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Premi di risultato corrisposti da società a partecipazione pubblica: la tassazione
Con Risposta a interpello n 296 del 14 aprile le Entrate replicano ad una Società a controllo pubblico che potrà applicare l'imposta sostitutiva dell'Irpef e delle relative addizionali nella misura del 10%, prevista dalla legge di Stabilità 2016, sui premi di risultato corrisposti ai dipendenti, vediamo le condizioni.
L'istante ha per oggetto:
- la costruzione, la compravendita, la manutenzione e/o la gestione di impianti e servizi ambientali,
- la gestione di risorse energetiche e distribuzione di calore, compreso la commercializzazione, la produzione e distribuzione di energia elettrica
- ed ogni altra iniziativa finalizzata ad un'efficiente tutela dell'ambiente
- nonché tutte le attività direttamente o indirettamente collegate ai servizi ad essa affidati dagli enti soci (tra i quali Comuni e Comprensori).
Alla società istante «deve essere attribuita la natura giuridica disciplinata dal decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 di società in house a partecipazione pubblica della tipologia a controllo pubblico».
La Società istante applica ai propri dipendenti il CCNL per i servizi ambientali sottoscritto in data 18 maggio 2022.
In particolare, l'articolo 2, del CCNL per i servizi ambientali, al comma 1, lettera «c) La contrattazione aziendale a contenuto economico: premio di risultato» dispone che le parti (nel caso di specie la Società istante e le OO.SS. territorialmente competenti) prevedano «una contrattazione a contenuto economico con la funzione di definire un'erogazione annuale variabile denominata ''premio di risultato''».
Il successivo comma 2 prevede che «La contrattazione collettiva aziendale sul premio di risultato persegue l'obiettivo di collegare incentivi economici a incrementi di produttività, di qualità, di redditività, di efficacia, di innovazione, di efficienza organizzativa (…). Per avere caratteristiche tali da consentire l'applicazione dei più favorevoli trattamenti contributivi e fiscali previsti dalla normativa di legge, il premio di risultato, determinato dagli incrementi di cui sopra, è variabile ed è calcolato con riferimento ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi concordati fra le parti».
Al comma 5, viene precisato che «Gli importi, i parametri e i meccanismi utili alla determinazione del premio di risultato correlato agli incrementi di cui al comma 2 sono definiti dalle parti in sede aziendale in coerenza con gli elementi di conoscenza di cui sopra, assicurando piena trasparenza sui parametri assunti, il rispetto dei tempi delle verifiche e l'adeguatezza dei processi di informazione e consultazione».
L'Istante specifica che, per gli anni di competenza 2023-2024-2025, ha sottoscritto in data 18 novembre 2022 l'accordo sindacale, nel quale al paragrafo 8, ''Obiettivi incrementali'' prevede che «Le Parti concordano che al fine di poter applicare al premio il regime di tassazione agevolata, deve essere realizzato alternativamente, uno degli obiettivi qualitativi e di efficienza di seguito dettagliati, assumendo come riferimento temporale i dati risultanti al 31.12 di ciascun anno precedente quello di competenza del premio».
L'Istante osserva che, ai fini dell'applicazione del regime fiscale previsto dall'articolo 1, commi da 182 a 189, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di Stabilità 2016), il decreto attuativo del 25 marzo 2016 all'articolo 2, comma 2, «lascia presupporre che gli obiettivi e i criteri ivi citati si prestino maggiormente ad attività commerciali e/o finanziare».
Pertanto chiede conferma che alle somme erogate a titolo di premio di risultato ai propri dipendenti, qualora sia raggiunto uno degli obiettivi previsti dalla contrattazione aziendale, possa applicarsi il predetto regime agevolato
Le Entrate specificano che per l'applicazione della misura agevolativa, il comma 187 della stessa legge di Stabilità 2016 stabilisce che l'erogazione delle somme avvenga in esecuzione dei contratti aziendali o territoriali di cui all'articolo 51 del Dlgs n. 81/2015 che individuino i criteri di misurazione degli incrementi premiali.
Viene poi evidenziato che in base alle previsioni della legge di Stabilità 2016 l'agevolazione in esame sarebbe riservata ai lavoratori del settore privato, come chiarito anche dalla circolare n. 28/2016.
Sono quindi escluse dalla tassazione agevolata tutte le Amministrazioni pubbliche (articolo 1, comma 2, del Dlgs n. 165/2001).
Allegati:
L’Agenzia rimanda anche all'orientamento della nota del Lavoro del 13 marzo 2015 che, nel fornire un parere alle Entrate, ha chiarito che il beneficio può essere attribuito anche ai datori di lavoro non imprenditori e che il riferimento al settore privato sembrerebbe finalizzato solo ad escludere le pubbliche amministrazioni.).
In conclusione l’Agenzia ritiene che la società a partecipazione pubblica, nel presupposto che non rientri tra le amministrazioni pubbliche indicate nel citato Dlgs n. 165/2001, potrà applicare la tassazione agevolata ai premi di risultato corrisposti ai dipendenti, al raggiungimento di uno degli obiettivi previsti dalla contrattazione aziendale. -
Rimborsi dalle Entrate: pagati in titoli di Poste se il contribuente non ha il c/c
Con un chiarimento pubblicato in data 22 marzo le Entrate specificano che, il contribuente che non è titolare di un conto corrente non deve presentare alcuna istanza di rimborso fiscale.
È vero che i rimborsi di competenza dell’Agenzia delle entrate sono pagati prioritariamente mediante un bonifico sul conto corrente, bancario o postale, indicato dall’interessato.
Ma nei casi di mancata comunicazione delle coordinate IBAN, il pagamento dei rimborsi alle persone fisiche avviene tramite:
- titoli di credito a copertura garantita (assegni vidimati) emessi da Poste Italiane S.p.A.
- recapitati, con raccomandata, presso il domicilio fiscale del beneficiario che,
- entro 60 giorni dalla data di emissione (il termine di validità è impresso sul titolo), potrà presentare l’assegno per l’incasso in contanti presso un qualsiasi ufficio postale.
Rimborsi relativi al Modello 730/2023
In merito ai rimborsi derivanti dal 730/2023, in base a quanto specificato dalla istruzioni della stessa Agenzia, nel prospetto di liquidazione consegnato dal Caf o dal professionista, sono evidenziate le eventuali variazioni intervenute a seguito dei controlli effettuati e sono indicati i rimborsi che saranno erogati dal sostituto d’imposta e le somme che saranno trattenute.
In particolare, a partire dalla retribuzione di competenza del mese di luglio, il datore di lavoro o l’ente pensionistico deve effettuare i rimborsi relativi all’Irpef e alla cedolare secca o trattenere le somme o le rate (se è stata richiesta la rateizzazione), dovute a titolo di saldo e primo acconto relativi all’Irpef e alla cedolare secca, di addizionali regionale e comunale all’Irpef, di acconto del 20 per cento su taluni redditi soggetti a
tassazione separata, di acconto all’addizionale comunale all’Irpef.
Leggi anche: Dichiarazione 730/2023: il calendario delle scadenze con tutte le date da ricordare
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Impegno a trasmettere la dichiarazione dei redditi: come funziona
Il rilascio al contribuente dell’impegno a trasmettere la dichiarazione dei redditi è obbligatorio, anche se non espressamente richiesto.
Osserviamo come, nel Modello Redditi PF 2023, ma le regole valgono anche per gli altri modelli dichiarativi, vi è una sezione apposita denominata "Impegno alla presentazione telematica" che va compilata nel caso in cui il contribuente invii la propria dichiarazione dei redditi tramite un intermediario abilitato.
Un riepilogo delle regole.
Impegno a trasmettere la dichiarazione dei redditi: istruzioni
Il riquadro "Impegno alla presentazione telematica" deve essere compilato e sottoscritto dall’incaricato che presenta la dichiarazione in via telematica.
L’incaricato deve:
- indicare il proprio codice fiscale;
- riportare nella casella “Soggetto che ha predisposto la dichiarazione”,
- il codice “1” se la dichiarazione è stata predisposta dal contribuente
- o il codice “2” se la dichiarazione è stata predisposta da chi effettua l’invio;
- barrare la casella “Ricezione avviso telematico controllo automatizzato dichiarazione”, qualora accetti la scelta del contribuente di fargli pervenire l’avviso relativo agli esiti del controllo effettuato sulla dichiarazione;
- barrare la casella “Ricezione altre comunicazioni telematiche”, qualora accetti la scelta del contribuente di fargli pervenire ogni comunicazione riguardante possibili anomalie presenti nella dichiarazione e nei relativi allegati;
- riportare la data (giorno, mese e anno) di assunzione dell’impegno a presentare la dichiarazione, ovvero dell’impegno cumulativo;
- apporre la firma.
Gli intermediari, individuati ai sensi dell’art. 3, comma 3, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 e successive modificazioni, sono obbligati a trasmettere, per via telematica, all’Agenzia delle Entrate, sia le dichiarazioni da loro predisposte per conto del dichiarante sia quelle predisposte dal dichiarante stesso e per le quali hanno assunto l’impegno alla presentazione per via telematica.
Impegno a trasmettere la dichiarazione dei redditi: i documenti
Sulla base delle disposizioni contenute nel D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 e successive modificazioni, gli intermediari abilitati, devono:
- rilasciare al dichiarante, contestualmente alla ricezione della dichiarazione o all’assunzione dell’incarico per la sua predisposizione, l’impegno a trasmettere per via telematica all’Agenzia delle Entrate i dati in essa contenuti, precisando se la dichiarazione è stata consegnata già compilata o verrà da esso predisposta; detto impegno dovrà essere datato e sottoscritto, seppure rilasciato in forma libera. Se il contribuente ha conferito l’incarico per la predisposizione di più dichiarazioni o comunicazioni, l’incaricato deve rilasciare al dichiarante, anche se non richiesto, l’impegno cumulativo a trasmettere in via telematica all’Agenzia delle entrate i dati contenuti nelle dichiarazioni o comunicazioni. L’impegno si intende conferito per la durata indicata nell’impegno stesso o nel mandato professionale e, comunque, fino al 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui è stato rilasciato, salvo revoca espressa da parte del contribuente;
- rilasciare altresì al dichiarante, entro 30 giorni dal termine previsto per la presentazione della dichiarazione per via telematica, l’originale della dichiarazione i cui dati sono stati trasmessi per via telematica, redatta su modello conforme a quello approvato dall’Agenzia delle Entrate, debitamente sottoscritta dal contribuente, unitamente a copia della comunicazione attestante l’avvenuto ricevimento. Detta comunicazione di ricezione telematica costituisce per il dichiarante prova di presentazione della dichiarazione e dovrà essere conservata dal medesimo, unitamente all’originale della dichiarazione e alla restante documentazione per il periodo previsto dall’art. 43 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, in cui possono essere effettuati gli eventuali controlli;
- conservare copia delle dichiarazioni trasmesse, anche su supporti informatici, per lo stesso periodo previsto dall’art. 43 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, ai fini dell’eventuale esibizione in sede di controllo.
Attenzione al fatto che, al contribuente spetta il compito di verificare il puntuale rispetto dei suddetti adempimenti da parte dell’intermediario, segnalando eventuali inadempienze a qualsiasi ufficio della regione in cui è fissato il proprio domicilio fiscale e rivolgersi eventualmente ad altro intermediario per la trasmissione telematica della dichiarazione per non incorrere nella violazione di omissione della dichiarazione.
Impegno a trasmettere la dichiarazione: violazioni e sanzioni
La data da apporre sull’impegno alla trasmissione telematica segue delle regole precise, la cui violazione comporta sanzioni, da parte dell’Amministrazione finanziaria.
In particolare:
- le dichiarazioni consegnate agli intermediari successivamente al termine previsto per la presentazione, in via telematica, devono essere trasmesse entro 30 giorni dalla data contenuta nell’impegno alla trasmissione rilasciato al contribuente.
- per gli impegni alla trasmissione telematica rilasciati antecedentemente al termine previsto per la presentazione telematica del modello dichiarativo, occorrerà trasmettere telematicamente il modello nel termine ultimo previsto per la presentazione in via telematica.
Esempio 1
- Anno d’imposta 2020
- Dichiarazione consegnata dal contribuente all’intermediario il 15 dicembre 2021 (successivamente al termine per la trasmissione)
- Rilascio impegno impegno alla trasmissione in data 15 dicembre 2021
- Trasmissione della dichiarazione entro i successivi 30 giorni.
Esempio 2
- Anno d’imposta 2020,
- Dichiarazione consegnata dal contribuente all’intermediario il 10 giugno 2021,
- Rilascio dell'impegno in data 10 giugno 2021
- Trasmissione dichiarazione entro il 30 novembre 2021.
La sanzione edittale è di euro 516, tranne in caso di presentazione entro trenta giorni dalla scadenza del relativo termine, nel cui caso viene ridotta della metà ossia euro 258.
Leggi: Sanzioni intermediario in caso di omessa o tardiva dichiarazione.
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Polizza vita residente estero: perimetro per l’imposta sostitutiva
Con Risposta a interpello n. 246 dell'8 marzo l'Agenzia replica a dubbi in merito alla imposta sostitutiva dell'IRPEF, prevista per le persone fisiche titolari di redditi da pensione di fonte estera.
In particolare, viene chiarito sinteticamente che la sottoscrizione di polizza assicurativa sulla vita che non abbia carattere previdenziale è esclusa dal regime di favore (di cui all'articolo 24–ter del d.P.R 22 dicembre 1986, n. 917), vediamo il perchè.
L'Istante, residente in Germania, intende trasferire la propria residenza fiscale in Italia in uno dei comuni indicati dall'articolo 24ter del TUIR con meno di 20.000 abitanti.
Egli percepisce una rendita ''vitalizia'' da un ente privato tedesco erogata in base alla sottoscrizione di una polizza di assicurazione sulla vita avente finalità di copertura del rischio di invalidità permanente.
Con la documentazione integrativa l'Istante precisa che tale rendita è erogata «a causa della sua disabilità. Se l'istante non si fosse ammalato, l'assicuratore avrebbe pagato la somma assicurata alla fine del periodo assicurativo fissato per l'anno 2029 per intero in unica soluzione oppure come pensione mensile, erogata fino alla morte dell'assicurato».
Ciò premesso, chiede se può accedere al regime di cui al citato articolo 24ter del TUIR riservato alle persone fisiche titolari di redditi da pensione di fonte estera.
Le Entrate specificano che, come chiarito con la circolare n. 21/E del 2020, le persone fisiche, che trasferiscono la propria residenza fiscale in taluni Comuni indicati nel predetto articolo 24ter del TUIR, possono optare per l'assoggettamento dei redditi di qualunque categoria, prodotti all'estero (secondo i criteri di cui all'articolo 165, comma 2, del medesimo TUIR), ad un'imposta sostitutiva, con aliquota del 7 per cento, da applicarsi per ciascuno dei periodi di validità dell'opzione (complessivamente 10 anni), secondo i criteri dei commi 4 e 5 dello stesso articolo 24 ter.
In sostanza, l'applicazione del regime in argomento è subordinata alla condizione che la persona fisica che si trasferisce in Italia possieda «redditi da pensione di cui all'articolo 49, comma 2, lettera a), erogati da soggetti esteri».
In particolare, in base all'articolo 49, comma 2, lett. a) del TUIR, «costituiscono redditi di lavoro dipendente le pensioni di ogni genere e gli assegni ad essi equiparati».
Al riguardo, con la circolare n. 21/E del 2020 è stato specificato che:
- il regime in commento è rivolto ai soggetti destinatari di trattamenti pensionistici «di ogni genere e di assegni ad essi equiparati» erogati esclusivamente da soggetti esteri. Sono esclusi dal regime in esame, invece, i soggetti non residenti che percepiscono redditi erogati da un istituto di previdenza residente in Italia;
- rientrano nella nozione di redditi da pensione anche tutti quegli emolumenti dovuti dopo la cessazione di un'attività lavorativa, che trovano genericamente la loro causale anche in un rapporto di lavoro diverso da quello di lavoro dipendente (ad esempio, il trattamento pensionistico percepito da un ex titolare di reddito di lavoro autonomo);
- l'espressione normativa «le pensioni di ogni genere» porta a considerare ricomprese nell'ambito di operatività del citato comma 2 dell'articolo 49 del TUIR anche tutte quelle indennità una tantum (si pensi alla capitalizzazione delle pensioni) erogate in ragione del versamento di contributi e la cui erogazione può prescindere dalla cessazione di un rapporto di lavoro.
In applicazione dei predetti principi, con la risposta ad interpello n. 462 pubblicata il 7 luglio 2021 è stato precisato che, in linea generale, le prestazioni pensionistiche integrative erogate ad un soggetto che trasferisce la residenza fiscale in Italia, erogate da un fondo previdenziale professionale estero o erogate tramite una società di assicurazione estera, corrisposte in forma di capitale o rendita, sono riconducibili, in via ordinaria, secondo l'ordinamento tributario vigente in Italia, ai redditi di cui al citato articolo 49, comma 2, lettera a), del TUIR, in quanto alle stesse prestazioni non si applica la disciplina della previdenza complementare italiana, in base al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252.
Ciò premesso, con riferimento al caso di specie, sulla base di quanto rappresentato dall'Istante e dalla documentazione allegata, si evince che la sottoscrizione della polizza in oggetto è di natura volontaria e l'erogazione delle prestazioni a favore dell'Istante non richiedono il raggiungimento di alcun requisito anagrafico pensionistico.
In particolare, come chiarito con la documentazione integrativa, la rendita vitalizia è percepita dall'Istante a fronte di un contratto di assicurazione sulla vita, stipulato con un ente privato tedesco, finalizzato alla copertura del rischio di invalidità permanente.
La sottoscrizione della richiamata polizza non ha una finalità previdenziale, volta a garantire all'iscritto una pensione integrativa nella forma di rendita o di capitale e, pertanto, la rendita in esame non è riconducibile nell'ambito dei redditi di cui al citato articolo 49, comma 2, lettera a), del TUIR e, dunque, si ritiene che l'Istante non possa accedere al regime di favore previsto dall'articolo 24ter del TUIR
Allegati: -
Forfettari: incompatibilità col regime impatriati per comportamento concludente
Con Risposta n 190 del 6 febbraio le Entrate forniscono chiarimenti su:
- regime impatriati,
- applicazione del ''regime forfetario''
- e redditi che non concorrono alla formazione del reddito complessivo (Articolo 16 del decreto legislativo n. 147 del 201)
In particolare, nel caso di specie, l'Istante ha trasferito all'estero, a decorrere dal periodo d'imposta 2014, la propria residenza ed il proprio domicilio senza, tuttavia, iscriversi all'A.I.R.E.
In seguito al trasferimento della propria residenza e del proprio domicilio nel territorio dello Stato, sta attualmente fruendo del ''regime forfetario'' di cui all'articolo 1, commi da 54 a 89, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
Avendo ricevuto, in via informale, la proposta di essere nominato membro del Consiglio di Amministrazione di talune società facenti parte di un gruppo (tra cui una società S.r.l. nella quale detiene direttamente una partecipazione rappresentativa del capitale sociale e indirettamente, per il tramite di altra società S.r.l., una partecipazione rappresentativa del capitale sociale) ed essendo intenzionato a valutarla, chiede chiarimenti in merito alla possibilità di beneficiare, con particolare riferimento ai compensi che andrebbe eventualmente a percepire qualora accettasse tale incarico, del ''regime speciale per lavoratori impatriati'' di cui all'articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147.
L'agenzia ricorda che l'articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 ha introdotto il ''regime speciale per lavoratori impatriati'' al fine di incentivare il trasferimento in Italia di lavoratori con alte qualificazioni e specializzazioni e favorire contestualmente lo sviluppo tecnologico, scientifico e culturale del nostro Paese.
In sostanza, nei confronti di coloro che sono considerati residenti nel territorio dello Stato successivamente al 30 aprile 2019 (come, nel caso di specie, l'Istante), trova applicazione la vigente formulazione della norma che, verificandosi i requisiti e le condizioni previsti alternativamente dal comma 1 o dal comma 2, prevede che i redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente ed i redditi di lavoro autonomo prodotti in Italia da lavoratori che trasferiscono nel territorio dello Stato la loro residenza ai sensi dell'articolo 2 del TUIR concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30 per cento del loro ammontare a decorrere dal periodo d'imposta in cui è avvenuto in trasferimento della residenza fiscale e per i quattro periodi d'imposta successivi.
In relazione alle modifiche normative che hanno ridisegnato il perimetro di applicazione del suddetto regime agevolativo a partire dal periodo di imposta 2019, con particolare riferimento ai requisiti soggettivi ed oggettivi da rispettare, ai presupposti per accedere all'ulteriore quinquennio agevolabile, all'ambito temporale di applicazione della sopra richiamata disposizione ed alle modifiche normative concernenti il requisito dell'iscrizione all'Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero (AIRE) per fruire dell'incentivo fiscale in esame, sono stati forniti puntuali chiarimenti con la circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020 che, a sua volta rimanda a quanto precisato dalla precedente circolare n. 17/E del 23 maggio 2017
Con la Circolare n. 33/E del 2020 è stato chiarito (cfr. paragrafo 7.11) che ''il contribuente che rientra in Italia per svolgere un'attività di lavoro autonomo beneficiando del regime forfetario non potrà avvalersi del regime previsto per i lavoratori impatriati, in quanto i redditi prodotti in regime forfetario non partecipano alla formazione del reddito complessivo. Resta ferma la possibilità per il contribuente di rientrare in Italia per svolgere un'attività di lavoro autonomo, beneficiando, in presenza dei requisiti, del regime fiscale previsto per gli impatriati, laddove venga valutata una maggiore convenienza nell'applicazione di detto regime rispetto a quello naturale forfetario''.
Tale documento evidenzia che l'opzione per il regime forfetario, pur sussistendo i requisiti per l'applicazione del regime degli impatriati al momento del rientro in Italia, comporta l'impossibilità di esprimere a posteriori l'opzione per il diverso regime degli impatriati.
Dal comportamento concludente assunto dall'Istante nel caso in esame, per effetto dell'opzione già esercitata, infatti, emerge la volontà di non avvalersi del regime degli impatriati, sin dal momento del rientro in Italia.
Ne consegue, chiariscono le Entrate, che, avendo trasferito la residenza fiscale in Italia nel 2020 ed avendo optato, a seguito del rientro, per il ''regime forfetario'' nei periodi d'imposta 2020 e 2021, l'Istante non potrà fruire del diverso regime di cui all'articolo 16 del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147, negli anni successivi e sino al compimento del quinquennio potenzialmente agevolabile (ossia dal 2022 al 2024)
Allegati: -
Pignoramento: la ritenuta d’acconto sulle spese di monitorio, precetto ed esecuzione
Con Risposta a interpello n 570 del 23 novembre 2022 le Entrate forniscono chiarimenti su spese di precetto, monitorio ed esecuzione liquidate nell'ambito di un procedimento pignoratizio e applicabilità della ritenuta d'acconto di cui all'articolo 21, comma 15, della legge 27 dicembre 1997, n. 449.
L'Istante, in qualità di sostituto di imposta, riveste la figura di terzo erogatore in un procedimento di pignoramento promosso nei confronti di una sua ex dipendente e deve quindi liquidare al creditore pignoratizio delle somme assegnate a titolo di sorte capitale, spese di precetto e spese di esecuzione.
Il creditore pignoratizio svolge l'attività professionale di avvocato e, nel richiedere le predette somme, ha trasmesso un prospetto dal quale risulta, tra l'altro, che:
1.«sulle spese di monitorio, precetto ed esecuzione per un totale di euro (…), ha applicato il 15% di rimborso forfetario sulle spese, ha calcolato il contributo del 4% alla cassa avvocati, ha applicato l'IVA del 22%, ma non la ritenuta fiscale d'acconto del 20%»;
2.«sull'onorario dovuto per l'atto di intervento di euro (…) ha applicato il 15% di rimborso forfetario sulle spese, ha calcolato il contributo del 4% alla cassa avvocati, ha applicato l'IVA del 22% e ha applicato anche la ritenuta fiscale d'acconto del 20%».
Il creditore pignoratizio, anche a seguito di una espressa richiesta di chiarimenti da parte dell'Istante, non ha precisato il motivo per cui sulle somme assegnate a titolo di precetto (comprese quelle di monitorio) e di esecuzione, ha applicato il contributo previdenziale alla Cassa avvocati e l'IVA, ma non la ritenuta d'acconto del 20 per cento, come fatto, invece, per l'onorario.
L'istante, in qualità di sostituto d'imposta, chiede di sapere se la ritenuta d'acconto del 20% prevista per le procedure di pignoramento debba essere applicata anche sulle ''spese di monitorio, precetto ed esecuzione'' dovute al professionista.
Le Entrate chiariscono che nel caso in esame il creditore pignoratizio ha prodotto la dichiarazione sostitutiva di notorietà per comunicare l'importo del credito da non assoggettare a ritenuta in quanto riferibile a spese vive e per precisare che a tale credito si aggiungono «le somme assegnate a titolo di spese di recupero (comprese quelle di monitorio) e spese di esecuzione» alle quali, come risulta da prospetto di calcolo riportato nella stessa dichiarazione, è applicato il 15 per cento del rimborso forfettario sulle spese, il contributo del 4 per cento alla cassa avvocati e l'Iva al 22 per cento.
In particolare, il creditore pignoratizio, in una successiva dichiarazione sostitutiva di notorietà, che annulla la precedente, afferma «che al credito si aggiungono le ulteriori somme come indicate nel conteggio soggette a ritenuta», senza però indicare la ritenuta d'acconto sulle spese di precetto, di monitorio e di esecuzione.
Dal descritto quadro degli eventi e dalla documentazione prodotta, nel caso di specie, non appare sussistere la dichiarazione del creditore pignoratizio, resa ai sensi degli articoli 47 e 76 del d.P.R. n. 445 del 2000, attestante l'insussistenza, in tutto o in parte, delle condizioni per l'applicabilità della ritenuta alle spese di precetto (comprese quelle di monitorio).
Pertanto, secondo quanto chiarito nella circolare n. 8/E del 2011, l'Istante è tenuto ad applicare la ritenuta ai fini Irpef di cui all'articolo 21, comma 15, della legge n. 449 del 1997, senza effettuare alcuna indagine, sussistendone i presupposti richiesti.
L'agenzia ricorda che l'articolo 54, comma 1, del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir), prevede che «Il reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l'ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell'esercizio dell'arte o della professione».
Nella nozione di compenso rilevante ai sensi dell'articolo 54 del Tuir rientrano anche le somme che il lavoratore autonomo riaddebita al committente per il ristoro delle spese sostenute per l'espletamento dell'incarico, con la conseguenza che anche dette somme sono imponibili e devono essere assoggettate alla ritenuta alla fonte di cui all'articolo 25, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
In tal senso, la circolare 15 dicembre 1973, n. 1, parte II, capitolo VII, precisa che la base imponibile della ritenuta è costituita all'ammontare dei compensi percepiti al lordo delle spese sostenute per conseguire i compensi stessi, con esclusione delle sole somme ricevute a titolo di rimborso di spese anticipate in nome e per conto del cliente, debitamente ed analiticamente documentate quali, ad esempio, i rimborsi per pagamenti di tasse e imposte, visure, ecc. a condizione comunque che tali spese non siano inerenti alla produzione del reddito di lavoro autonomo.
In relazione al caso di specie, si ritiene, pertanto, che le somme liquidate per coprire le spese di precetto (comprese quelle di monitorio) e di esecuzione costituiscano compenso professionale e come tali assumano rilevanza ai fini Irpef per il reditore pignoratizio.
Lo stesso creditore pignoratizio ha applicato sulle somme in questione il rimborso forfetario delle spese previsto nella misura del 15 per cento del compenso, il contributo previdenziale per la cassa degli avvocati che si applica nella misura del 4 per cento sul compenso e sul rimborso spese forfetario, nonché l'IVA del 22 per cento che si applica su tutte le voci precedenti.
Le Entrate condividono la soluzione prospettata dall'Istante di applicare sulle somme in questione e sugli onorari dovuti per gli atti di intervento la ritenuta d'acconto di cui all'articolo 21, comma 15, della legge n. 449 del 1997
Allegati: -
Tassazione agevolata docenti e ricercatori: l’opzione di proroga entro il 27.09
Il prossimo 27 settembre scade il termine per prorogare il regime agevolato da parte dei docenti e ricercatori che, rientrati in Italia prima del 2020, abbiano concluso il primo periodo agevolato entro il 31 dicembre 2021.
In particolare, l’articolo 1, comma 763, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, ha inserito il comma 5-ter, all’articolo 5 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, per consentire
- ai docenti o ricercatori,
- che siano stati iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero
- o che siano cittadini di Stati membri dell'Unione europea,
- che hanno già trasferito in Italia la residenza prima dell'anno 2020
- e che alla data del 31 dicembre 2019 risultano beneficiari del regime previsto dall'articolo 44 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78,
- di optare per l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 3-ter del predetto articolo 44. ossia di richiedere pagando un una tantum il prolungamento della agevolazione.
Si specifica che l'esercizio di tale opzione è subordinato al versamento di un importo del 10 o del 5 per cento dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia oggetto dell'agevolazione, secondo le condizioni specificate, rispettivamente, alla lettera a) e alla lettera b) del citato comma 5-ter.
Con Provvedimento del 31 marzo 2022 le Entrate hanno definito termini e modalità di esercizio della opzione, subordinando l'esercizio della stessa ad una richiesta scritta al datore di lavoro da effettuarsi entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello di conclusone del primo periodo di agevolazione.
Per coloro i quali il periodo si è concluso entro il 31 dicembre 2021 la presentazione va fatta entro il 27 settembre 2022. Entro la stessa data occorre anche versare l'importo dovuto per l'opzione.
Tanto premesso, per consentire il versamento degli importi, tramite il modello di versamento “F24 Versamenti con elementi identificativi” (F24 ELIDE), con Risoluzione n 24 del 31 maggio 2022 sono istituiti i seguenti codici tributo:
- “1880” denominato “Docenti e ricercatori – importo dovuto (10 per cento) per l’esercizio dell’opzione di cui all’art. 5, co. 5-ter, lett. a), del DL n. 34 del 2019”;
- “1881” denominato “Docenti e ricercatori – importo dovuto (5 per cento) per l’esercizio dell’opzione di cui all’art. 5, co. 5-ter, lett. b), del DL n. 34 del 2019”.
In sede di compilazione del modello “F24 Versamenti con elementi identificativi” sono indicati:
- nella sezione “CONTRIBUENTE” i dati anagrafici e il codice fiscale del lavoratore che opta per l’adesione al regime agevolato;
- nella sezione “ERARIO ED ALTRO”:
- nel campo “tipo”, la lettera “R”;
- nel campo “elementi identificativi”, se applicabile, il codice fiscale del datore di lavoro cui il lavoratore dipendente presenterà la richiesta di applicazione del regime agevolato; nel campo “codice”, il codice tributo sopra indicato;
- nel campo “anno di riferimento”, l’anno corrispondente al primo periodo d’imposta di fruizione dei benefici fiscali previsti dall’articolo 44, comma 3-ter, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, nel formato “AAAA”;
- nel campo “importi a debito versati”, l’importo dovuto.
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Apertura PIVA: cosa indicare se non si è residenti
Con Risposta a interpello n 429 del 16 agosto le Entrate forniscono chiarimenti per l'apertura della PIVA da parte di un soggetto non residente.
In particolare, l'istante è cittadina italiana ed è residente nel Regno Unito. Ella riferisce:
- di essere iscritta all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE) dal 2 agosto 2020,
- di non possedere un identificativo IVA estero,
- di non svolgere alcuna attività imprenditoriale o professionale nel Paese in cui risiede
- e di essere intenzionata a svolgere un'attività libero-professionale in Italia
Con l'interpello chiede se all'apertura della Partita IVA sia possibile indicare quale domicilio fiscale la sede di svolgimento dell'attività professionale.
Sinteticamente, le Entrate chiariscono che poiché l'istante non svolge, nel paese di residenza, così come rappresentato nella richiesta, alcuna attività professionale o imprenditoriale, nel modello AA9/12, presentato ai sensi dell'articolo 35 del decreto in materia IVA, dovrà indicare il domicilio fiscale ossia il luogo ove sarà svolta l'attività lavorativa, al fine di dotarsi di una partita IVA ordinaria.
Le Entrate innanzitutto ricordano che la normativa nazionale attribuisce la natura di soggetto passivo IVA a colui che, nell'esercizio d'impresa, arti o professioni, ex articoli 4 e 5 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 effettua le cessioni di beni o le prestazioni di servizi (ex articoli 2 e 3 del decreto IVA) rilevanti nel territorio dello Stato (ex articolo 7 del medesimo decreto).
Con particolare riferimento alle prestazioni di servizi l'articolo 7, comma 1, del decreto IVA, alla lettera d) prevede, ai fini IVA, che «per "soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato" si intende un soggetto passivo domiciliato nel territorio dello Stato o ivi residente che non abbia stabilito il domicilio all'estero, ovvero una stabile organizzazione nel territorio dello Stato di soggetto domiciliato e residente all'estero, limitatamente alle operazioni da essa rese o ricevute. Per i soggetti diversi dalle persone fisiche si considera domicilio il luogo in cui si trova la sede legale e residenza quello in cui si trova la sede effettiva;».
In linea generale, dunque, chi presta attività professionale si considera soggetto passivo IVA in Italia se:
1) è domiciliato in Italia, anche se residente all'estero;
2) è residente in Italia e non è domiciliato all'estero;
3) è domiciliato o residente all'estero ma possiede una stabile organizzazione in Italia,
con la conseguenza, che, in presenza di uno di questi elementi, le prestazioni rese si considerano, in linea generale, effettuate in Italia.
Ai fini dell'imposizione sul reddito, a sua volta, l'articolo 2, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), assimila ai cittadini residenti le persone fisiche che «[…] hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile», mentre, l'articolo 58 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, prevede che le persone fisiche «[…] non residenti hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più comuni, nel comune in cui si è prodotto il reddito più elevato ».
Ai fini della definizione dei concetti di residenza e domicilio è utile richiamare la circolare n. 304 del 2 dicembre 1997, con cui il Ministero delle Finanze ha chiarito che «[…] l'aver stabilito il domicilio civilistico in Italia ovvero l'aver fissato la propria residenza nel territorio dello Stato sono condizioni sufficienti per l'integrazione della fattispecie di residenza fiscale, indipendentemente dall'iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente».
Alla luce della circolare sopra citata risulta evidente che:
- è irrilevante l'iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente ai fini dell'individuazione del soggetto passivo d'imposta in Italia;
- la residenza è intesa quale res facti, poiché non può prescindere dall'insistere sul luogo, con relativa stabilità, del soggetto e l'elemento intenzionale assume rilevanza secondaria;
- il domicilio è, invece, definito res iuris in quanto situazione giuridica caratterizzata dalla volontà di stabilire e conservare in un determinato luogo la sede principale dei propri affari ed interessi (vedi in questo senso la sentenza della Corte di Cassazione del 21 marzo 1968, n. 884).
Nel caso di specie, non v'è dubbio che l'intenzione dell'interpellante sia quella di costituire nel territorio italiano il centro dei propri interessi, ed ivi svolgere l'attività lavorativa.
Pertanto, la circostanza che nel territorio italiano venga costituito il domicilio fiscale, pur in presenza della residenza in un paese terzo (Regno Unito) non è di ostacolo a considerare l'istante quale soggetto passivo di imposta alla stregua di un soggetto residente.
Peraltro, poiché l'istante non svolge, nel paese di residenza, così come rappresentato nella richiesta, alcuna attività professionale o imprenditoriale, nel modello AA9/12, presentato ai sensi dell'articolo 35 del decreto in materia IVA, dovrà indicare il domicilio fiscale ossia il luogo ove sarà svolta l'attività lavorativa, al fine di dotarsi di una partita IVA ordinaria.
Si osserva, infine, che i redditi riconducibili all'attività svolta in Italia andranno ivi assoggettati ad imposizione ai sensi dell'articolo 14 della vigente Convenzione tra Italia e Regno Unito, approvata con legge 5 novembre 1990, n. 329.
Essa prevede che, «I redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dall'esercizio di una libera professione o di altre attività di carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto Stato a meno che egli non disponga abitualmente nell'altro Stato contraente di una base fissa per l'esercizio della sua attività. Se egli dispone di tale base fissa, i redditi sono imponibili nell'altro Stato ma unicamente nella misura in cui sono attribuibili a detta base fissa. L'espressione "libera professione" comprende in particolare le attività indipendenti di carattere scientifico, letterario, artistico, educativo o pedagogico, nonché le attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contabili».
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Criptovalute: la compilazione del quadro RW sul monitoraggio fiscale
L’articolo 4 del DL 167/1990 prevede che le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici che detengono all’estero attività finanziarie, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, dovranno dichiararle nella dichiarazione dei redditi annuale: si tratta del cosiddetto monitoraggio fiscale e l’obbligo dichiarativo si estingue con la compilazione del quadro RW del modello Redditi di riferimento.
Ampliando il perimetro d’applicazione dell’obbligo dichiarativo, l’Agenzia delle Entrate con la Circolare 38/E/2013 precisa che “sono soggette al medesimo obbligo anche le attività finanziarie estere detenute in Italia al di fuori del circuito degli intermediari residenti”.
Anche le criptovalute si inseriscono in questo contesto normativo, in modo indiretto: in mancanza di una specifica norma che inquadri fiscalmente l’attività immateriale basata su blockchain, la prassi, in una certa misura supportata dalla giurisprudenza, nonostante le perplessità di parte della dottrina, ha deciso di assimilare le criptovalute alle valute estere.
Per un approfondimento della questione si veda l’articolo Criptovalute: tassazione e obblighi dichiarativi, come orientarsi.
L’assimilazione ha come conseguenza il fatto che la detenzione di criptovalute, così come di valute estere, fuori dal circuito degli intermediari residenti, debba essere dichiarato sul quadro RW del modello Redditi PF, dedicato al monitoraggio fiscale.
Della questione si è occupata l’Agenzia delle Entrate in occasione della recente risposta a Interpello 788/2021, con la quale si forniscono al contribuente alcune informazioni utili in relazione al monitoraggio fiscale e all’IVAFE, l’Imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all'estero, nel caso di detenzione di criptovalute; nello specifico l’Agenzia precisa che:
- “ai fini della compilazione di tale quadro, il controvalore in euro della valuta virtuale, detenuta al 31 dicembre del periodo di riferimento, deve essere determinato al cambio indicato a tale data sul sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale. Negli anni successivi, il contribuente dovrà indicare il controvalore detenuto alla fine di ciascun anno o alla data di vendita nel caso di valuta virtuale vendute in corso”;
- “le valute virtuali non sono soggette all'Imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all'estero (IVAFE) dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato, in quanto tale imposta si applica ai depositi e conti correnti esclusivamente di natura bancari”.
Per quanto riguarda infine la compilazione del quadro RW, denominato “Investimenti all’estero e/o attività estere di natura finanziaria – monitoraggio IVIE / IVAFE”, del modello Redditi PF 2022, le istruzioni del modello e la citata risposta a Interpello 788/2021, precisano che, in caso di detenzione di criptovalute, oltre alle colonne che inquadrano la specifica posizione del contribuente in ragione del possesso e del valore delle criptovalute, saranno anche interessate:
- la colonna 3 “Codice individuazione bene”: inserire il codice 14 “Altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali”;
- la colonna 4 “Codice Stato estero”: non compilare, in quanto campo è definito “non obbligatorio” dalle istruzioni del modello, in caso di valute virtuali;
- la colonna 20 “Solo monitoraggio”: flaggare, in quanto la detenzione di criptovalute non rileva ai fini IVAFE.
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Premi di risultato: detassazione anche con nuovi accordi ma a certe condizioni
L'agenzia delle Entrate in risposta ad un quesito di Telefisco 2021, ha confermato per i premi di risultato erogati nel 2021 la possibilità di accesso a tutti i benefici fiscali previsti dalla Legge di Stabilità 2016, anche con integrazione:
- di accordi di secondo livello
- o di accordi territoriali già sottoscritti in anni precedenti
Si consente cioè di rimodulare i piani al verificarsi di situazioni eccezionali che li rendono di difficile realizzazione, cosa accaduta per l'anno 2020 fortemente condizionato dalla pandemia.
È però richiesta l’introduzione di ulteriori obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza o innovazione, che dovranno essere confrontati con i risultati conseguiti in un periodo definito dalle parti contrattuali.
Secondo quanto stabilito nel Decreto del 25 marzo 2016 nonché secondo i chiarimenti successivi alla sua emanazione e in particolare secondo la Circolare n 5/E del 2018 delle Entrate per avere accesso alla tassazione agevolata sui premi di risultato le parti possono stabilire che sia sufficiente il riscontro dell’incremento anche di uno solo tra gli obiettivi stabiliti contrattualmente, ovvero solamente di alcuni di essi.
Con la risposta a Telefisco, le Entrate hanno chiarito che questo vale anche con riguardo ai parametri eventualmente fissati tramite accordi integrativi.
E' richiesto che la condizione d’incertezza circa il raggiungimento dell’obiettivo incrementale debba sussistere al momento della sottoscrizione e ratifica del contratto aziendale/territoriale.
Come chiarito dalla Circolare n 36/2020 questa circostanza temporale deve essere intesa in senso assoluto e non necessariamente legata a uno specifico momento, in ragione del quale si presumerebbero incerti gli obiettivi individuati nei contratti aziendali/territoriali sottoscritti.
Pertanto, qualora con l’accordo aziendale integrativo le parti contrattuali riescano a individuare ulteriori e alternativi obiettivi incrementali, il cui raggiungimento risulti incerto al momento della loro individuazione, il regime agevolativo potrà essere applicato sotto la responsabilità del sostituto d’imposta, il quale dovrà valutare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della tassazione con l'imposta sostitutiva del 10%.
In sede di valutazione, il sostituto dovrà tenere conto che l’andamento dei parametri contrattualmente adottati può essere suscettibile di variabilità, soprattutto al verificarsi di circostanze eccezionali come quelle della pandemia e quindi ciò potrebbe consentire l’ulteriore riparametrazione degli stessi obiettivi.
Infine ricordiamo quanto stabilito dall'art 1 comma 182 della legge 208/2015 legge di stabilità 2016 "Salva espressa rinuncia scritta del prestatore di lavoro, sono soggetti a una imposta sostitutiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 10%, entro il limite di importo complessivo di 3.000 euro lordi, i premi di risultato di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttivita', redditivita', qualita', efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili sulla base di criteri definiti con il decreto di cui al comma 188, nonche' le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell'impresa."