• Regimi Contabili

    Regime forfettario: cause di esclusione per percettore pensione vecchiaia

    Con Risposta a interpello n 311 del 3 maggio le Entrare chiariscono che il regime forfettario è precluso a chi percepisce una pensione di vecchiaia astrattamente riconducibile tra i redditi di lavoro dipendente di importo eccedente i 30 mila euro anche se esente.

    Vediamo i dettagli.

    L'istante chiede chiarimenti in merito all'interpretazione della disciplina del regime dei forfetari di cui all'articolo 1, commi 54 e seguenti, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 e, nello specifico, delle relative cause di esclusione

    Nell'istanza, il Contribuente afferma: ­ 

    • di essere residente in un paese dell'Unione Europea, ­
    • di voler aprire una partita Iva in Italia;
    • ­che  «in  caso  di  apertura  di  partita  iva  per  avvio  dell'attività  in  Italia,  si provvederebbe contestualmente a stabilire la residenza fiscale nello stesso Stato».

    L'Istante fa presente di percepire, quale unico reddito, la pensione per raggiunti limiti  di  età  a  titolo  di  ex  dipendente  della Commissione  Europea e che la stessa è superiore all'importo annuo di  euro  30.000,00.  

    In proposito, l'Istante sottolinea che gli emolumenti corrisposti  ai  funzionari  della  Commissione  Europea  sono  esenti  da tassazione nazionale negli Stati membri dell'Unione Europea in base a quanto disposto dall'articolo 12 del Protocollo n.7 ''Sui privilegi e sulle immunità dell'Unione Europea'' allegato al Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (di seguito, ''TFUE'').

    Alla luce di ciò, il Contribuente chiede un parere «in merito alla sussistenza dei requisiti per l'inizio di un'attività con partita iva individuale con accesso al nuovo regime forfettario agevolato … [o se] il percepimento della pensione di vecchiaia in qualità di ex dipendente della Commissione Europea costituisca una causa ostativa per l'accesso al suddetto regime fiscale».

    Le entrate chiariscono che la titolarità di una pensione di importo superiore a 30.000 euro, anche se esente da imposizione in Italia, preclude l’applicazione del regime forfetario. 

    In base all’art. 1 comma 57 lett. d-ter) della L. 190/2014, l’applicazione del regime forfetario è condizionata al fatto che, nell’anno precedente, siano percepiti redditi di lavoro dipendente e a questi assimilati non eccedenti l’importo di 30.000 euro.

    In  proposito, nella  circolare  n. 10/E  del  4  aprile  2016, a commento  della  causa  di  esclusione  prevista  dalla previgente lettera  d­bis)  del citato comma 57 [nella sua formulazione introdotta dall'articolo 1, comma 111, lettera b), della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ­ sostanzialmente identica all'attuale formulazione della  lettera  d­ter)],  viene  chiarito  che:  «[t]ale limite, introdotto, con decorrenza 1° gennaio 2016, dalla legge di stabilità del 2016, non opera se il rapporto di lavoro dipendente è cessato nel corso dell'anno precedente, sempre che nel medesimo anno non sia stato percepito un reddito di pensione che, in quanto assimilato al reddito di lavoro dipendente,  assume  rilievo,  anche  autonomo,  ai fini  del  raggiungimento  della  citata soglia. Rileva, invece, il citato limite nell'ipotesi in cui, nello stesso anno, il contribuente abbia cessato il rapporto di lavoro dipendente ma ne abbia intrapreso uno nuovo, ancora in essere al 31 dicembre. Ciò in coerenza con la ratio della disposizione, che ha il fine di incoraggiare il lavoratore rimasto senza impiego e senza trattamento pensionistico mediante la concessione di agevolazioni fiscali. Si evidenzia, inoltre, che ai fini della non applicabilità della causa di esclusione in commento rilevano solo le cessazioni del  rapporto di lavoro intervenute nell'anno precedente a quello di applicazione del regime forfetario» 

    Alla luce dei chiarimenti forniti dalla richiamata circolare n. 10/E, si deve ritenere che la previsione della citata lettera d­ ter) escluda dalla  fruizione del  beneficio in parola i titolari di redditi astrattamente riconducibili alla categoria dei redditi di lavoro dipendente e assimilati di cui agli articoli 49 e 50 del TUIR, ossia, i titolari di detti redditi a prescindere dalla loro tassazione in Italia o dall'ammontare delle imposte corrisposte su tali redditi. 

    Considerato il richiamo alla soglia di euro 30.000 («eccedenti l'importo di 30.000 euro») nella citata lettera d ­ter), quello che rileva ai fini dell'applicazione di tale causa di esclusione è, dunque, l'esistenza di simili redditi e il loro ammontare

    Alla luce  di  quanto  sopra,  si  ritiene non  condivisibile la  soluzione prospettata dal Contribuente in quanto, visto il contenuto dalla citata lettera d ­ter), il Regime dei forfetari è escluso per un soggetto che percepisce «una pensione di vecchiaia» [che, in assenza di indicazioni contrarie da parte del Contribuente, deve ritenersi astrattamente riconducibile tra i redditi di lavoro dipendente di cui all'articolo 49, comma 2, lettera a), del TUIR] eccedente i 30.000 euro, ancorché questa sia esente da imposte in Italia per effetto delle disposizioni del Protocollo n. 7 allegato al TFUE.

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    Forfettari: responsabilità per omessa ritenuta per errore

    Con Risposta a interpello n 245 dell'8 marzo l'Agenzia chiarisce che il contribuente in regime forfettario è responsabile per le ritenute d'acconto omesse per errore.

    In particolare, l'istante sostituto d'imposta fa presente che:

    • si avvale delle prestazioni professionali di un collaboratore lavoratore autonomo per attività di presentatore di servizi,
    • il collaboratore in questione ha dichiarato sia nel 2021 che nel 2022, di avvalersi del regime forfetario istituito con L. n. 190/2014 (le cui soglie sono recentemente state modificate dalla legge di bilancio 2023, in proposito leggi: Regime forfettario 2023: soglia di accesso a 85.000 euro)
    • conseguentemente le prestazioni rese sono state fatturate:
      • senza esposizione dell'IVA 
      • e liquidate senza applicazione della ritenuta d'acconto.

    A novembre 2022 il collaboratore ha comunicato che, per la perdita del requisito reddituale (superamento del plafond di euro 65.000 annuo di compensi), non poteva fruire del regime forfetario a partire dall'anno d'imposta 2021 e ­successivamente ha emesso: 

    • per i compensi fatturati nel 2021 e corrisposti nel medesimo anno, una nota di variazione in aumento per l'IVA nel 2022 (ex art. 26 comma 1 DPR 633/1972); 
    • per i compensi fatturati nel 2021 e nel 2022 in regime forfetario e corrisposti nel 2022, note di credito a storno delle suddette fatture in regime forfetario, e riemesso fatture in regime ordinario (con esposizione di IVA e ritenuta d'acconto)

    Tutto ciò premesso, l'istante chiede nella sua funzione di sostituto d'imposta ­ «quale comportamento adottare in relazione alla ritenuta d'acconto non operata sui compensi corrisposti dal 1 gennaio 2021 fino a ottobre 2022».

    Le Entrate ricordano che il regime forfetario beneficia di una serie di semplificazioni contabili, tra le quali la possibilità di non esercitare la rivalsa ai fini IVA e di non essere soggetti alla ritenuta d'acconto in relazione ai ricavi o compensi percepiti.

    A tal fine occorre rilasciare un'apposita dichiarazione al sostituto dalla quale risulti che il reddito cui le somme percepite afferiscono è soggetto all'imposta sostitutiva in esame.

    Nel caso di specie, per  stessa  ammissione dell'istante, «il collaboratore (…) ha dichiarato (…), sia nel 2021 che nel 2022, di avvalersi del regime forfetario istituito con L. n. 190/2014», ritenendo erroneamente di possedere i requisiti per  l'applicazione del regime  forfetario;  conseguentemente, ha  emesso fatture senza esercitare la rivalsa dell'IVA e senza esposizione della ritenuta d'acconto e l'istante, a sua volta, ha corrisposto i compensi maturati dal collaboratore nei periodi d'imposta 2021 e senza applicare la ritenuta d'acconto.

    Secondo quanto dichiarato, l'istante sostituto è venuto a conoscenza dell'errata applicazione del regime forfetario per il 2021 e 2022 solo nel mese di novembre 2022. 

    Le Entrate ricordano che, con le risposte ad interpelli n. 499 e 500, pubblicate il 26 novembre 2019 è stato chiarito che è possibile rimediare all'indebita fruizione del regime forfetario adottando una delle seguenti modalità: ­ 

    1. emettendo e trasmettendo al committente delle note di variazione in aumento al fine di integrare le fatture originarie con l'IVA di rivalsa (da versare all'erario) e indicare la ritenuta d'acconto; ­ 
    2.  emettendo e  trasmettendo  al committente delle  note di variazione  in diminuzione a storno delle fatture originarie  ed  emettendo  nuove  fatture,  in sostituzione delle precedenti,  al  fine di addebitare l'IVA di rivalsa (da versare all'erario) ed indicare la ritenuta d'acconto.

    Tutto ciò premesso si ritiene che l'istante/sostituto non debba eseguire il versamento delle ritenute d'acconto non operate, né presentare le certificazioni uniche ed il Modello 770/2022 integrativo (laddove i compensi, seppur errati, di cui si discute siano stati già riportati nei predetti modelli trasmessi all'Agenzia delle entrate). 

    Con  riguardo ai  compensi  fatturati  nel  2021 e  nel  2022 in  regime forfetario e corrisposti nel 2022, per i quali il collaboratore/sostituito dovrebbe aver già emesso note di  credito  a  storno delle  predette  fatture,  e riemesso fatture in  regime  ordinario  (con esposizione di IVA e ritenuta d'acconto), si è dell'avviso che l'istante/sostituto debba operare, seppur tardivamente, le ritenute d'acconto, e versarle con la maggiorazione a titolo di interesse, nonché  rilasciare la certificazione unica per il 2022 e presentare il Modello 770/2023 indicando i dati corretti. 

    In merito alle  sanzioni, viene chiarito che, ferme restando quelle applicabili al collaboratore/sostituito per l'errata fatturazione e tardiva liquidazione e versamento dell'IVA dovuta,  si ritiene che il medesimo sia, altresì, responsabile delle sanzioni per le ritenute non operate e non versate o versate tardivamente, conseguenti all'errata richiesta di disapplicazione delle medesime

    La responsabilità del collaboratore/sostituito non può essere esclusa essendo responsabile ­per effetto dell'errata dichiarazione rilasciata ­della violazione in cui è incorso l'istante/sostituto, rispetto al quale, invece, sembra potersi applicare quanto disposto dall'articolo  6  del  d.lgs.  n.  472  del  1997 secondo  cui

    •  «1. Se la violazione è conseguenza di errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando l'errore non è determinato da colpa. […]». 

    Concludendo le entrate a tal proposito ricordano che con la circolare 10 luglio 1998,  n. 180/E, è stato chiarito che, (…), l'art. 6, comma 1, esclude la responsabilità quando l'errore non è determinato da colpa. Il fattore discriminante è quindi costituito dalla causa dell'errore medesimo. Se esso dipende da imprudenza, negligenza o imperizia, non rileva ai fini dell'esclusione della responsabilità, ma se il trasgressore ha osservato la normale diligenza nella ricostruzione della realtà, l'errore in cui è incorso esclude la colpa richiesta dal precedente articolo 5. 

    Per contro ­si ribadisce ­l'errore evitabile con l'uso dell'ordinaria diligenza, quella cioè che si può ragionevolmente pretendere dal soggetto agente, non influisce sulla punibilità. 

    Nel caso specifico, dunque, laddove effettivamente l'istante/sostituto sia in grado di dimostrare che, osservando la normale diligenza, non sarebbe stato in grado di verificare che il  collaboratore/sostituito era privo dei requisiti peraltro dal medesimo attestati con una specifica dichiarazione ­ per applicare il regime in parola lo stesso può ritenersi non responsabile delle ''violazioni'' innanzi descritte (omessa  o  tardiva  esecuzione  e versamento delle ritenute, trasmissione delle Certificazioni Uniche e del Modello 770 con dati errati) e, conseguentemente, delle sanzioni ad essere relative.

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    Regime Forfettario: incompatibile con quello degli impatriati

    Con la Risposta a interpello n 460 del 20 settembre 2022 le Entrate chiariscono dettagli sulla fruizione del "regime speciale per lavoratori impatriati" e le compatibilità con il "regime forfetario" nel primo periodo d'imposta successivo al rientro in Italia.

    L'Istante cittadino italiano, rimpatriato nel mese di aprile 2022, dopo quattro anni di residenza nel Regno Unito, con iscrizione all'AIRE svolgerà "attività autonoma" con partita IVA. Egli possiede i requisiti soggettivi e oggettivi per accedere al regime speciale per lavoratori impatriati. 

    Tuttavia, stimando che nel primo anno i possibili compensi derivanti dall'attività autonoma in questione saranno inferiori ad euro 65.000, potrebbe temporaneamente optare per l'applicazione del regime forfettario. Egli chiede se potrà utilizzare alternativamente, in anni di imposta differenti, i due regimi agevolati in questione, sempre nel rispetto delle relative norme, e se non perderà i requisiti per le agevolazioni degli impatriati nei primi 5 periodi di imposta dal rimpatrio, qualora nel primo anno optasse per il regime forfettario. 

    Le entrate innanzitutto ricordano che l'articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 ha introdotto il "regime speciale per lavoratori impatriati", destinato al lavoratore che: 

    a) trasferisce la residenza nel territorio dello Stato

    b) non è stato residente in Italia nei due periodi d'imposta antecedenti al trasferimento e si impegna a risiedere in Italia per almeno 2 anni; 

    c) svolga l'attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano. 

    Al ricorrere di queste condizioni:

    • i redditi di lavoro dipendente, 
    • i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente 
    • e i redditi di lavoro autonomo 

    prodotti in Italia concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30 per cento del loro ammontare. 

    Viene inoltre specificato che l'agevolazione in esame è fruibile dai contribuenti per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui trasferiscono la residenza fiscale in Italia, e per i quattro periodi di imposta successivi.

    Con la circolare n. 33/E del 28 dicembre 2020, le Entrate hanno fornito chiarimenti sul regime degli impatriati.

    In relazione alla fattispecie in esame, l'agenzia evidenzia che, in linea con la finalità della norma il "regime speciale per lavoratori impatriati" risulta applicabile ai soli redditi di lavoro dipendente, assimilati a quelli di lavoro dipendente e di lavoro autonomo che, prodotti nel territorio dello Stato, concorrono alla formazione del reddito complessivo del contribuente secondo le ordinarie disposizioni del TUIR. 

    L'adesione al "regime forfetario" di cui all'articolo 1, commi da 54 a 89, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 che rappresenta il regime "naturale" delle persone fisiche che esercitano un'attività di impresa, arte o professione in forma individuale, comporta, invece, la determinazione del reddito imponibile secondo criteri "forfetari", applicando all'ammontare dei ricavi o dei compensi percepiti il coefficiente di redditività in misura diversificata a seconda del codice ATECO che contraddistingue l'attività esercitata, sul quale viene poi operata un'imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi, delle addizionali regionali e comunali e dell'imposta regionale sulle attività produttive pari al 15 per cento. 

    Ciò implica, pertanto, che, per espressa previsione normativa tale reddito non concorre alla formazione del reddito complessivo. 

    Con la citata circolare n. 33/E del 2020 è stato chiarito (cfr. paragrafo 7.11) inoltre che "il contribuente che rientra in Italia per svolgere un'attività di lavoro autonomo beneficiando del regime forfetario non potrà avvalersi del regime previsto per i lavoratori impatriati, in quanto i redditi prodotti in regime forfetario non partecipano alla formazione del reddito complessivo. Resta ferma la possibilità per il contribuente di rientrare in Italia per svolgere un'attività di lavoro autonomo, beneficiando, in presenza dei requisiti, del regime fiscale previsto per gli impatriati, laddove venga valutata una maggiore convenienza nell'applicazione di detto regime rispetto a quello naturale forfetario". 

    Si evidenzia quindi che l'opzione per il regime forfetario, pur sussistendo i requisiti per l'applicazione del regime degli impatriati al momento del rientro in Italia, comporta l'impossibilità di esprimere a posteriori l'opzione per il diverso regime degli impatriati. 

    Nel caso di specie, ne consegue che l'Istante, avendo trasferito la residenza fiscale in Italia nel mese di aprile 2022, dovesse optare in relazione all'annualità in corso per il "regime forfetario", negli anni successivi e sino al compimento del quinquennio potenzialmente agevolabile, ossia dal 2023 al 202, non potrà fruire del diverso regime di cui all'articolo 16 del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147.

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    Registri in formato elettronico: le Entrate riepilogano le regole

    Con Risoluzione n 16 del 28 marzo 2022 le Entrate rispondono a richieste di chiarimenti sulle modifiche recate nel corso del tempo alle disposizioni in tema di tenuta della contabilità in forma meccanizzata.

    Nel documento di prassi si ricorda innanzitutto che l'art 7 comma 4 quater del DL 357/94 (come modificato dall'art 12-octies del DL n 34/2019) prevede che "la tenuta di qualsiasi registro contabile con sistemi elettronici su qualsiasi supporto è, in ogni caso, considerata regolare in difetto di trascrizione su supporti cartacei nei termini di legge, se in sede di accesso, ispezione o verifica gli stessi risultano aggiornati sui predetti sistemi elettronici e vengono stampati a seguito della richiesta avanzata dagli organi procedenti ed in loro presenza"

    Successivamente viene specificato che:

    • tale articolo non ha modificato le norme sulla conservazione  
    • tenuta e conservazione dei documenti restano concetti ed adempimenti distinti, seppure posti in continuità.

    Dopo la premessa di riepilogo dei passaggi normativi, le Entrate specificano che volendo sintetizzare il quadro di riferimento qualora i documenti fiscalmente rilevanti consistano in registri tenuti in formato elettronico:

    a) ai fini della loro regolarità, non hanno obbligo di essere stampati sino al terzo (o sesto per il solo 2019) mese successivo al termine di presentazione della relativa dichiarazione dei redditi, salva apposita richiesta in tal senso da parte degli organi di controllo in sede di accesso, ispezione o verifica; 

    b) entro tale momento (terzo/sesto mese successivo al termine di presentazione della dichiarazione dei redditi) vanno posti in conservazione nel rispetto del citato DM 17 giugno 2014, e, quindi, anche del codice dell’amministrazione digitale (decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82) e dei relativi provvedimenti attuativi ai quali lo stesso DM rinvia, laddove il contribuente voglia mantenerli in formato elettronico, ovvero materializzati (stampati) in caso contrario.

    Per un quadro completo sul tema di cui si tratta ti consigliamo di leggere i seguenti articoli relativi a risposte ad interpello fornite dall Entrate prima della Risoluzione n 16 di ieri 28 marzo 2022:

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