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    Patti parasociali: l’opzione put non è un patto leonino

    La Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 27283, pubblicata il 22 ottobre 2024, analizza i contratti parasociali in generale, e nello specifico il patto leonino, definendone le caratteristiche anche in relazione alla cosiddetta opzione put.

    L’opzione put è un contratto grazie al quale il suo acquirente acquisisce la facoltà (non l’obbligo) di vendere delle quote a un dato prezzo.

    La Corte ci spiega che il patto parasociale è un accordo contrattuale che lega i soci di una società (ma possono partecipare al patto anche terzi) e che ha come obiettivo quello di regolamentare il comportamento da seguire durante la vita dell’impresa oppure il comportamento da seguire in relazione all’esercizio dei diritti (di voto, ad esempio) relativi alle partecipazioni detenute.

    Il nostro ordinamento, nello specifico l’articolo 2341-bis del Codice civile, disciplina i più importanti patti parasociali, quelli che hanno come fine la stabilizzazione degli assetti proprietari della società; la norma prevende che non possono avere una validità superiore a 5 anni quei patti parasociali che:

    • abbiano per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società di capitali;
    • pongano limiti al trasferimento delle relative azioni o delle quote;
    • abbiano per oggetto o per effetto l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante sulla società.

    Secondo la Corte di Cassazione questa rappresenta “una previsione che implica il riconoscimento da parte del legislatore della meritevolezza e della tutelabilità dei patti parasociali, da ritenere dunque sempre validi, purché non si pongano in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento in materia societaria”.

    Il divieto di patto leonino e l’opzione put

    In questo contesto normativo si inserisce il divieto di patto leonino, disciplinato all’articolo 2265 del Codice civile, ai sensi del quale è da considerarsi nullo qualsiasi patto parasociale in base al quale uno o più soci siano esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite.

    La Corte di Cassazione, sull’ordinanza 27283/2024, puntualizza che tale previsione normativa trova motivazione fondante nelle caratteristiche dell’attività svolta dalla società, cioè nell’esercizio dell‘impresa, motivo per cui nessun socio può essere escluso dal fine ultimo dell’esercizio dell’impresa, che è il conseguimento degli utili, né può essere esentato da quella caratteristica tipica di questa attività rappresentata dal rischio d’impresa.

    La Corte di Cassazione però definisce anche le caratteristiche del cosiddetto patto leonino, necessarie affinché un patto parasociale possa essere considerato tale e di conseguenza possa essere considerato nullo, in base all’articolo 2265 del Codice civile. Infatti, secondo la Corte, affinché un patto parasociale possa essere considerato un patto leonino, è necessario che l’esclusione del socio dagli utili o dalle perdite sia:

    • totale, e non parziale, dovendosi verificare “un’alterazione completa della causa societatis”;
    • costante, dovendosi configurare una alterazione irreversibile, e non temporanea, dei diritti patrimoniali del socio.

    L’ordinanza numero 27283, pubblicata il 22 ottobre 2024, ha come centro l’ulteriore indagine se in tale divieto di patto leonino possa rientrare anche l’opzione put, quell’accordo in forza del quale l’acquirente di una partecipazione ottiene il diritto, ma non l’obbligo, di rivendere la medesima partecipazione a un prezzo prestabilito, nel caso in cui l’obiettivo dell’accordo sia di stabilizzare l’assetto societario.

    Secondo la Corte di Cassazione un tale patto è da ritenersi valido in quanto finalizzato al perseguimento di interessi imprenditoriali meritevoli di tutela e non configura un patto leonino, per il quale vige il divieto.

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    Bonus veicoli sicuri 2024: in arrivo 1,5 ML

    Il Collegato Fiscale DL n 155/2024 in conversione in legge contiene tra le altre misure il rifinanziamento del bonus veicoli sicuri rivolto ai proprietari di veicoli da sottoporre a revisione.

    Vediamo i dettagli dell'art 1 commi 6 ter e quater relativi alla revisione dei veicoli.

    Bonus veicoli sicuri 2024: l’aevolazione per le revisioni

    L’articolo 1, comma 6-ter, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, incrementa di un importo pari ad 1,5 milioni di euro per il 2024, le risorse previste dall’articolo 1, comma 707 della legge n. 178 del 2020, volte a finanziare il cosiddetto “buono veicoli sicuri”.

    Il comma 6-quater reca la copertura finanziaria del relativo onere, pari a 1,5 milioni per il 2024.
    In proposito si ricorda che il comma 705 dell’articolo 1 della legge n. 178 del 2020 aveva previsto un adeguamento della tariffa relativa alla revisione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi aumentandola di un importo pari a 9,95 euro.
    A seguito di tale adeguamento tariffario, il comma 706 dello stesso articolo 1, aveva previsto, a titolo di misura compensativa dell'aumento, per i primi tre anni, il riconoscimento di un buono, denominato «buono veicoli sicuri», ai proprietari di veicoli a motore che nel medesimo periodo temporale avessero sottoposto il proprio veicolo e l'eventuale rimorchio alle operazioni di revisione.
    Il comma in commento, pertanto, incrementa, come evidenziato in precedenza, il suddetto Fondo di un importo pari a 1,5 milioni di euro per l’anno 2024 aumentando la durata della misura compensativa in questione a quattro anni rispetto al periodo precedente di tre anni.

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    Codici tributo settore giochi ippica

    Con Risoluzione n 58 del 3 dicembre le Entrate istituiscono con i codici tributo per il versamento, tramite il modello “F24 Accise”, delle somme dovute dai concessionari del settore dei giochi relative:

    • ai saldi per i concorsi pronostici sportivi, 
    • per l’ippica nazionale, ippica internazionale e concorsi pronostici ippici, 
    • nonché per l’ippica d’agenzia.

    Codici tributo settore giochi ippica

    ll decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 18 luglio 2003 consente la riscossione delle entrate tributarie ed extratributarie, di pertinenza dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (ora Agenzia delle Dogane e dei Monopoli), con le modalità stabilite dall’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.

    Con nota prot. n. 484090 del 23 luglio 2024, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli- Direzione Giochi ha chiesto l’istituzione dei codici tributo per il versamento, tramite modello “F24 Accise”, delle somme dovute dai concessionari del settore dei giochi relative ai saldi per i concorsi pronostici sportivi, per l’ippica nazionale, ippica internazionale e concorsi pronostici ippici, nonché per l’ippica d’agenzia.

    Tanto premesso, si istituiscono i seguenti codici tributo:

    • “5506” denominato “Saldo concorsi pronostici sportivi”;
    • “5507” denominato “Sanzione per tardivo versamento del Saldo concorsi pronostici sportivi”;
    •  “5508” denominato “Interessi per tardivo versamento del Saldo concorsi pronostici sportivi”;
    •  “5509” denominato “Saldo ippica nazionale, ippica internazionale e concorsi pronostici ippici”;
    •  “5510” denominato “Sanzione per tardivo versamento del Saldo ippica nazionale, ippica internazionale e concorsi pronostici ippici”;
    • “5511” denominato “Interessi per tardivo versamento del Saldo ippica nazionale, ippica internazionale e concorsi pronostici ippici”;
    • “5512” denominato “Saldo ippica d’agenzia”;
    • “5513” denominato “Sanzione per tardivo versamento del Saldo ippica d’agenzia”;
    • “5514” denominato “Interessi per tardivo versamento del Saldo ippica d’agenzia”.

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    Rilevanza degli immobili come beni merce: principio della Cassazione

    Con l'Ordinanza n 25550 del 24 settembre 2024 la Cassazione ha sancito un principio secondo cui i beni immobili che una società, in conformità al proprio oggetto sociale, costruisce su un terreno di sua proprietà e, successivamente, vende a un terzo, devono essere sottoposti alla disciplina tipica dei “beni merce” e non a quella dei “beni patrimoniali”.

    Vediamo i dettagli del caso di specie.

    Rilevanza immobili come beni merce: principio della Cassazione

    Una Direzione provinciale della Agenzia delle Entrate notificava ad una sas, avviso di accertamento con il quale rettificava il reddito imputabile alla società nella misura di Euro 154.184,00 a fronte di un reddito imponibile dichiarato di Euro 14.184,00.

    L'Ufficio, con distinti avvisi di accertamento, rettificava anche il reddito da partecipazione dei soci ai sensi dell'art. 5 D.P.R. 22/12/1986, n. 917 TUIR.

    In particolarem l'Agenzia delle Entrate contestava che la società aveva ceduto a titolo oneroso un fabbricato dalla stessa precedentemente edificato, applicando erroneamente la disciplina dei beni patrimoniali e dichiarando una plusvalenza di Euro 20.000,00, senza qualificare, come sarebbe stato doveroso, l'immobile ceduto come bene merce e senza includere tra i ricavi di competenza l'intero corrispettivo ricevuto pari ad Euro 140.000,00 come imposto dall'art. 85 TUIR.

    La società e i soci impugnavano gli atti impositivi innanzi alla Commissione tributaria provinciale contestando gli addebiti e affermando che l'immobile ceduto doveva rientrare tra i beni patrimoniali della società.

    L'Agenzia delle Entrate si costituiva nei diversi giudizi chiedendo dichiararsi la legittimità della pretesa impositiva e respingersi le impugnazioni. La CTP regionale riuniti i ricorsi, li respingeva con sentenza. La società e i soci proponevano appello innanzi alla Commissione tributaria regionale. L'Ufficio si costituiva con controdeduzioni chiedendo la conferma della sentenza impugnata. 

    La CTR adita accoglieva l'appello e, di conseguenza, annullava gli accertamenti con sentenza, avverso la pronuncia della CTR, l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. 

    L'Agenzia delle Entrate deduce violazione dell'art. 85, comma 1, TUIR in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. 

    Secondo l'Amministrazione ricorrente la sentenza avrebbe errato nel ritenere l'immobile ceduto come bene patrimonio piuttosto che come bene merce, con conseguente scelta di un erroneo regime fiscale quanto alla tassazione del ricavo maturato.

    Secondo la Cassazione il motivo del ricordo è fondato poichè la società aveva nel suo oggetto sociale, fino al 2005 e prima di un mutamento dell'oggetto sociale, anche la costruzione di immobili e non la sola commercializzazione degli stessi e che era incontestato tra le parti che la società stessa avesse realizzato la costruzione dell'immobile compravenduto. 

    Tale circostanza, secondo la Commissione tributaria regionale, giustificava l'ascriversi dell'immobile ai beni patrimoniali e ciò anche in assenza della contabilizzazione del valore di esso tra le rimanenze, dovendo qualificarsi tale condotta di bilancio come un errore formale inidoneo a mutare la natura del bene in questione.

    La Corte ha più volte affrmato dei principi, violati, a suo avviso, nella sentenza impugnata.

    Viene specificato appunto che "in tema di redditi d'impresa, deve distinguersi tra immobili merce, destinati al mercato di compravendita, immobili patrimonio, destinati al mercato locativo, e immobili strumentali per destinazione o per natura, in quanto funzionali, i primi, secondo un'interpretazione restrittiva, allo svolgimento di attività tipicamente imprenditoriali e inidonei alla produzione di un reddito autonomo rispetto a quello del complesso aziendale nel quale sono inseriti, e caratterizzati, i secondi, da una strumentalità oggettiva senza che rilevi la loro utilizzazione per l'esercizio dell'impresa" 

    ed ancora: "in tema di redditi d'impresa, i beni immobili non strumentali né riconducibili ai beni-merce agli effetti dell'art. 57 (ora 90) del D.P.R. n. 917 del 1986 – che prevede l'indeducibilità dei relativi costi ed il concorso alla formazione del reddito secondo la disciplina sui redditi fondiari – vanno individuati in ragione della loro natura e della destinazione all'attività di produzione o di scambio oggetto dell'attività d'impresa, con la conseguenza che qualora gli stessi non siano correlati allo svolgimento di un'attività produttiva di reddito d'impresa, non solo non possono ritenersi beni-merce, ma neppure beni strumentali per destinazione" 

    Nel caso di specie l'immobile oggetto della compravendita non aveva, alla luce dei criteri delineati dalle pronunce riportate, nemmeno nella prospettazione delle parti e cioè in ragione delle circostanze di fatto per come descritte nella sentenza, natura di bene patrimoniale, perché pacificamente non destinato al mercato locativo, né natura di bene strumentale atteso che difettava di ogni destinazione alla realizzazione dell'attività di impresa.

    Tale conclusione è perfettamente coerente con l'assenza di un registro dei cespiti ammortizzabili della società che riportasse l'immobile tra i beni patrimoniali. 

    La sentenza impugnata ha, allora, errato nel negare l'applicabilità alla fattispecie dell'art. 85 TUIR che recita: "sono considerati ricavi: a) i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa", atteso che solo tra di essi, e cioè tra i beni merce, poteva rientrare l'immobile ceduto.

    A tale ultimo riguardo si consideri il principio di diritto, costantemente affermato dalla Corte, secondo il quale "in tema di determinazione del reddito di impresa, il corrispettivo della vendita di un complesso di unità immobiliari, effettuato da una società avente come oggetto principiale l'attività di compravendita di immobili, costituisce, a norma dell'art. 53 (ora art. 85), comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 917 del 1986, ricavo interamente tassabile, atteso che la tassabilità della sola plusvalenza riguarda il corrispettivo realizzato mediante cessione di beni relativi all'impresa diversi da quelli alla cui produzione o al cui scambio essa è diretta"

    Per tutto quanto premesso si accoglie il ricorso, si cassa la sentenza impugnata.

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    Global minimum tax: riduzione del reddito per attività sostanziale

    Il Decreto MEF dell'11 ottobre attuativo di quando previsto dall'art 35 del Dlgs n 209/2023 (Riforma fiscale) sulla global minimum tax viene pubblicato in GU n 249 del 23 ottobre.

    In particolare, l'art 35 comma 2 prevede che il reddito netto rilevante per un dato Paese è ridotto, ai fini del calcolo dell’imposizione integrativa, di un importo pari alla somma della riduzione per spese salariali di cui al comma 3 del presente articolo e della riduzione per immobilizzazioni materiali di cui al comma 4 del presente articolo, entrambe calcolate in relazione a ciascuna impresa localizzata nel Paese

    Il primo periodo non si applica se l’impresa dichiarante di un gruppo multinazionale o nazionale sceglie, ai sensi dell’articolo 52, comma 2, di non avvalersi per l’esercizio della riduzione del reddito basata sullo svolgimento di una attività economica sostanziale.

    Il decreto di cui si tratta appunto disciplina la riduzione in base alla attività economica sostanziale.

    Global minimum tax: riduzione del reddito per attività effettiva

    Il decreto 11 ottobre del MEF reca le disposizioni attuative riguardanti la riduzione della base imponibile della Global minimum tax disciplinata all’articolo 35 del Decreto Legislativo. 

    Il Decreto è composto da 8 articoli:

    • art 1 Definizioni
    • art 2 Riduzione del reddito per attività economica sostanziale
    • art 3 Riduzioni per spese salariali
    • art 4 Pagamenti basati su azioni
    • art 5 Riduzione per Immobilizzazioni Materiali
    • art 6 Leasing
    • art 7 Stabile organizzazione
    • art 8 Entità trasparente

    Il decreto tiene conto dei chiarimenti forniti nella Guida Amministrativa “Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy – Administrative Guidance on the Global Anti-Base Erosioin Model Rules (Pillar two)”, approvata dal Quadro Inclusivo sul BEPS il 13 luglio 2023, riguardanti l’importo del reddito rilevante che è possibile escludere dall’imposizione integrativa in quanto riferibile allo svolgimento, in un dato Paese, di un’attività economica sostanziale. 

    Tale riduzione, nota anche come “Substance-based Income Exclusion” (SBIE), si calcola considerando la remunerazione di due fattori produttivi: 

    • il Valore Contabile Netto delle Immobilizzazioni Materiali Ammissibili non destinate alla vendita, all’investimento o alla locazione
    • e i salari dei dipendenti.

    Il ricorso a questi due indicatori di attività sostanziali deriva dalla considerazione, da parte del Quadro Inclusivo sul BEPS, che tali fattori, oltre ad essere significativi rispetto all’esercizio di una effettiva attività economica, sono meno mobili e quindi meno esposti al rischio di manovre elusive. 

    Per effetto dell’esclusione dal reddito rilevante di tale ammontare riconducibile alle attività economiche sostanziali, l’imposizione integrativa grava esclusivamente sul profitto eccedente ottenuto dal gruppo in un determinato Paese. 

    Si ricorda, inoltre, che la riduzione da attività economica sostanziale riguarda quei gruppi multinazionali o nazionali che svolgono la loro attività in Paesi a bassa imposizione o attraverso entità apolidi che sono assoggettate ad un’imposizione effettiva inferiore all’aliquota minima d’imposta.

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    Fermo auto di lavoro: come richiedere l’annullamento

    L'agenzia delle Riscossione ha pubblicato la guida aggiornata con tutti i servizi per orientare cittadini e professionisti all'utilizzo dei suoi servizi.

    Il documento datato luglio 2024 tra l'altro chiarisce come richiedere l'annullamento del preavviso o la cancellazione del fermo della propria auto.

    Come richiedere l’annullamento del fermo per veicolo di lavoro, o del preavviso per i disabili

    La legge prevede che i contribuenti che svolgono un’attività di impresa oppure una professione possano chiedere l’annullamento della procedura di iscrizione del fermo sul bene mobile registrato (per esempio, l’automobile), se questo riveste natura strumentale per le attività professionali o d’impresa e il debitore o i suoi coobbligati ne forniscano adeguata dimostrazione (art. 86 DPR n. 602/1973).

    In caso di notifica di preavviso di fermo su un bene strumentale, il contribuente può chiederne l’annullamento entro 30 giorni dalla notifica del preavviso compilando il modello F2, reperibile sul sito, cui allegare la documentazione indicata sul modello stesso, che può essere presentato agli sportelli di AdeR. 

    Attenzione, non è prevista invece la cancellazione del provvedimento nel caso in cui la strumentalità del bene sia eccepita e accertata dopo l’iscrizione del fermo (30 giorni dalla notifica del preavviso).

    È inoltre possibile annullare il preavviso del fermo e non procedere, pertanto, all’iscrizione della misura cautelare, nel caso in cui venga comprovato che il bene sia destinato all’uso di persone diversamente abili.

    In questo caso, deve essere presentato il modello F3, reperibile sul sito, cui allegare la documentazione indicata sul modello stesso, che può essere presentato agli sportelli. 

    Lo stesso modello deve essere presentato qualora l’uso del veicolo da parte di persone diversamente abili sia eccepito successivamente all’avvenuta iscrizione del fermo amministrativo; in questo caso, diversamente da quanto previsto in tema di beni strumentali, è, infatti, possibile procedere alla cancellazione della misura cautelare.

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    Azioni ricevute in donazione: come si calcola il valore di cessione

    Con Risposta a interpello n 114 del 23 maggio chiarisce il valore delle azioni di società non residente ricevute in donazione da un soggetto non residente.

    L'Istante,  residente  ai  fini  fiscali in  Italia,  intende cedere  639  azioni  di  una società  di  diritto belga ivi fiscalmente residente.

    Specifica che il patrimonio  della Società  Alfa  è  prevalentemente costituito dalla partecipazione di controllo in una società di diritto belga ivi fiscalmente residente, le  cui  azioni  sono quotate  presso Euronext Bruxelles    

    La titolarità da parte dell'Istante delle azioni della Società  Alfa deriva  dal conferimento operato dai genitori, entrambi fiscalmente  residenti  in  Belgio, delle  azioni  della  Società  Beta  in favore della Società Alfa avvenuto il 9 giugno 2017, a seguito del quale, il patrimonio netto di Alfa si è incrementato

    L'Istante dichiara che il conferimento non ha scontato alcuna imposizione diretta ai sensi della normativa belga

    Successivamente, il  10 luglio  2017, è avvenuta  una  donazione pro-­indiviso  da parte dei genitori nei confronti dell'Istante e dei suoi quattro fratelli e contestualmente lo scioglimento della comunione mediante la divisione delle stesse; ad esito della quale, l'Istante ha ottenuto le Azioni Alfa. 

    La donazione ha scontato in Belgio le imposte di donazione nella misura del 3 per cento sul controvalore delle azioni donate. 

    Ciò posto, l'Istante chiede se, in caso di cessione futura delle Azioni Alfa, possa assumere il  valore normale, determinato ai  sensi  dell'articolo  9, commi  2 e  4, lettera a), del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir), come valore di acquisto ai fini della determinazione della plusvalenza di cui all'articolo 67, comma 1, del Tuir.

    Valore azioni ricevute in donazione e poi cedute: come calcolarlo

    L'Agenzia delle Entrate replica che, secondo il comma 6 dell'articolo 68 del Tuir, nel caso di acquisto per donazione, il costo delle azioni deve essere quello del donante, aumentato di ogni onere inerente alla loro produzione, compresa l'imposta di donazione
    La circolare del Ministero delle Finanze del 24 giugno 1998 specifica che per le partecipazioni ricevute in donazione si fa riferimento al prezzo pagato all'atto dell'ultimo acquisto avvenuto a titolo oneroso o al valore definito dal precedente titolare o, in mancanza, a quello da lui dichiarato agli effetti dell'imposta di successione.
    Pertanto, l'Istante dovrà assumere come valore di acquisto delle Azioni Alfa quello determinato in proporzione al costo o valore di acquisto che le Azioni Beta avevano in capo ai genitori donanti, incrementato di ogni onere inerente alla relativa acquisizione, compresa l'imposta di donazione assolta dal donatario.

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    Delibere dell’assemblea: la metà del capitale sociale richiede comunque la maggioranza

    Gli articoli 2479 e 2479 bis del Codice civile disciplinano il funzionamento dell’assemblea dei soci in una Società a responsabilità limitata ma, in generale, similari principi di funzionamento sono previsti per tutte le società di capitali.

    Come regola generale l’articolo 2479 bis del Codice civile dispone che l’assemblea “delibera a maggioranza assoluta”, e, per talune situazioni di particolare importanza decisionale, come la modificazione dell’atto costitutivo o la decisione di porre in essere operazioni che comportino la sostanziale modificazione dell’oggetto sociale, richiede che le decisioni debbano essere assunte “con il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale”.

    Inoltre è anche possibile che lo statuto di una società di capitali prescriva, per l’approvazione di tutte le deliberazioni sociali, l’ottenimento del voto favorevole di almeno metà del capitale sociale, come nel caso esaminato dall’ordinanza numero 5429/2024 della Corte di Cassazione, in questa sede esaminata.

    Il casus belli, esaminato dalla Corte di Cassazione, è quello in cui una delibera assembleare ha sì l’approvazione di un numero di soci che rappresentano la metà del capitale sociale ma, al tempo stesso, ha il voto contrario di un numero di soci rappresentativo di una eguale porzione di capitale sociale, nel contesto di una assemblea totalitaria.

    Ordinanza Cassazione n 5429/2024

    Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 5429, pubblicata il 29 febbraio 2024, il capitale sociale di una Società a responsabilità limitata era diviso tra due soci in eguali parti, ma l’analisi effettuata dalla Corte è egualmente valida per tutti i casi in cui, nel contesto di una assemblea totalitaria di società di capitali, si contrappongano due posizioni equivalenti raggiungenti entrambe la metà del capitale sociale.

    Nel contesto di una decisione che richiede, per l’approvazione, del voto favorevole di almeno la metà del capitale sociale, ciò che viene analizzato è se questa possa considerarsi approvata nel momento in cui abbia il voto favorevole di soci che rappresentano una tale porzione di capitale sociale, anche quando abbia il voto sfavorevole di una equivalente parte dei diritti di voto.

    La Corte di Cassazione precisa che il Codice civile, per le deliberazioni assembleari, impone il “principio maggioritario”, in rispetto del quale una decisione, per essere assunta debba essere votata a maggioranza; inoltre, per talune tipologie di deliberazioni, o quando lo statuto lo disponga (come nel caso esaminato), la deliberazione deve essere assunta con la maggioranza rappresentativa di almeno metà del capitale sociale; tuttavia, precisa la Corte, la maggior richiesta di voti rappresentativi almeno la metà del capitale sociale non è indipendente o alternativo al “principio maggioritario”, ma si aggiunge a questo.

    Quindi, per queste deliberazioni, le decisioni devono essere assunte con il voto favorevole della maggioranza dei diritti di voto, costituenti almeno la metà del capitale sociale.

    Di conseguenza, una deliberazione che abbia il voto favorevole della metà del capitale sociale, ma non il voto dell’altra metà, presente in assemblea, non rispondendo al “principio maggioritario”, semplicemente non è approvata.

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    Credito ACE. divieto di cessione dopo la prima

    Il Dl n 39/2024  è stato convertito in Legge n 67/2024 pubblicata in GU n 213 del 28 maggio.

    Tra le altre novità si prevedono presidi antifrode per l'ACE, vediamo il dettaglio.

    Credito ACE: le novità in vigore dal 30 marzo

    L’articolo 5, al comma 1, modifica l’articolo 19, comma 6, del menzionato decreto-legge Sostegni-bis (n. 73 del 2021).

    Nella sua previgente formulazione, esso disponeva che l’ACE, fruito mediante credito d'imposta – oltre a essere utilizzato in compensazione ed essere chiesto a rimborso – potesse essere ceduto, con facoltà di successiva cessione del credito ad altri soggetti, nonché usufruito dal cessionario con le stesse modalità previste per il soggetto cedente.

    Con le modifiche di cui alla lettera a) del comma 1 viene esclusa la possibilità di ulteriori cessioni, dopo la prima, dell’incentivo ACE utilizzato sotto forma di credito di imposta.

    Il comma 6, nella sua formulazione vigente, dispone altresì che i soggetti cessionari del credito ACE rispondono solo per l'eventuale utilizzo del credito d'imposta in modo irregolare o in misura maggiore

    rispetto al credito ricevuto.

    Con le modifiche di cui alla lettera b) del comma 1 il comma 6 viene integrato al fine di disporre che in presenza di concorso nella violazione, oltre all’applicazione delle norme generali sul concorso nelle violazioni tributarie (di cui all'articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472), ai fini del recupero del credito e dei relativi interessi, sussiste anche la responsabilità in solido dei

    soggetti cessionari.

    Le disposizioni in esame prevedono che alle cessioni del credito d’imposta con cui si usufruisce dell’ACE si applichi il complesso di misure antifrode in tema di cessioni dei crediti di imposta contenute nell’articolo 122-bis del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34

    Con una norma di chiusura si prevede che i crediti che, al 30 marzo 2024, sono stati precedentemente oggetto di cessione possono costituire oggetto esclusivamente di una ulteriore cessione ad altri soggetti, alle condizioni ivi previste