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IVA agevolata rifiuti da discarica: cosa cambia dal 2025
La legge di bilancio 2025 tra le altre novità ha previsto che, dal 1° gennaio, il conferimento in discarica e l’incenerimento dei rifiuti, senza recupero energetico, non potranno fruire dell’Iva agevolata al 10% e,si allineano all'aliquota al 22%.
A prevederlo è l'articolo 1, comma 49, legge 207/2024 che modifica il numero 127-sexiesdecies) alla tabella A, parte III, Dpr 633/1972 (Testo unico Iva).
IVA agevolata per i rifiuti da discarica: cosa cambia dal 2025
Il comma 49 dell'art 1 novella la disciplina dell’IVA al fine di assoggettare all’aliquota IVA ordinaria del 22% (anziché ridotta al 10%) le prestazioni di smaltimento dei rifiuti qualora avvengano mediante conferimento in discarica o mediante incenerimento senza recupero efficiente di energia.
Il comma 49 modifica l’elenco dei beni e servizi soggetti ad aliquota IVA ridotta al 10% (anziché aliquota ordinaria del 22%) di cui alla tabella A, parte III, del D.P.R. n. 633 del 1972 sostituendo il punto 127-sexiesdecies) in modo tale da escludere dall’applicazione dell’aliquota ridotta il conferimento in discarica e l’incenerimento senza recupero efficiente di
energia di rifiuti urbani e di rifiuti speciali.
Il comma in esame ha la finalità di transizione ecologica ed energetica, mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici previsti nell’ambito dei documenti programmatici.Il Governo nella relazione illustrativa ha specificato che l’innalzamento dell’aliquota IVA, dal 10% al 22%, per le attività di smaltimento in discarica e di incenerimento senza efficiente recupero di energia dei rifiuti, risponde alla finalità di eliminare un sussidio ambientale dannoso (SAD) in contrasto con il principio dell’economia circolare, in coerenza con il disposto delle direttive unionali in tema di economia circolare, a mente delle quali lo smaltimento in discarica dovrebbe costituire una opzione residuale.
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Esenzione IVA terzo settore: slitta al 2026 col Milleproroghe
Dal 1° gennaio 2025 era prevista l'entrata in vigore delle novità contenute nel Dl n 146/2021 per gli enti associativi.
Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi che attualmente beneficiano dell’esclusione dall'IVA verranno attratte nel campo di applicazione dell’imposta, ma per ora la decorrenza di tale norma è ulteriormente prorogata.Con il decreto Milleproroghe, pubblicato in GU n 302 del 27 dicembre si prevede, tra gli altri, anche lo slittamento di questo termine.
Già l'Esecutivo all'atto della approvazione del decreto specificava: "si proroga al 10 gennaio 2026 il termine a decorrere dal quale trova applicazione il nuovo regime di esenzione IVA per le operazioni realizzate dagli enti associativi di cui all’articolo 5, comma 15 -quater del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146."
Ricordiamo che tali enti, quando entrerà in vigore la norma ora prorogata, non dovranno sempre applicare l’IVA alle operazioni effettuate, infatti molte volte beneficiano della esenzione, però il venir meno del regime di “de-commercializzazione” IVA determinerà un aggravio di adempimenti a carico degli stessi in quanto le operazioni esenti, a differenza di quelle escluse, sono soggette a obblighi formali per l'IVA, vediamo maggiori dettagli.
Esenzione IVA terzo settore: slitta al 2026 col Milleproroghe
Dal 1° gennaio prossimo dovevano diventare efficaci le novità previste dal Dl n 146/2021 per gli enti associativi.
In particolare, tra le cessioni e prestazioni interessate dalle modifiche vi sono quelle effettuate dietro pagamento di specifici corrispettivi o contributi a favore di soci e tesserati, come da finalità istituzionali, da parte di associazioni politiche, sindacali, di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extrascolastica della persona.
Tutte queste operazioni sono fino al 31 dicembre 2024 escluse dall’IVA, per cui gli enti interessati non sono tenuti a documentarle e neppure a registrarle.
Dal 1° gennaio 2025 dovevano diventare rilevanti ai fini dell’imposta. Tale previsione normativa è prorogata con il Milleproroghe e in particolare, il comma 9, dell’articolo 3, di modifica del secondo periodo del comma 683 dell’articolo 1 della legge n. 234/2021, differisce al 1° gennaio 2026 il passaggio dal regime fuori campo IVA al regime di esenzione IVA per le prestazioni di servizi e le cessioni di beni dagli enti associativi in conformità alle finalità istituzionali, dietro pagamento di corrispettivi specifici o di contributi supplementari, nei confronti dei propri soci, associati o partecipanti.
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IVA mensile: scadenza entro il 16.12 con novità
Il 16 dicembre scade il termine per la liquidazione IVA relativa al mese di novembre, da parte dei soggetti cosiddetti mensili.
La scadenza quest'anno, a seguito della riforma fiscale, presenta una novità che riguarda il versamento degli importi inferiori alla soglia minima di 100 euro introdotta dal DLgs. Adempimenti.
Vediamo tutti i dettagli.
IVA mensile: scadenza entro il 16.12 con novità
Con l'art 9 del Dlgs Adempimenti (GU n 9 del 12 gennaio) si prevede di ampliare la soglia dei versamenti minimi dell'IVA e in particolare, tale soglia è innalzata a 100 euro.
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Nel dettaglio, si apportano modifiche all'articolo 1, comma 4, del DPR n. 100 del 1998:
- innalzando da 25,82 euro (le vecchie 50.000 lire della norma originaria) a 100 euro il limite previsto per effettuare il versamento IVA mensile nel caso di un importo dovuto inferiore alla predetta soglia, insieme a quello relativo al mese successivo;
- prevedendo che in ogni caso il versamento della somma vada effettuato entro il 16 dicembre dello stesso anno. Come specificava il dossier di commento al decreto, i versamenti relativi ai mesi da gennaio a novembre, in caso di liquidazione mensile, qualora di importo non superiore a 100 euro, sono comunque effettuati entro il 16 dicembre dello stesso anno.
In base all’art. 1 comma 4 del DPR n 100/98, se l’IVA a debito evidenziata nella liquidazione periodica non supera l’importo minimo previsto dalla legge, il versamento è effettuato insieme a quello relativo al mese successivo.
Tuttavia, la norma è stata modificata appunto dall’art. 9 comma 1 del DLgs. n 1/2024.
Il DLgs. 1/2024 oltre ad aver innalzato a 100 euro la citata soglia minima, ha stabilito che il versamento dell’IVA periodica sotto tale importo è effettuato insieme a quello relativo al mese successivo “e comunque entro il 16 dicembre dello stesso anno”.
L’IVA dovuta in base alla liquidazione del mese di novembre, anche se di importo inferiore al minimo, è effettuato comunque entro la scadenza del 16 dicembre successivo.
Ricordiamo infine che, entro il prossimo 27 dicembre c'è da versare anche l'acconto IVA e in proposito leggi: Acconto IVA 2024: in scadenza il 27 dicembre.
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IVA lettiera animali: la corretta aliquota
Con Risoluzione n 59 del 9 dicembre le Entrate chiariscono la corretta aliquota della lettiera per animali specificando che il proprio orientamento è in linea con quello della Corte di giustizia europea e della Cassazione che, ai fini della corretta aliquota, attribuiscono rilievo alla destinazione del prodotto.
Con la risoluzione n. 59 si precisa che le lettiere per animali, a prescindere dai materiali utilizzati, sono soggette ad aliquota Iva ordinaria.
IVA lettiera animali: la corretta aliquota
Le Entrate chiariscono la corretta aliquota da applicare alle cessioni di lettiere per animali in replica a vari quesiti giunti dai contribuenti.
Secondo l’articolo 98 della direttiva Iva, gli Stati membri possono applicare una o due aliquote ridotte.
La direttiva precisa anche che è possibile ricorrere alla nomenclatura combinata per delimitare con esattezza le categorie agevolate.
L’ordinamento interno ha recepito la disciplina Ue con l’articolo 16 del decreto Iva, il cui comma 1 stabilisce che “l’aliquota dell’imposta è stabilita nella misura del ventidue per cento della base imponibile dell’operazione. L’aliquota è ridotta al quattro, al cinque e al dieci per cento per le operazioni che hanno per oggetto i beni e i servizi elencati, rispettivamente, nella parte II, nella parte II-bis e nella parte III dell’allegata tabella A, salvo il disposto dell’articolo 34”.
Al riguardo, la circolare n. 32/2010 ha evidenziato che, il trattamento agevolato previsto dalla Tabella A, l’applicazione delle aliquote ridotte per determinati beni, deve essere preceduta dall’accertamento tecnico della complessiva ed effettiva composizione e qualificazione merceologica del prodotto da parte dell’Agenzia delle dogane.
Le lettiere per animali, prodotti non presenti nella Tabella A del decreto Iva, sono state oggetto di chiarimenti da Adm, che è approdata a differenti classificazioni doganali, attribuendo rilevanza alla composizione e alle caratteristiche dei materiali utilizzati.
In conformità con le Dogane, anche le Entrate hanno riconosciuto aliquote Iva differenti a beni (nel caso specifico, lettiere) con la stessa destinazione d’uso ma di composizione diversa.
L’Amministrazione evidenzia che la recente giurisprudenza europea ha optato per un’interpretazione secondo la quale i prodotti devono essere classificati non soltanto tenendo conto delle loro caratteristiche e proprietà oggettive, ma anche considerando la relativa funzione e destinazione d’uso.
La Cassazione, con l’ordinanza n. 24441/2024, ha sostenuto, tra l’altro, ai fini della classificazione doganale, che la composizione prevalentemente di amido di manioca delle lettiere non ne consentiva, di per sé, la classificazione alla v.d. 1108 1400 00 con conseguente applicazione dell’aliquota del 10%, visto che l’amido, nel caso specifico, non rilevava quale prodotto destinato all’alimentazione umana o animale.
Secondo l’ordinanza, le lettiere in questione rientravano tra i “prodotti vegetali non nominati né compresi altrove”, con Iva al 22%, ossia soggetti ad aliquota ordinaria e non agevolata, non costituendo la merce prodotto alimentare o ingrediente destinato a essere utilizzato nella preparazione di prodotti alimentari.
Quindi una volta accertato che le lettiere non sono espressamente menzionate nell’elenco dei beni che possono fruire dell’aliquota Iva ridotta in base alle previsioni dell’allegato III della direttiva 2006/112/Ce, né sono riconducibili ai prodotti indicati nella parte II, II-bis e III della Tabella A allegata al decreto Iva, le relative cessioni scontano l’Iva ordinaria con aliquota del 22 per cento.
Nel caso di specie contribuenti interessati dovranno:
- emettere una nota di variazione in aumento,
- presentare la dichiarazione integrativa relativa a ciascun anno solare di effettuazione delle operazioni ancora accertabili,
- versare la maggiore imposta dovuta.
Per quanto riguarda il diritto alla detrazione Iva addebitata tramite la nota di variazione la risoluzione spiega: “al contribuente che abbia ricevuto, oltre il termine di presentazione della dichiarazione relativa all'anno in cui il diritto alla detrazione è sorto, una nota di variazione (…) per correggere errori nella qualificazione della operazione originaria, (…), il dies a quo per l'esercizio del predetto diritto deve individuarsi nel momento di emissione della nota di variazione da parte del cedente, e può essere esercitato – alle condizioni esistenti al momento di effettuazione dell'operazione originaria – al più tardi con la dichiarazione relativa all'anno in cui il diritto alla detrazione è sorto)”.
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Non è reato il mancato versamento IVA per ft non incassate
La Cassazione nella sentenza n 41238/2024 statuisce che non commette reato l’imprenditore che non ha versato l’Iva perché non ha incassato fatture.
La Cassazione ha affermato questo importante principio che tiene conto non più della giurisprudenza consolidata ma trova riscontro nella Riforma Fiscale in atto e nella giurisprudenza minoritaria.
La Corte d’appello aveva dato seguito all’indirizzo della Cassazione per il quale l’emissione della fattura, se antecedente al pagamento del corrispettivo, espone il contribuente, per sua scelta, all’obbligo di versare comunque la relativa imposta.
Ma ad oggi, anche alle luce delle recenti novità legislative previste dal Dlgs n 87/2024, occorre tenere conto di un altro indirizzo della stessa Cassazione che invita i giudici di merito a tenere conto delle argomentazioni difensive a spiegazione del mancato pagamento, tutte le volte che queste fossero in grado di dimostrare la grave e straordinaria crisi di liquidità dell’impresa. Vediamo il caso di specie.
Non è reato il mancato versamento IVA per ft non incassate
La Cassazione ha annullato la condanna emessa da una Corte d’appello di un imprenditore accusato di non avere versato l’Iva per l’anno d’imposta 2016.
La condanna era stata conseguenza anche del giudizio di irrilevanza, formulato dai giudici, sulla documentazione presentata dalla difesa sul mancato incasso dell’Iva risultante dalle fatture dell’anno di imposta contestato a causa dell’inadempimento di un numero considerevole di committenti.
Nel processo specifico, con sentenza del 2024, la Corte d'Appello di Napoli confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli, nel 2022, con la quale l'imprenditore era stato condannato alla pena di giustizia in relazione al reato di cui all'art 10 ter del Dlgs n 74/2000 per l'anno di imposta 2016 nella qualità di rappresentante legale di una società.
Il soggetto ricorreva contro la sentenza adducendo un vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza del reato, con riferimento alla mancata risposta ai rilievi difensivi imperniati sul mancato incasso dell'IVA dichiarata, in conseguenza del mancato pagamento delle fatture emesse.
La Cassazione ha ritenuto il primo motivo di ricorso fondato, e con valenza assorbente delle altre censure prospettate.
La sentenza impugnata ha ritenuto del tutto irrilevanti le allegazioni difensive, poste in essere già in primo grado, concernenti il mancato incasso dell'IVA risultante dalle fatture dell'anno di imposta in contestazione, per via dell'inadempimento di un consistente numero di committenti; così come irrilevante è stata considerata la vendita di un bene immobile personale.
La Corte territoriale era pervenuta a tali conclusioni in espressa adesione all'indirizzo interpretativo della Cassazione secondo cui "in tema di reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, l'emissione della fattura, se antecedente al pagamento del corrispettivo, espone il contribuente, per sua scelta, all'obbligo di versare comunque la relativa imposta sicché egli non può dedurre il mancato pagamento della fattura né lo sconto bancario della fattura quale causa di forza maggiore o di mancanza dell'elemento soggettivo"
Ad avviso della Cassazione però vi è la necessità di dar seguito ad una diversa opzione ermeneutica, che impone di tenere adeguato conto delle deduzioni difensive concernenti la concreta impossibilità di far fronte ai versamenti dovuti che trova ormai un importante riscontro nel diritto positivo.
Il recente D.Lgs. n. 87 del 14/06/2024, intervenendo sull' art. 13 D.Lgs. n. 74 del 2000 ha introdotto (con il nuovo comma 3-bis) una ulteriore causa di non punibilità per i reati di cui agli artt. 10-bis e ter del medesimo decreto, "se il fatto dipende da cause non imputabili all'autore sopravvenute, rispettivamente, all'effettuazione delle ritenute o all'incasso dell'imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell'autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi".
In tale ottica ricostruttiva, la Cassazione ritiene di dover osservare che il contribuente, già nel corso del primo grado di giudizio, aveva non solo documentato l'accettazione della propria proposta concordataria da parte dell'Agenzia delle Entrate (successivamente recepita nel decreto di omologazione del concordato preventivo emesso in data 06/10/2021 dal Tribunale di Napoli), ma aveva allegato circostanze di estremo rilievo ai fini che qui rilevano.
Da un lato era stato evidenziato il riepilogo delle fatture emesse e non pagate nell'anno di imposta 2016 (complessivo imponibile non pagato di Euro 570.112,07, IVA relativa pari a Euro 125.424,26) e, d'altro lato, il contenuto della relazione del commissario giudiziale nell'ambito della procedura di concordato preventivo, nella quale si individuano da un lato le cause della crisi:
- nel blocco dei pagamenti da parte della P.A.,
- nella crisi del mercato delle costruzioni
- e nel mancato recupero di ingenti crediti verso terzi
e si evidenziava che la Società aveva cercato di far fronte alla situazione riducendo i costi di produzione e provvedendo ad un aumento di capitale.
Alla luce di quanto detto le allegazioni difensive non potevano essere ignorate dai giudici di merito, nella valutazione della sussistenza della responsabilità penale del soggetto ricorrente, anche in considerazione della loro incidenza sul margine di superamento della soglia di punibilità di Euro 250.000 (essendo l'IVA non versata ammontante a Euro 315.120,367, così corretto l'erronea quantificazione contenuta nel capo di accusa, pari a Euro 367.517,24 cfr. pag. 2 della sentenza impugnata).
Da ciò consegue l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Napoli, restando assorbite le ulteriori censure difensive.
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Rinuncia unilaterale del credito IVA verso il fallimento: chiarimenti ADE
Con Risposta a interpello n 203 del 15 ottobre le Entrate rispondono ad un contribuente che vorrebbe rinunciare unilateralmente ad un credito IVA vantato verso un fallimento.
La società fa presente di vantare un credito senza alcuna possibilità di recupero.
Essa intende rinunciare allo stesso, con l'obiettivo di poter recuperare l'IVA anticipatamente rispetto alla conclusione della procedura, ossia vorrebbe rinunciare per emettere nota di variazione IVA, (…) anticipatamente alla definitività del piano di riparto, e le Entrate replicano che non è possibile, vediamo il perché.
Rinuncia unilaterale del credito IVA verso il fallimento: chiarimenti ADE
L'agenzia ritiene che la ''rinuncia unilaterale al credito'' che l'istante intende esercitare nei confronti del ''Fallimento[BETA]'' non possa essere ''assimilata'' ad alcuna delle ipotesi elencate al comma 2 dell'articolo 26 del decreto IVA.
Più in dettaglio, quando un'operazione per la quale è stata emessa fattura viene meno, in tutto o in parte, oppure se ne riduce l'ammontare imponibile a seguito di eventi come dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione o eventi simili, il cedente o prestatore del servizio ha il diritto di ridurre la base imponibile e, quindi, l'IVA. Questo si ottiene emettendo una "nota di variazione" che corregge l'operazione precedente.
La nota di variazione non può essere emessa se sono passati più di 12 mesi dall'operazione originale, tranne in casi di errori di fatturazione o accordi tra le parti che modificano l'operazione.
La variazione è consentita anche nel caso in cui il cessionario o committente non paghi il corrispettivo dovuto, ma solo se questi è soggetto a una procedura concorsuale (come il fallimento) o altre procedure esecutive rimaste infruttuose.
Le Entrate specificano quindi che nel caso di rinuncia unilaterale all'incasso del credito (aspetto meramente finanziario), l'operazione economica originaria che ha determinato l'esercizio della rivalsa dell'imposta, non viene meno in tutto o in parte, né se ne riduce l'ammontare imponibile.
In altre parole, l'incasso del credito, cui l'istante «intende rinunciare», riguarda il profilo meramente finanziario, non essendosi modificati i rapporti già conclusi, né essendo stata invocata alcuna clausola contrattuale risolutiva.
La sorte finanziaria del credito (ossia il mancato incasso) costituisce presupposto per la variazione dell'imponibile e dell'imposta solo in presenza di una procedura concorsuale o di azioni esecutive rimaste infruttuose.
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L’IVA è detraibile anche quando il contratto è nullo
I profili civilistici e quelli fiscali, nel diritto italiano, come in quello unionale, spesso si intersecano ma poi seguono traiettorie divergenti.
Un interessante esempio può essere rappresentato dalla vicenda esaminata dalla Corte di Cassazione in occasione della sentenza numero 16279 pubblicata il 12 giugno 2024.
Nel caso in esame la corte di legittimità prende in esame la detraibilità dell’IVA in relazione a una operazione di compravendita il cui contratto è risultato nullo dal punto di vista civilistico.
Nel caso specifico la nullità civilistica del contratto derivava da un conflitto di interessi del notaio rogante.
La Corte di Cassazione afferma che, anche nel caso in cui il contratto relativo alla cessione di un bene sia nullo in base al diritto civile, al cessionario, che è soggetto passivo, non può essere comunque negata la possibilità di esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA.
Ciò poiché, da un punto di vista tributario, la nullità civilista non è sufficiente per delegittimare il diritto alla detrazione dell’IVA.
Il fondamento di questa considerazione della Corte di Cassazione affonda le radici nel diritto unionale: la Corte di Giustizia UE, nella causa C-114/22 del 25 maggio 2023, ha infatti dichiarato illegittimo il divieto del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte in conseguenza del fatto che l’operazione imponibile alla base risulti viziata da nullità.
Infatti, le motivazioni che possono legittimare la negazione alla detrazione dell’imposta sono ben diverse dalla nullità civilista dell’operazione imponibile, che non rileva da un punto di vista tributario; più precisamente la detrazione può essere negata, alternativamente:
- se non può essere fornita prova dell’effettiva realizzazione dell’operazione (per cui la cessione o la prestazione può essere considerata fittizia);
- quando in relazione all’operazione sia stata individuata una situazione di abuso del diritto;
- nel caso in cui l’operazione tragga origine da un’evasione dell’imposta.
Il principio di diritto
Così, per puntualizzare tutto ciò, la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 16279 del 12 giugno 2024, emana il seguente principio di diritto:
“Ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA da parte della cessionaria in caso di nullità del contratto di cessione del bene e relativa fattura emessa dalla cedente, in applicazione della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE sentenza C114/22 del 25 maggio 2023, il soggetto passivo non è privato del diritto alla detrazione per il solo fatto che il contratto è viziato da nullità sulla base del diritto civile, se non è dimostrato che sussistono gli elementi che consentono di qualificare tale operazione ai sensi del diritto unionale come fittizia oppure, qualora detta operazione sia stata effettivamente realizzata, che essa trae origine da un’evasione dell’imposta o da un abuso di diritto”.
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Distacco di personale: imponibile IVA se c’è corrispettività tra servizio e somma
La Corte di Cassazione si allinea all'orientamento unionale sull'imponibilità IVA del personale distaccato.
L'Ordinanza n 22700 del 2024 ha evidenziato che l’operazione è imponibile anche nell’ipotesi in cui l’addebito al soggetto che fruisce della prestazione venga effettuato al mero costo, sussistendo la corrispettività tra il servizio prestato e la somma ricevuta.
Distacco di personale: imponibile IVA se c’è corrispettività tra servizio e somma
La Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 22700 del 12 agosto 2024, ha stabilito che il distacco di personale può essere soggetto a IVA anche quando il rimborso delle spese sostenute per il personale distaccato avviene senza margini di profitto.
La Corte ha richiamato la sentenza della Corte di Giustizia UE (causa C-94/19 dell'11 marzo 2020), che ha sancito che l'imponibilità ai fini IVA sussiste qualora vi sia un nesso di corrispettività tra il servizio reso e l'importo ricevuto, indipendentemente dal fatto che il corrispettivo sia pari o inferiore ai costi sostenuti.
La Corte ha chiarito che il semplice rimborso dei costi, in mancanza di lucro, non esclude l'assoggettamento a IVA, definendo con chiarezza il perimetro fino ad ora applicato in modo restrittivo.
In precedenza la giurisprudenza europea ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 8, comma 35, della legge n. 67/1988, che escludeva la rilevanza ai fini IVA dei prestiti o distacchi di personale qualora venisse rimborsato solo il costo sostenuto. La Corte di Giustizia ha richiesto che, ai fini della imponibilità, venga verificata la sussistenza di un nesso di corrispettività tra il servizio prestato e l'importo addebitato.
La Cassazione ha anche evidenziato che sarà necessario attendere ulteriori chiarimenti da parte dell'Agenzia delle Entrate, cui si rimanda la specifica dei casi in cui il distacco di personale può essere escluso dall'imposta per assenza del nesso di corrispettività.
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Decreto Omnibus: novità IVA per ASD e SSD
Pubblicato in GU n 186 del 9 agosto il Decreto Ominbus con norme che trattano di diverse materie di carattere fiscale, proroghe di termini normativi, e interventi economici straordinari in vigore dal 10 agosto 2024.
In particolare, l'articolo 3 del decreto ha lo scopo di chiarire che ai fini iva, le associazioni e le società sportive dilettantistiche possono continuare ad applicare, fino alla data di entrata in vigore dell'articolo 5 comma 15 quater del decreto legge 146 del 2012, le disposizioni di cui all'articolo quattro comma quattro del DPR n. 663 del 1972 che pone dette prestazioni fuori dal campo di applicazione dell'iva.
Decreto Omnibus: novità per l’IVA di ASD e SSD
L'art 3 del Decreto prevede che "fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui all'articolo 5, comma 15-quater, del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, possono ritenersi applicabili le disposizioni di cui all'articolo 4, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, da parte delle associazioni sportive dilettantistiche e, in virtu' di quanto previsto dall'articolo 90, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, da parte delle societa' sportive dilettantistiche. Sono fatti salvi i comportamenti dei contribuenti adottati prima della data di entrata in vigore del presente decreto"
In parole semplici le disposizioni di favore di cui all’art. 4 comma 4 del DPR 633/72, che escludono da IVA le operazioni rese dalle ASD agli associati per fini istituzionali, si applicano anche dalle società sportive dilettantistiche.
In pratica le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da SSD a favore dei soci possano beneficiare del medesimo regime di decommercializzazione IVA previsto per le ASD.
Si ricorda che l’esclusione IVA applicabile ad ASD e SSD, sarà possibile solo fino alla data di entrata in vigore dell’art. 5 comma 15-quater del DL 146/2021, che dal 1° gennaio 2025, elimina il regime di “decommercializzazione” poiché incompatibile con la direttiva IVA.
A partire dal 1 gennaio 2025 verrà meno la previsione del fuori campo iva e le prestazioni rese dalle associazioni e dalle società sportive in esame saranno esenti da iva a condizione che gli statuti prevedano che non siano distribuibili utili, condizione questa che qualifica gli enti come soggetti non lucrativi.
Infine la norma fa salvi i comportamenti pregressi dei contribuenti, ossia quelli adottati prima del 10 agosto 2024, data di entrata in vigore del nuovo decreto.
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Anomalie IVA 2021: lettere di compliance in arrivo
Viene pubblicato Provvedimento Ade n 29534 del 15 luglio con le regole per l'adempimento spontaneo per le anomalie IVA 2021.
Vediamo i dettagli.
Anomalie IVA 2021: come regolarizzare
L’Agenzia delle Entrate mette a disposizione di specifici contribuenti soggetti passivi IVA, con le modalità previste dal presente provvedimento, le informazioni derivanti dal confronto tra:
- a) i dati fiscali delle fatture elettroniche (“dati fattura” come definiti al punto 1.2 del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 24 novembre 2022 e successive modificazioni) emesse per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate tra soggetti residenti, stabiliti o identificati nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 1 del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127 e verso le Pubbliche amministrazioni ai sensi dell’articolo 1, commi da 209 a 214, della legge 24 dicembre 2007, n. 244;
- b) i dati dei corrispettivi giornalieri memorizzati elettronicamente e trasmessi telematicamente all’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127;
- c) i dati indicati nella Dichiarazione annuale IVA; da cui risulterebbero delle anomalie dichiarative per il periodo di imposta 2021.
L’Agenzia delle Entrate trasmette una comunicazione, contenente le informazioni su indicata al domicilio digitale dei singoli contribuenti
La stessa comunicazione e le relative informazioni di dettaglio sono consultabili, da parte del contribuente, all’interno dell’area riservata del portale informatico dell’Agenzia delle Entrate denominata 3 “Cassetto fiscale” e dell’interfaccia web “Fatture e Corrispettivi”, in cui sono resi disponibili:
- a) il protocollo identificativo e la data di invio della dichiarazione IVA, per il periodo d’imposta oggetto di comunicazione, per la quale risultano delle anomalie;
- b) i seguenti dati della dichiarazione di cui al punto a):
- i. per le operazioni attive imponibili la somma algebrica dei righi VE24, colonna 1 (Totale imponibile), VE37 colonna 1 (Operazioni effettuate nell’anno ma con imposta esigibile in anni successivi), VE38 (Operazioni effettuate nei confronti dei soggetti di cui all’art. 17-ter) e VE39 (Operazioni effettuate in anni precedenti ma con imposta esigibile nell’anno oggetto di comunicazione);
- ii. per le operazioni passive in regime di inversione contabile (reverse charge), per le quali il contribuente risulta debitore d’imposta, la somma algebrica degli importi indicati nella colonna 1 dei righi VJ6, VJ7, VJ8, VJ12, VJ13, VJ14, VJ15, VJ16 e VJ17;
- c) importo della somma delle operazioni IVA trasmesse telematicamente aventi le seguenti nature:
- i. attive imponibili;
- ii. passive con applicazione del regime di inversione contabile (reverse charge) di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 17 e ai commi 7 e 8 dell’art. 74, del d.P.R. n. 633 del 1972;
- d) ammontare complessivo delle operazioni attive imponibili e/o delle operazioni passive in regime di inversione contabile (reverse charge) che non risulterebbe indicato nella dichiarazione IVA;
- e) dati identificativi dei clienti (denominazione/cognome e nome e codice fiscale) e relativo ammontare delle operazioni attive imponibili;
- f) ammontare complessivo dei corrispettivi giornalieri per operazioni imponibili, distinto per “matricola dispositivo RT”, “documenti commerciali online” o “distributori carburanti”;
- g) dati identificativi dei fornitori (denominazione/cognome e nome e codice fiscale) e relativo ammontare delle operazioni passive in regime di inversione contabile (reverse charge).
Conseguentemente, i contribuenti che hanno avuto conoscenza delle informazioni e degli elementi resi dall’Agenzia delle Entrate possono regolarizzare gli errori o le omissioni eventualmente commessi secondo le modalità previste dall’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, beneficiando della riduzione delle sanzioni in ragione del tempo trascorso dalla commissione delle violazioni stesse, così come previsto dalla disposizione normativa citata.