabella dei codici di errore bloccanti descritti nella guida per il 2024:

    Codice

    Descrizione dell'Errore

    XX

    Errore nell'estrazione del file firmato

    X0

    Il formato del file non è XBRL o è mal firmato

    XU

    L'istanza non è un file XBRL/XML valido (well formed)

    X1

    L’istanza presenta una tassonomia XBRL diversa da quella

    ufficiale (itcc-ci-2018-11-04) obbligatoria per i bilanci il cui

    inizio esercizio è uguale o successivo al 01-01-2016. La

    tassonomia dichiarata è <tassonomia utente>.

     

    L’istanza presenta una tassonomia XBRL diversa da quella

    ufficiale (itcc-ci-2015-12-14) obbligatoria per i bilanci il cui

    inizio esercizio è antecedente al 01-01-2016.

    La tassonomia dichiarata è <tassonomia utente>.

     

    L'istanza presenta una tassonomia XBRL non più

    supportata.

    La tassonomia dichiarata è <tassonomia utente>.

     

    XV

    Errore in fase di validazione dell'istanza rispetto allo schema di tassonomia di riferimento

    X3

    Dati mancanti sul Codice Fiscale  

    XF

    Il Codice Fiscale dichiarato nell'istanza non ha superato il controllo formale

    XC

    L'istanza non contiene il Conto Economico, prospetto obbligatorio

    X6

    Non è presente alcun campo di tipo numerico per l'annualità di esercizio più recente

    X7

    Non esiste almeno un campo numerico con valore diverso da zero per l'annualità di esercizio più recente

    X8

    L'Utile (perdita) Residua del Patrimonio Netto non coincide con l'Utile (perdita) dell'esercizio del Conto Economico per l'annualità di esercizio più recente 

    X9

    l Totale Attivo dello Stato Patrimoniale non coincide con il Totale Passivo dello Stato Patrimoniale per l'annualità di esercizio più recente, oppure sono entrambi assenti

    XL

    Il codice fiscale presente nell'istanza non corrisponde ai dati della pratica

    XE

    Il bilancio depositato nella pratica non rispetta lo schema per i bilanci consolidati

    XG

    Il bilancio depositato nella pratica non rispetta lo schema per i bilanci ordinari

    XO

    Il bilancio depositato nella pratica non rispetta lo schema per i bilanci abbreviati o ordinari

    XH

    Il bilancio depositato nella pratica non rispetta lo schema per i bilanci micro-imprese

    XB

    La data di chiusura esercizio <dce> è maggiore della data odierna  <data odierna>

    XZ

    La differenza tra data di inizio e fine esercizio è superiore a 425 giorni (due annualità) o 731 giorni (una sola annualità)

    XN

    Le annualità di bilancio non risultano contigue. Possibile causa: data di inizio esercizio più recente e fine esercizio precedente non sono contigue 

    XR

    Nel bilancio ordinario / consolidato manca il Rendiconto Finanziario, prospetto obbligatorio (D.Lgs. 139/2015) 

    XI

    Possibile incompletezza del bilancio: mancanza dell'introduzione della nota integrativa

    Questi codici rappresentano errori che bloccano il processo di deposito telematico dei bilanci finché non vengono risolti, garantendo la correttezza e la completezza delle informazioni presentate.

  • Bilancio

    Deposito Bilanci 2023: diritti e bolli da pagare

    La Guida 2024 Unioncamere per il deposito bilanci 2023 campagna 2024, tra l'altro, contiene gli importi per diritti di segreteria e bollo da corrispondere per il suddetto deposito.

    Nel capitolo 3 del documento al punto 3.1 vengono evidenziati i diritti e bolli per il deposito di:

    • bilanci ordinari,
    • bilanci abbreviati,
    • bilanci delle microimprese.

    Per gli altri importi di deposito bilanci si rimanda alla lettura integrale del capitolo 3.

    Deposito Bilanci 2023: diritti e bolli da pagare

    Ai sensi degli artt. 2435-bis e 2435-ter c.c. il bilancio va depositato entro 30 giorni dalla data del verbale di approvazione.

    A tale fine con il servizio di deposito delle CCAA, occorre versare:

    • diritti di segreteria: 
      • € 62,40, esente se start-up innovativa o incubatore certificato. Tale esenzione è dipendente dal mantenimento dei requisiti previsti dalla legge per l’acquisizione della qualifica di start up innovativa o di incubatore certificato, e dura comunque non oltre il quinto anno dalla costituzione per la start up innovativa e non oltre il quinto anno dall’iscrizione nella sezione speciale del Registro delle imprese per l’incubatore certificato; 
      • € 32,40 per le cooperative sociali dalla data di iscrizione nella sezione MU con categoria CSO dell’Albo nazionale cooperative. 
    • imposta di bollo: 
      • € 65,00, esente se start-up innovativa, incubatore certificato o PMI innovativa. Tale esenzione è dipendente dal mantenimento dei requisiti previsti dalla legge per l’acquisizione della qualifica di start up innovativa, di incubatore certificato o di PMI innovativa, e dura comunque non oltre il quinto anno dalla costituzione per la start up innovativa e non oltre il quinto anno dall’iscrizione nella sezione speciale del Registro delle imprese per l’incubatore certificato e per la PMI innovativa; cooperative sociali esenti dalla  Manuale operativo per il deposito dei bilanci al registro delle imprese anno 2024          

    Viene anche precisato che, i documenti da presentare sono i seguenti:

    • n. 1 copia del bilancio composto di Stato Patrimoniale, Conto Economico, Rendiconto Finanziario (obbligatorio per il solo bilancio ordinario) e Nota Integrativa (esclusi i bilanci delle micro-imprese – art. 2435-ter c.c.); il bilancio deve essere comparato con quello dell’anno precedente;  
    • n. 1 Relazione sulla Gestione, tale relazione è un allegato obbligatorio del bilancio ordinario (non necessaria per le società che redigono il bilancio in forma abbreviata e per le micro-imprese, ai sensi degli artt. 2435-bis e 2435-ter c.c.);  
    • n. 1 Verbale di assemblea (o del Consiglio di Sorveglianza) che ha approvato il bilancio, oppure, nel caso di decisione adottata mediante consultazione scritta o consenso espresso per iscritto (art. 2479 c.c.), Verbale della deliberazione di approvazione del bilancio redatto dagli amministratori; 
    • n. 1 Relazione del Collegio Sindacale (ove esistente) o Relazione unitaria di controllo societario del Collegio Sindacale incaricato della revisione legale dei conti;  
    • n. 1 Relazione del soggetto incaricato alla revisione legale dei conti (se diverso dal Collegio Sindacale).  

    Nel capitolo 5 della stessa guida delle camere di commercio si precisa che:

    • l’importo dei diritti di segreteria è pari a € 62,40 per via telematica, € 92,40 per deposito effettuato mediante supporto informatico digitale, comprensivo di € 2,40 per il contributo al finanziamento dell’Organismo italiano di contabilità OIC;
    • l’importo relativo all’imposta di bollo è pari a € 65,00. 

    Attenzione al fatto che i depositi a rettifica di bilanci già depositati sono soggetti agli ordinari diritti di segreteria (€ 62,40) e all’imposta di bollo (€ 65,00). 

    La rettifica degli elenchi soci già iscritti è soggetta al diritto di segreteria (€ 30,00) e all’imposta di bollo (€ 65,00). 

    Per tutti gli altri importi di deposito bilanci si rimanda alla lettura intergrale del capitolo 3 della guida di unioncamere

  • Bilancio

    Bilancio delle Microimprese: come è composto

    L'impresa deve redigere periodicamente il bilancio di esercizio al fine di accertare in modo chiaro, veritiero e corretto la propria situazione patrimoniale e finanziaria, al termine del periodo amministrativo di riferimento, nonché il risultato economico dell'esercizio stesso. 

    Il bilancio d’esercizio, ai sensi dell’articolo 2423 del codice civile, comma 1, è composto:

    • dallo stato patrimoniale,
    • dal conto economico,
    • dal rendiconto finanziario,
    • dalla nota integrativa.

    Le società che redigono il bilancio in forma abbreviata sono esonerate dalla redazione del rendiconto finanziario, ai sensi dell’art 2435-bis del codice civile.

    Le micro-imprese, sono esonerate dalla redazione del rendiconto finanziario e della nota integrativa, ai sensi dell’art 2435- ter del codice civile.

    Le micro imprese, ossia le imprese che nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti limiti:

    • totale dell’attivo dello Stato Patrimoniale: 175.000 €,
    • ricavi delle vendite e delle prestazioni: 350.000 €,
    • dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 5 unità,

    redigono il bilancio di esercizio con modalità semplificate, vediamole.

    Bilancio Microimprese: gli adempimenti

    L’art. 2435-ter del codice civile rubricato “Bilancio delle micro imprese”definisce la classe delle micro-imprese, disciplinandone i contenuti del bilancio di esercizio.

    In particolare, le micro-imprese sono esonerate dalla redazione di: Rendiconto Finanziario, Nota Integrativa, Relazione sulla gestione.

    Più in dettaglio le micro imprese sono esonerate dalla redazione:

    • del Rendiconto Finanziario,
    • della Nota Integrativa quando in calce allo Stato Patrimoniale risultino le informazioni previste dal primo comma dell’art. 2427 c.c.numeri 9) e 16):
      • l’importo complessivo degli impegni, delle garanzie e delle passività potenziali non risultanti dallo Stato Patrimoniale;
      • l'ammontare dei compensi, delle anticipazioni e dei crediti concessi agli amministratori ed ai sindaci;
    • dalla Relazione sulla gestione quando in calce allo Stato Patrimoniale risultino le seguenti informazioni richieste dall'art. 2428 c.c.n 3) e 4):
      • il numero e il valore nominale sia delle azioni proprie sia delle azioni o quote di società controllanti possedute dalla società,
      • il numero e il valore nominale sia delle azioni proprie sia delle azioni o quote di società controllanti acquistate o alienate dalla società, nel corso dell'esercizio.

    Nelle micro-imprese pertanto il bilancio d’esercizio può essere composto soltanto dallo Stato Patrimoniale e dal Conto Economico, per i quali sono previsti forma, struttura e contenuti uguali a quelli del bilancio in forma abbreviata. 

    Tuttavia, le microimprese possono comunque decidere di presentare il bilancio in forma ordinaria rinunciando alla agevolazione.

    Bilancio delle Microimprese: le nuove soglie dimensionali 2024

    Con la Direttiva Delegata n.2775/2023 in modifica alla Direttiva 2013/34/UE, viene previsto in capo agli Stati Membri l’obbligo di mettere in vigore le nuove disposizioni legislative relative alla modifica delle soglie dimensionali applicabili ai bilanci delle società.
    In particolare, con decorrenza dal 1 gennaio 2024 vengono modificate le soglie dimensionali applicabili ai bilanci delle società in considerazione soprattutto dell’elevata inflazione registrata negli anni 2021 e 2022.

    A tal proprosito Eurostat ha evidenziato che nell’arco di dieci anni dal 1 gennaio 2013 al 31 marzo 2023 l'inflazione si è attestata cumulativamente al 24,3% nella zona euro e al 27,2% nell’intera Unione.

    Pertanto, la Commissione Europea ha ritenuto necessario adeguare le soglie di cui all’articolo 3 paragrafi da 1 a 7 della direttiva 2013/34/UE per tenere conto dell’inflazione, aumentandole del 25% e arrotondandole per approssimazione.

    In seguito a quanto specificato, occorre considerare soglie nuove e più alte relativamente allo Stato Patrimoniale e al Conto Economico contenute nei commi da 1 a 7 dell’art.3 della direttiva bilanci e per quanto riguarda le Micro-imprese:

    • il valore riportato nella lettera a) passa da 350.000 euro a 450.000 euro;
    • il valore riportato nella lettera b) passa da 700.000 euro a 900.000 euro.

  • Bilancio

    Opzione riallineamento fiscale: cosa fare in caso di errore

    L'agenzia delle entrate con l'interpello n 42 del 9 febbraio fornisce chiarimenti su errata opzione della scelta in dichiarazione per il riallineamento fiscale.

    In dettaglio, chiarisce che non è utilizzabile l'istituto del ravvedimento operoso e specifica i casi in cui è utilizzabile la remissione in bonis, vediamo il perché e i dettagli del caso di specie.

    Opzione riallineamento fiscale: cosa fare in caso di errore

    L'istante pone un quesito in merito alla possibilità di modificare, mediante dichiarazione integrativa, la dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta 2019, per rettificare il contenuto dei campi ove è stata esercitata ''erroneamente'' una opzione (quella per riallineamento dei valori ex articolo 176, comma 2ter, del Tuir), in luogo di quella effettivamente scelta (opzione per il riallineamento di cui dall'articolo 1, commi da 696 a 704, della legge 27 dicembre  2019, n. 160). 

    In particolare, il contribuente «nel corso del 2017, ha effettuato un'operazione straordinaria di fusione dalla quale sono emerse delle differenze tra il valore civilistico e il valore fiscale relativamente ad un terreno sul quale insiste un fabbricato industriale.  

    Per effetto della citata operazione di fusione, nella dichiarazione dei redditi relativa all'anno 2018 è stato compilato il quadro RV per evidenziare il disallineamento  dei valori pari ad euro […]. […]  

    La società istante ha inteso usufruire della normativa ritenuta di favore [prevista  dal citato articolo 1, commi da 696 a 704, della legge n. 160 del 2019, per riallineare  fiscalmente e a pagamento i differenziali di valore contabile/fiscale riferibili ai beni  d'impresa, ndr.]. […] (…)».  

    Tuttavia, nella dichiarazione dei redditi 2020 (anno d'imposta 2019), regolarmente presentata dalla Società istante, il citato riallineamento è stato erroneamente esposto nella sez. VIA del quadro RQ anziché nella sezione XXIIIB dello stesso quadro RQ.  

    In conseguenza dell'errore commesso nella compilazione della dichiarazione dei redditi inviata telematicamente, l'imposta sostitutiva è stata erroneamente versata utilizzando il codice tributo 1126 (di cui al riallineamento ex art. 176 del TUIR) invece che con il codice da riallineamento ex art. commi 696 e seguenti della Legge n. 160/2019 (codice tributo 1811) che, peraltro, avrebbe comportato un versamento inferiore.

    Premesso che, «nel corso del prossimo futuro, concluderà una serie di atti di  vendita aventi ad oggetto gli immobili oggetto di riallineamento  l'istante intende pertanto conoscere se:  

    • può rimediare presentando una dichiarazione integrativa con i dati esatti ricorrendo al ravvedimento operoso e chiedendo la rettifica del codice tributo indicato nel modello F24 mediante pratica Civis;
    • in caso di risposta negativa, l’istante ritiene di poter sanare l’errore recuperando la somma tramite credito d'imposta, in linea, a suo parere, con l'articolo 3, commi 2 e 3, del Dm n. 86/2002 in tema di rivalutazioni e riallineamento di valori.

    Opzione riallineamento fiscale: cosa fare in caso di errore

    Le Entrate specificano che ambedue i quesiti prospettati:

    1. l'uno in merito alla possibilità di modificare, mediante ravvedimento operoso, la dichiarazione in parola esercitando  una opzione differente rispetto a quella già espressa, 
    2. e l'altro di recuperare l'imposta  sostitutiva versata tramite il riconoscimento di un credito d'imposta 

    trovano risposta sfavorevole per le ragioni di seguito esposte.  

    Con l'istituto del ravvedimento operoso, disciplinato dall'articolo 13 del decreto legislativo del 18 dicembre 1997, n. 472, è possibile definire una irregolarità fiscale (i.e. errori, omissioni, versamenti tardivi  o carenti), provvedendo spontaneamente alla rimozione formale della violazione commessa e, contestualmente, al pagamento dell'imposta dovuta, degli interessi e della  sanzione in misura ridotta in ragione del tempo trascorso dalla commissione delle violazioni stesse.

    Detto istituto non può, invece, essere utilizzato per modificare scelte o correggere errori o omissioni compiuti in applicazione di regimi opzionali.  

    Al più, lo strumento specificamente introdotto dal legislatore in particolare, con l'articolo 2, comma 1 del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16 (convertito con  modificazioni dalla legge 26 aprile 2012, n. 44) volto a evitare che, in determinate circostanze, al contribuente, in possesso di requisiti sostanziali normativamente richiesti, sia preclusa la possibilità di fruire di benefici fiscali o di regimi opzionali è, invero,  l'istituto della remissione in bonis. 

    In base al richiamato articolo 2, «sempre che la violazione non sia stata constatata  o non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l'autore dell'inadempimento abbia avuto formale conoscenza», il contribuente può fruire di benefici di natura fiscale e accedere ai regimi fiscali opzionali  laddove

    • «a) abbia i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento; 
    • b) effettui la comunicazione ovvero esegua l'adempimento richiesto entro il  termine di presentazione della prima dichiarazione utile; 
    • c) versi contestualmente l'importo pari alla misura minima della sanzione  stabilita dall'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, secondo le modalità stabilite dall'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio1997, n.241,  esclusa la compensazione ivi prevista».  

    Con la circolare n. 38/E del 28 settembre 2012, è stato chiarito che «il  contribuente deve effettuare la comunicazione ovvero eseguire l'adempimento richiesto  ''entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile'', da intendersi come la  prima dichiarazione dei redditi il cui termine di presentazione scade successivamente al  termine previsto per effettuare la comunicazione ovvero eseguire l'adempimento stesso»  requisito che, nel caso di specie, non sussiste per decorso del termine.  

    Sempre con la circolare n. 38/E del 2012 è stato chiarito, inoltre, che la previsione normativa in oggetto "esclude che il beneficio possa essere fruito o il regime applicato nelle ipotesi in cui il tardivo assolvimento  dell'obbligo di comunicazione ovvero dell'adempimento di natura formale rappresenti un mero ripensamento, ovvero una scelta a posteriori basata su ragioni di opportunità.  L'esistenza della buona fede, in altri termini, presuppone che il contribuente  abbia tenuto un comportamento coerente con il regime opzionale prescelto ovvero con  il beneficio fiscale di cui intende usufruire (c.d. comportamento concludente), ed abbia  soltanto omesso l'adempimento formale normativamente richiesto, che viene posto in  essere successivamente".  

    A parere delle Entrate, nel caso descritto, non si ravvisa alcuna distonia che avrebbe potuto dar luogo all'applicazione della disciplina della remissione in bonis, in ogni caso scaduta visto che il ''comportamento'' tenuto dall'istante versamento dell'imposta sostitutiva  eseguito ben prima (24 luglio 2020) della presentazione della dichiarazione annuale (28  ottobre 2020) a suo dire errata  è coerente con il regime opzionale indicato nella citata dichiarazione e non con quello che si chiede di modificare. 

    Ne deriva che la richiesta di modificare l'opzione a posteriori appare un mero ripensamento, una scelta basata  su ragioni di opportunità, a nulla rilevando il richiamo al riallineamento fiscale di cui  all'articolo 1 commi 696 e seguenti della legge n. 160 del 2019 presente nell'informativa  del bilancio d'esercizio relativo al 2019, che rappresenta una manifestazione d'intento cui non ha fatto seguito un comportamento concludente e fiscalmente rilevante. 

    Alla luce delle considerazioni suesposte, all'istante è preclusa la possibilità di  emendare l'opzione espressa nella dichiarazione annuale relativa al periodo d'imposta  2019.  

    Al fine di recuperare la maggiore imposta sostitutiva versata  l'istante potrà esclusivamente presentare istanza di rimborso ex articolo 38 del decreto  del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, entro i termini dal medesimo  previsti (48 mesi dal versamento), illustrando all'ufficio competente i motivi per i quali il  versamento va considerato indebito. 

    Non è, invece, ammissibile il riconoscimento di un  credito d'imposta in conformità a quanto disposto dall'articolo 3, commi 2 e 3, del DM n.  86 del 19 aprile 2002,

    Allegati:
  • Bilancio

    Proposta distribuzione utili: conseguenze sul bilancio in caso di modifica

    Con il caso n 5 pubblicato il 7 settembre da Assonime intitolato "La modifica della proposta di destinazione degli utili e i suoi effetti sul bilancio di esercizio"  si chiarisce che la delibera di distribuzione dell’utile adottata dall’assemblea, pur essendo conseguenziale alla delibera di approvazione del bilancio che accerta la consistenza dell’utile stesso, ha natura autonoma e nettamente distinta da quella di approvazione del bilancio.  

    Nel caso n 5 Assonime evidenzia che, gli amministratori devono indicare, nella nota integrativa del bilancio d’esercizio, la proposta di destinazione degli utili dell’esercizio.

    Tuttavia, la competenza sulla decisione in ordine alla destinazione dell’utile spetta all’assemblea ordinaria che, sul punto, adotta un’autonoma deliberazione, successiva a quella di approvazione del bilancio, che può modificare la proposta presentata dagli amministratori. 

    Nella prassi è stata sollevata la questione se la modifica alla proposta degli amministratori in merito alla destinazione degli utili, deliberata dall’assemblea, comporti la necessità di approvare nuovamente il bilancio d’esercizio.

    Ricordiamo che l’art. 2433 del Codice civile prevede che spetta all’assemblea ordinaria che approva il bilancio adottare una delibera di distribuzione utili. 

    La delibera di distribuzione dell’utile adottata dall’assemblea, pur essendo conseguenziale alla delibera di approvazione del bilancio che accerta la consistenza dell’utile stesso, ha natura autonoma e nettamente distinta da quella di approvazione del bilancio. 

    La proposta degli amministratori sulla destinazione degli utili contenuta nella nota integrativa ha la funzione di aprire la sequenza procedimentale volta alla destinazione dell’utile, definendo l’oggetto della delibera assembleare.

    Nel caso in cui l’assemblea modifichi la proposta del consiglio di amministrazione, la nota integrativa non deve essere modificata poiché l’informazione in essa contenuta è diretta a rendere conoscibile la proposta iniziale del consiglio, quale si è cristallizzata al momento della presentazione del progetto di bilancio, e non la decisione finale assunta dall’assemblea, che deve essere desunta dal punto specifico dell’ordine del giorno del verbale di assemblea che adotta la delibera.

  • Bilancio

    Versamenti in conto futuro aumento di capitale: dottrina e recente giurisprudenza

    Gli apporti dei soci in azienda, successivi alla costituzione e al versamento del capitale sociale iniziale, possono essere a titolo di finanziamento o a fondo perduto.

    I versamenti a titolo di finanziamento possono essere fruttiferi o infruttiferi, ma in ogni caso danno diritto alla restituzione delle somme versate, essendo a tutti gli effetti un debito della società, seppur verso i soci.

    I versamenti a fondo perduto, diversamente, non danno diritto alla restituzione delle somme versate; e di solito sono costituiti da:

    • versamenti in conto capitale;
    • versamenti a copertura delle perdite.

    I versamenti in conto capitale sono apporti dei soci effettuati con l’obiettivo di patrimonializzare la società; quando avvengono in una situazione di crisi, sono spesso richiesti nel contesto di un progetto di ristrutturazione del debito.

    Ciò che caratterizza entrambe queste forme di conferimento atipico, è il fatto che l’impresa acquisisce le risorse a titolo definitivo, iscrivendo al patrimonio netto delle riserve disponibili.

    Una particolare forma di conferimento atipico è il versamento in conto futuro aumento di capitale: che si realizza ogni qual volta i versamenti vengono effettuati per un aumento di capitale programmato ma non ancora deliberato

    La particolare connotazione della fattispecie fa sì che questa presenti delle caratteristiche peculiari non sempre di inequivoca qualificazione.

    L’Organismo italiano di contabilità, sul suo documento OIC 28 dedicato al “Patrimonio netto”, considera questi versamenti effettuati a titolo definitivo, da iscriversi in apposita riserva del patrimonio netto; e, del resto, da un punto di vista fiscale, questi conferimenti vengono accettati ai fini ACE.

    Ma altra parte della dottrina, come i Notai del Triveneto (sulle massime H.I.2 e I.K.2), in mancanza della definitività che deriva dalla delibera di aumento di capitale, esclude l’ipotesi di iscrizione al patrimonio netto, considerando questi versamenti effettuati a titolo di finanziamento.

    In questo contesto fungono da utili bussole due recenti ordinanze della Corte di Cassazione, la numero 24093/2023 e la numero 34503/2021, che appunto affrontano la questione.

    Secondo la Corte “una funzione oggettiva di credito è da escludere dinanzi a versamenti in conto di un futuro aumento di capitale, visto che essi, ove l'aumento intervenga, vanno a confluire automaticamente in esso, mentre, ove l'aumento non intervenga, vanno sì restituiti, ma non perché eseguiti a titolo di finanziamento, sebbene semplicemente perché la fattispecie in effetti programmata – l'aumento di capitale – non si è perfezionata”, e “l'iscrizione in bilancio avviene in tali casi come riserva, e non come finanziamento soci e come debito della società verso i medesimi”.

    Quindi i versamenti a titolo di futuro aumento di capitale vanno considerati come dei conferimenti effettuati a fondo perduto con uno specifico vincolo di destinazione, che dovranno essere restituiti nel momento in cui non si concretizza la destinazione per cui erano stati versati

    In conseguenza di ciò questi versamenti sono privi della natura del mutuo, in quanto il rimborso non è un diritto, ma una conseguenza del venire meno della finalità per cui erano stati effettuati.

    Per cui questi versamenti potranno essere considerati a titolo definitivo e iscritti al patrimonio netto come riserve personalizzate dei soci che ne hanno effettuato il versamento.

    Tuttavia, affinché sia legittimamente possibile ricondurre a questa situazione i versamenti effettuati dei soci, è necessario che la subordinazione del versamento all’aumento di capitale (per quanto futuro) sia inequivocabile, specifica e dettagliata non essendo sufficiente, la sola denominazione adoperata nelle scritture contabili, ma dovendosi dare conto anche delle finalità pratiche e degli interessi sottesi, e quindi si deve tenere conto delle clausole statutarie, delle scritture contabili e dei bilanci, del comportamento delle parti e di ogni altro elemento concreto possa avere rilievo”; in modo particolare vanno valorizzati quegli indici di dettaglio utili a qualificare le veridicità dell’operazione come l’indicazione “del termine finale entro cui verrà deliberato l'aumento, comportamento delle parti, eventuali annotazioni contenute nelle scritture contabili o, a titolo di ulteriore esempio, anche nella nota integrativa al bilancio”, o simili.

  • Bilancio

    Distruzione documenti contabili per forza maggiore: cosa fare ai fini fiscali

    La DRE Direzione Regionale delle Entrate dell'Emilia Romagna ha diffuso una nota datata fine giugno con indicazioni in relazione ai possibili comportamenti da adottare nella fattispecie di perdita della contabilità e/o delle merci nel caso specifico di alluvione o, in generale, per causa di forza maggior:

    Si forniscono, in particolare, le indicazioni che i contribuenti debbono adottare, in tali circostanze, per certificare, ai fini fiscali, la distruzione di beni e di documenti contabili 

    Il decreto legge n. 61 del 1 giugno 2023, in corso di conversione, emanato a seguito degli eventi alluvionali verificatisi in regione nello scorso mese di maggio, ha individuato i comuni colpiti dalle inondazioni.

    In particoalre sono stati inseriti alcuni comuni delle province di Bologna, Ferrara e Rimini e tutti i comuni delle province di Forlì Cesena e Ravenna. 

    In tali territori sono stati registrati gravi danni con ricadute che hanno interessato i magazzini merci e i documenti contabili conservati presso le strutture colpite. 

    Con la nota in oggetto si forniscono le indicazioni in relazione ai possibili comportamenti da adottare nelle fattispecie di perdita della contabilità e/o delle merci nel caso specifico o, in generale, per causa di forza maggiore, ossia  si forniscono le indicazioni che i contribuenti debbono adottare, in tali circostanze, per certificare, ai fini fiscali, la distruzione di beni e di documenti contabili. 

    Per la distruzione fortuita di beni strumentali e merci, l’ art. 2, comma 3, del D.P.R. 441/97, dispone che: “La perdita dei beni dovuta ad eventi fortuiti, accidentali o comunque indipendenti dalla volontà del soggetto è provata da idonea documentazione fornita da un organo della pubblica amministrazione o, in mancanza, da dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ai sensi dell’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, resa entro trenta giorni dal verificarsi dell’evento o dalla data in cui se ne ha conoscenza, dalle quali risulti il valore complessivo dei beni perduti, salvo l’obbligo di fornire, a richiesta dell’Amministrazione finanziaria, i criteri e gli elementi in base ai quali detto valore è stato determinato”. 

    Chiarimenti sono stati forniti con circolare n. 6/E del 25 gennaio 2002 (punto 18) e con la circolare n. 31/E del 2 ottobre 2006 (punto 4) alle quali si rinvia per i dettagli. 

    In particolare è stato chiarito che la perdita involontaria di beni, dovuta ad eventi fortuiti, accidentali o comunque indipendenti dalla volontà del contribuente, può essere provata anche attraverso la documentazione fornita da un organo della Pubblica Amministrazione quale ad es. il verbale di accertamento della distruzione dei beni redatto da parte dei Vigili del fuoco o, in mancanza, da una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, da rendersi entro i trenta giorni dal verificarsi dell'evento o dalla data in cui se ne ha conoscenza, dalla quale risulti il valore complessivo dei beni mancanti. 

    La circolare 31/E citata, inoltre, richiamando la precedente circolare 6/2002, chiarisce che tale dichiarazione non deve essere inviata all’Agenzia delle Entrate, ma esibita, in caso di richiesta, agli organi di controllo dell’Amministrazione finanziaria. L’autocertificazione deve contenere il valore delle merci perdute indicato in contabilità e avere data certa e ad essa va allegata copia del documento d’identità del sottoscrittore. 

    Per quanto riguarda la perdita involontaria dei documenti contabili a causa dei predetti eventi alluvionali, il contribuente dovrà presentare denuncia alle competenti autorità di pubblica sicurezza; specificando i luoghi ove le scritture si trovavano al momento dell’evento calamitoso .

    Distruzione documenti contabili per alluvione: cosa fare ai fini fiscali

    La nota chiarisce che il contribuente dovrà poi ricostruire, per quanto possibile, i dati e gli elementi contenuti nelle scritture andate distrutte, provvedendo: 

    • al recupero degli stessi da eventuali server o cloud utilizzati per la memorizzazione e registrazione dei fatti e documenti aziendali; 
    • al recupero, anche attraverso il sistema di interscambio, delle fatture elettroniche; è opportuno che una copia della denuncia presentata all’autorità di pubblica sicurezza venga trasmessa per conoscenza alla Direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate competente territorialmente sulla base del domicilio fiscale del soggetto. 
    • alla eventuale nuova stampa dei registri contabili danneggiati, qualora la contabilità sia tenuta su supporti informatici ancora disponibili e solo qualora la stampa sia obbligatoria; 
    • a contattare fornitori, clienti, banche, professionisti, associazioni, ecc., per acquisire la copia della documentazione a sostegno delle operazioni commerciali e dei fatti gestionali (lettere, contratti, ecc.) nel caso la distruzione riguardi anche tali elementi probatori. 

    La perdita, per eventi fortuiti o accidentali, di documenti probatori a favore del contribuente non esonera quest’ultimo, infatti, dall'onere della prova, ma gli consente di superare le ordinarie limitazioni (detenzione delle fatture, annotazione nei registri, dichiarazione annuale) per ricostruire le scritture contabili andate distrutte. Tale onere è confermato dall’art. 39, secondo comma, lettera c) del d.p.R. 29 settembre 1973, n.600, ai sensi del quale l’accertamento induttivo è sempre possibile “quando le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore”.