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Indebita detrazione IVA: cosa cambia col decreto Sanzioni
L’applicazione dell’IVA in misura superiore a quella effettiva o l’applicazione dell’IVA per operazioni esenti, non imponibili o non soggette, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, comporta l’applicazione di una sanzione fissa da euro 250 a euro 10.000, verso il cessionario e limita il diritto alla detrazione alla sola imposta dovuta.
Questa è una delle principali novità del Decreto Sanzioni (Pubblicato in GU n 50 del 28 giugno 2024)
Indebita detrazione IVA: cosa cambia col decreto Sanzioni
Il Decreto sanzioni ha riscritto l'art 6 comma 6 del Dlgs n 471/97, in particolare l'art 2 del Dlgs Sanzioni n 87/2024 ha finalmente definito il perimetro applicativo della previsione contenuta nel suddetto comma 6 prevedendo che chi computa illegittimamente in detrazione l'imposta assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa, è punito con la sanzione amministrativa pari al settanta per cento dell'ammontare della detrazione compiuta. Nel caso di applicazione dell'imposta con aliquota superiore a quella prevista per l'operazione, o di applicazione dell'imposta per operazioni esenti, non imponibili o non soggette, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, il cessionario o committente è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. Nelle ipotesi di cui al secondo periodo, e salvi i casi di frode e di abuso del diritto, resta fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli arti 19 e seguenti del DPR 633/2024 della sola imposta effettivamente dovuta in ragione della natura e delle caratteristiche dell'operazione posta in essere.
Le sanzioni di cui al primo, secondo e terzo periodo non si applicano se la violazione ha determinato una dichiarazione infedele punita con la sanzione di cui all'articolo 5, comma 4.
Dall'intervento sul comma 6 emergono chiarimenti del perimetro della norma in vigore quindi, dal giorno successivo alla pubblicazione del Decreto n 87 in Gazzetta, e cioè dal 29 giugno.
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Nuovo Redditometro: cosa prevede
La Commissione Finanze della Camera in data 10 luglio, riunitasi per valutazioni e pareri sui correttivi alla Riforma fiscale, e in particolare su:
- modifiche alla disciplina dell'adempimento collaborativo,
- modifiche alla disciplina degli adempimenti tributari,
- modifiche alla disciplina del concordato preventivo biennale;
ha approvato e pubblicato il parere relativo all'atto n 170 con anche indirizzi al Governo sul Reddittometro.
Sul Redditometro infatti, ricordiamo che nel mese di maggio, con decreto mef si era provveduto alla riattivazione dello strumento di controllo, per poi immeditamente sospenderlo per numerosi dubbi dello stesso Esecutivo.
L'istituto era in attesa del parere e la commissione, specifica: Più in generale, rispetto alla riforma varata con la delega e all'obiettivo – condiviso da tutte le forze che sostengono l'Esecutivo – di ridefinire il rapporto tra fisco e contribuenti, nella solida prospettiva di avviare concretamente e con successo gli istituti dell'adempimento collaborativo e del concordato preventivo, la Commissione sollecita un intervento del Governo in materia di strumenti induttivi di ricostruzione del reddito affidati all'Agenzia dell'Entrate, da indirizzare esclusivamente verso le situazioni che presentano alti livelli di scostamento di congruità tra spese e redditi dichiarati, anche prevedendo soglie percentuali che riducano o eliminino la discrezionalità dell'Agenzia delle Entrate.
Sotto tale specifico profilo, la Commissione sollecita quindi il Governo a incrementare le tutele dei contribuenti, evitando di ripristinare strumenti e istituti a carattere induttivo di massa (come ad esempio il cosiddetto redditometro), ma definendo l'ambito esclusivamente sui singoli casi di contribuenti che presentano ex ante profili di rischio fiscale.
Nuovo Redditometro: il decreto in gu
Con il DM MEF del 7 maggio pubblicato in GU n 116 del 20 maggio, si torna a parlare di Redditometro.
In particolare, le disposizioni si rendono applicabili alla determinazione sintetica dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d'imposta a decorrere dal 2016 (di fatto dovrebbe riguardare solo quelli dal 2018).
Viene in sintesi riattivato lo strumento accertativo, dopo la sospensione disposta con l’articolo 10 del Dl 87/2018.
Con quest’ultima norma è stato abrogato il Dm 16 settembre 2015, con effetto dagli accertamenti riferiti al periodo d’imposta 2016, stabilendo anche che il nuovo decreto avrebbe dovuto essere fondato su di una metodologia elaborata con l’ausilio dell’Istat e delle associazioni dei consumatori. Da ciò discende l'emanazione del DM del 7 maggio 2024.
Di seguito un riepilogo dei contenuti del decreto e anche esempi di spese soggette ai controlli del Fisco.
ATTENZIONE: il presidente Giorgia Meloni, dopo il subbuglio generato dall'uscita del DM 7 maggio, ha dichiarato sui social di volere sospendere temporaneamente il decreto per apportare modifiche e dopo aver dichiarato che il suo Governo non introdurrà mai un grande fratello fiscale ha specificato: "Oggi ho incontrato il viceministro Leo, ci siamo confrontati sui contenuti e siamo giunti alla conclusione che sia meglio sospendere il provvedimento in attesa di ulteriori approfondimenti".
Riepiloghiamo di seguito le regole del DM sul redditometro in attesa di novità dal MEF.
dditometro: controlli su maggiori redditi anni d’imposta dal 2016
Con il presente decreto è individuato il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva sulla base del quale, ai sensi del quinto comma dell'art. 38, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, può essere fondata la determinazione sintetica del reddito complessivo delle persone fisiche.
Per elemento indicativo di capacità contributiva si intende:- la spesa sostenuta dal contribuente,
- la propensione al risparmio determinata utilizzando anche l'archivio dei rapporti di cui all'art. 7, comma sesto, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605.
L'elenco degli elementi è indicato nella tabella A che fa parte integrante del presente decreto.
La tabella A individua le informazioni utilizzabili per determinare gli elementi indicativi di capacità contributiva presenti negli archivi in possesso dell'amministrazione finanziaria.
La medesima tabella indica, inoltre, alcune categorie di beni e servizi detenuti, a qualsiasi titolo, dal contribuente, per i quali non si dispone dell'ammontare della spesa di mantenimento effettivamente sostenuta, che viene, pertanto, determinata applicando una spesa minima presunta rappresentativa del valore d'uso del bene o del servizio considerato.
Le spese, distinte per gruppi e categorie di consumi del nucleo familiare di appartenenza del contribuente, sono desunte dall'indagine annuale sulle spese delle famiglie compresa nel Programma statistico nazionale, ai sensi dell'art. 13 del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, effettuata su campioni significativi di contribuenti appartenenti a undici tipologie di nuclei familiari, distribuite nelle cinque aree territoriali in cui è suddiviso il territorio nazionale.
Le tipologie di nuclei familiari considerate sono indicate nella tabella B, che fa parte integrante del presente decreto.
Le spese possono essere desunte anche da studi e analisi socio-economiche di settore.
Il contenuto induttivo degli elementi di capacità contributiva indicati nella tabella A è anche determinato considerando la quota del risparmio formatasi nell'anno e non utilizzata per consumi, investimenti e altre spese.
Fatto salvo quanto previsto dall'art. 4 del presente decreto, ai fini della determinazione sintetica del reddito complessivo delle persone fisiche, in assenza di dati in anagrafe tributaria relativi alle spese indicate nella tabella A, per i beni e servizi che vengono considerati essenziali per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile per una famiglia con determinate caratteristiche e se tali informazioni non sono acquisite in sede di contraddittorio con il contribuente, si considera l'ammontare individuato dall'ISTAT quale spesa minima necessaria per posizionarsi al limite della soglia di povertà assoluta.Tale soglia varia, per costruzione, in base alla dimensione della famiglia, alla sua composizione per età alla ripartizione geografica e alla dimensione del comune di residenza rilevata dai risultati dell'indagine sulle spese delle famiglie dell'Istituto nazionale di statistica.
Ai fini della determinazione sintetica del reddito complessivo delle persone fisiche, resta ferma la facoltà dell'Agenzia delle entrate di utilizzare, altresì, elementi di capacità contributiva diversi da quelli riportati nella tabella A, qualora siano disponibili dati relativi ad altre voci di spesa sostenute dal contribuente.
In ogni caso l'ammontare delle spese risultante dalle informazioni presenti in anagrafe tributaria o acquisite in sede di contraddittorio con il contribuente si considera sempre prevalente rispetto a quello calcolato induttivamente sulla base degli elementi di capacità contributiva indicati nella tabella A o sulla base delle spese desunte da studi e analisi socio-economiche di settore.Nuovo redditometro: come si imputano le spese
In merito alla imputazione delle spese al contribuente si prevede che fatto salvo quanto previsto dall'art. 4 del decreto, le spese si considerano sostenute dalla persona fisica cui risultano riferibili sulla base dei dati disponibili o delle informazioni presenti in Anagrafe tributaria.
Si considerano, inoltre, sostenute dal contribuente, le spese effettuate dal coniuge e dai familiari fiscalmente a carico.
Non si considerano sostenute dalla persona fisica le spese per i beni e servizi se gli stessi sono relativi esclusivamente ed effettivamente all'attività di impresa o all'esercizio di arti e professioni, sempre che tale circostanza risulti da idonea documentazione.Nuovo Redditometro: esempi si spese soggette a controlli
C'è di tutto tra le voci che l’amministrazione potrà utilizzare per verificare il reddito (presunto) dei contribuenti secondo il nuovo redditometro.
Va evidenziato comunque che il contribuente potrà "difendersi"
L’analisi, secondo le norme del decreto, partirà dai redditi 2016 (ma dovrebbe riguardare solo quelli dal 2018 in poi) e terrà conto degli elementi già presenti nell’anagrafe tributaria o di un livello minimo di spesa.
Il meccanismo, sinteticamente sarà i seguente:
- il Fisco dai dati in suo possesso presume un reddito e chiede eventuali spiegazioni;
- il contribuente ha facoltà di difendersi e di dimostrare che il finanziamento delle spese è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nel periodo d’imposta;
- si potrà sostenere, dimostrandolo, che le spese attribuite hanno un diverso ammontare e che la quota del risparmio utilizzata per consumi ed investimenti si è formata nel corso di anni precedenti.
Dall'allegato A al decreto si tratterà di controlli sulle seguenti spese (l'elenco è a titolo di esempio, e non è esaustivo, si rimanda quindi alla tabella dell'allegato A per tutte le voci):
- spese per alimenti e abbigliamento;
- mutuo e affitto, eventuale canone per il leasing immobiliare e le relative spese per pagare acqua e condominio e anche le spese per la manutenzione o per eventuali agenti immobiliari;
- investimenti quali ad esempio azioni ai francobolli, oro;
- energia, spese per la casa e salute: l'amministrazione potrà prendere in esame anche se si è in possesso o meno di un riscaldamento centralizzato; verificate anche le spese per mobili, elettrodomestici e servizi per la casa; collaboratori domestici e altri beni e servizi per la casa;
- trasporti: si prenderanno in considerazione le spese per assicurazione per la responsabilità civile, incendio e furto per auto, moto, caravan, camper, minicar e anche il pagamento del bollo;
- comunicazioni e scuola: anche un nuovo cellulare e le relative bollette potranno essere all’esame insieme alle spese per l’istruzione;
- tempo libero e cavalli: si verificheranno le spese per: giochi e giocattoli, radio, televisione, hi-fi, computer, libri non scolastici, giornali e riviste, dischi, cancelleria, abbonamenti radio, televisione ed internet, lotto e lotterie, piante e fiori, riparazioni radio, televisore, computer.
Si resta in attesa dopo la sospensione annunciata da Meloni di sapere quali saranno le modifiche al DM 7 maggio e quindi ai controlli sui redditi dei cittadini.
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Rimborso IVA soggetti non residenti: l’ADE chiarisce i termini
Le Entrate con Risposta a interpello n 147 del giorno 11 luglio replicano ad una società di diritto tedesco, che è «in possesso di un'identificazione diretta in Italia, se pur non attraverso un numero di partita IVA, bensì un codice fiscale, n. (…), attribuito in data 25 luglio 2018.»
Con riferimento all'attività svolta in Italia, l'istante dichiara di aver «ricevuto, negli anni 2017, 2018 e 2019, fatture da fornitori nazionali con applicazione dell'IVA ordinaria nazionale al 22%, in quanto riferite a merci che la stessa [ALFA] avrebbe poi venduto nuovamente a soggetti nazionali, completando così una triangolazione che non comportava fuoriuscita di merci dal territorio nazionale italiano».
Precisa di non aver ancora presentato alcuna dichiarazione o posto in essere altro adempimento fiscale.
Ciò premesso, chiede di conoscere la corretta procedura da adottare al fine di ottenere il rimborso dell'eccedenza IVA generata per effetto delle operazioni passive svolte in Italia nei suddetti periodi d'imposta.
Le Entrate rigettano l'ipotesi di aprire una PIVA con effetto retroattivo e ricordano quando si può chiedere il rimborso IVA tramite il portale elettronico per gli operatori comunitari, specificando che la società non può avvelersene per decorso del termine perentorio.
Rimobrso IVA tramite portale elettronico per operatori comunitari: regole
Le Entrate nel replicare alla società istante ricordano che l'articolo 38bis2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 detta le regole in tema di rimborsi chiesti con il c.d. 'portale elettronico' dagli operatori comunitari che hanno corrisposto l'IVA in Italia, secondo le regole previste dalla direttiva 2008/9/CE.
Il provvedimento del direttore dell'Agenzia delle Entrate n. 53471 del 1° aprile 2010, attuativo della normativa in parola, ha stabilito le modalità e i termini procedurali per il rimborso e per la realizzazione dei relativi scambi informativi, attribuendo al Centro operativo di Pescara la competenza a gestire i rimborsi in oggetto.
Dal 2010, infatti, i soggetti passivi stabiliti in altri Stati membri, che hanno intenzione di chiedere il rimborso dell'imposta assolta in Italia, relativamente agli acquisti ivi eseguiti direttamente senza ricorrere all'identificazione diretta o al rappresentante fiscale devono presentare un'apposita istanza in via telematica al proprio Stato membro di stabilimento, che provvede ad inoltrarla al Centro operativo di Pescara.
La domanda di rimborso può riferirsi ad un trimestre solare o all'anno solare, e può essere presentata:
- se trimestrale, a partire dal primo giorno del mese successivo al trimestre di riferimento ed entro il 30 settembre dell'anno solare successivo al periodo di riferimento;
- se annuale, a partire dal primo gennaio dell'anno successivo a quello oggetto della richiesta di rimborso ed entro il 30 settembre del medesimo anno.
Il termine del 30 settembre dell'anno successivo, previsto dalla Direttiva 2008/9/ CE, è un termine perentorio, la cui inosservanza provoca la decadenza del rimborso.
Tra le condizioni che escludono la possibilità di attivare la procedura di rimborso mediante ''portale elettronico'', il comma 1 dell'articolo 38bis2 annovera:
- 1) la presenza in Italia di una stabile organizzazione del soggetto non residente;
- 2) l'acquisto di beni e servizi con imposta indetraibile secondo la legge italiana;
- 3) l'effettuazione in Italia di operazioni attive, ad eccezione:
- delle prestazioni di trasporto e delle relative operazioni accessorie, non imponibili ai sensi dell'articolo 9 del decreto IVA;
- delle operazioni per le quali l'imposta è assolta dal cessionario o committente con il meccanismo del reversecharge;
- delle operazioni effettuate ai sensi dell'articolo 74septies del decreto IVA.
Con riferimento alla condizione sub 1), si rammenta che con diversi documenti di prassi è stato chiarito che l'identificazione diretta (che, come previsto dall'articolo 35ter del decreto IVA, prevede l'attribuzione di una partita IVA italiana), al pari della nomina di un rappresentante fiscale (facoltà riconosciuta dall'articolo 17, comma 3, del decreto IVA), non preclude al soggetto non residente la facoltà di chiedere il rimborso IVA mediante la procedura del 'portale elettronico ', purché le fatture di acquisto la cui IVA è richiesta a rimborso:
- siano intestate alla partita IVA del soggetto non residente (non è, quindi, consentito utilizzare il portale per ottenere il rimborso dell'eccedenza dell'IVA a credito relativa alle fatture passive intestate alla partita IVA italiana);
- non confluiscano nelle liquidazioni periodiche e nella dichiarazione annuale presentata utilizzando la partita IVA italiana.
Ciò in quanto l'utilizzo della partita IVA italiana denota, invece, la scelta di ottenere il rimborso dell'eccedenza del credito IVA, al verificarsi delle condizioni prescritte dall'articolo 30 del decreto IVA, ai sensi dell'articolo 38bis del medesimo decreto e, dunque:
- se annuale, mediante la compilazione del quadro VX della dichiarazione IVA, da presentare entro i termini di cui all'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322;
- se trimestrale, mediante la presentazione dell'istanza telematica (modello TR), da inviare entro l'ultimo giorno del mese successivo al trimestre di riferimento, secondo quanto previsto dall'articolo 8, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 14 ottobre 1999, n. 542.
Residua, infine, la procedura del cd. ''rimborso anomalo'', oggi disciplinato dall'articolo 30ter del decreto IVA, secondo cui «la domanda di restituzione dell'imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto».
Detto articolo prevede una disciplina applicabile nelle ipotesi di indebito versamento IVA speciale rispetto a quella prevista dall'articolo 30 e 38bis, 38bis2 per i rimborsi c.d. 'ordinari ' dell'eccedenza a credito IVA che si genera nell'ambito del processo di liquidazione periodica o annuale, quando l'imposta sugli acquisti eccede quella sulle vendite o, come accade per i non residenti, quando sono effettuati acquisti rilevanti ai fini IVA in Italia intestati direttamente alla partita IVA estera.
La facoltà di avvalersi di tale rimedio è stata, altresì, riconosciuta dalla prassi, con le circolari n. 34/E del 6 agosto 2012 e n. 21/E del 25 giugno 2013, nell'ipotesi di crediti IVA emergenti da dichiarazioni omesse, utilizzati in detrazione nelle dichiarazioni successive, solo se:
- i) a seguito di liquidazione operata ai sensi dell'articolo 54bis del decreto IVA, il contribuente attesti con idonea documentazione l'esistenza del credito, ovvero
- ii) all'esito del riconoscimento dello stesso in sede di contenzioso relativo alla cartella di pagamento conseguente alla predetta liquidazione (sia in fase di mediazione/ conciliazione che a seguito di pronuncia giudiziale).
Rimborso IVA soggetti non residenti: l’ADE chirisce i criteri
Dalla ricostruzione dei fatti sembrerebbe che l'istante abbia operato sul territorio italiano per un periodo di tempo:
- avvalendosi della propria partita IVA estera, essendo in possesso solo di un codice fiscale in Italia e, quindi, in assenza di identificazione diretta o di un rappresentante fiscale;
- effettuando operazioni attive nei confronti di soggetti passivi (con versamento dell'imposta mediante applicazione con il meccanismo del reversecharge), non avendo posto in essere alcun adempimento fiscale nel territorio anche dichiarativo.
Nel presupposto, quindi, che sussistessero tutte le condizioni prescritte dalla normativa di riferimento l'istante avrebbe potuto esclusivamente azionare la procedura di rimborso mediante ''portale elettronico'' disciplinata dall'articolo 38bis2 del decreto IVA.
Essendo ormai decorsi i termini prescritti (ovvero il 30 settembre dell'anno solare successivo al periodo di riferimento per i rimborsi trimestrali ed il 30 settembre del medesimo anno per i rimborsi annuali), l'istante risulta decaduto dalla possibilità di recuperare l'eccedenza IVA generata per effetto delle operazioni passive svolte in Italia.
Resta esclusa, in tale circostanza, la facoltà di avvalersi previa attribuzione 'retroattiva ' della partita IVA, a valere dal 2017 (ossia a distanza di 7 anni) e presentazione delle dichiarazioni annuali ultratardive per gli anni dal 2017 al 2022 del rimedio del ''rimborso anomalo'' al fine di ottenere la restituzione dell'imposta oltre i termini ordinari'', con le modalità illustrate dalle citate circolari nn. 34/E del 2012 e 21/ E del 2013.
D'altronde, l'attribuzione, con effetto retroattivo, della partita IVA italiana è possibile solo se effettuata entro un 'termine ragionevole' dalla data di effettuazione della prima operazione di acquisto.
Allegati: -
Imposta minima nazionale: il MEF pubblica le regole
Pubblicato sul sito delle Finanze il Decreto 1 luglio 2024 del Vice Ministro dell’economia e delle finanze con le modalità di attuazione dell’imposta minima nazionale o Qualified Domestic Minimum Top-up Tax (QDMTT) prevista nell’articolo 18 del decreto legislativo n. 209/2023.
L’imposta, che si applica in via prioritaria rispetto all’imposta minima integrativa (IIR) e all’imposta minima suppletiva (UTPR), è rivolta alle imprese italiane appartenenti a grandi gruppi (multinazionali ed interni), soggetti alle regole della global minimum tax, che scontano in Italia un’imposizione sui redditi effettiva inferiore all’aliquota del 15 per cento.
Sulla Global Minimum Tax leggi: Global minimum tax: il decreto MEF con le regole.
L'impsota minima nazionalei si applica alle imprese e alle entità a controllo congiunto localizzate in Italia, ed alle entità apolidi costituite in base alle leggi dello Stato italiano, che fanno parte dei gruppi cui sono destinate le Regole GloBE.
In sostanza, i soggetti indicati devono appartenere a gruppi multinazionali o nazionali con ricavi consolidati annui pari o superiori a 750 milioni di euro, ivi compresi i ricavi delle entità escluse di cui al comma 2, risultanti nel bilancio consolidato della controllante capogruppo in almeno due dei quattro esercizi immediatamente precedenti a quello considerato.
Per la verifica del suddetto requisito dimensionale si rinvia alle disposizioni dell’articolo 10 del Decreto Legislativo 209/2023.
Imposta minima nazionale imprese: il MEF pubblica le regole
Il decreto, emanato ai sensi dell’articolo 18, comma 9, del decreto legislativo 27 dicembre 2023, n. 209 reca le disposizioni attuative riguardanti l’imposta minima nazionale o Qualified Domestic Minimum Top-up Tax (QDMTT) secondo la terminologia utilizzata nelle Model Rules (o Regole GloBE).
Si ricorda che tale imposta è stata prevista nell’articolo 11 della Direttiva Ue 2022/2523 del Consiglio, in coerenza con l’approccio comune richiesto dalle Regole GloBE, al fine di consentire a ciascuno Stato membro di prelevare le imposte integrative relative alle entità a bassa imposizione localizzate sul suo territorio.
Si tratta di un’imposta facoltativa che trova applicazione, nei rispettivi ordinamenti che decidono di implementarla, in via prioritaria rispetto all’imposta minima integrativa (IIR) e all’imposta minima suppletiva (UTPR).
Con l’articolo 3, comma 1, lettera e) della legge delega 9 agosto 2023, n. 111, il legislatore italiano ha scelto di esercitare tale facoltà e di applicare un’imposta minima nazionale alle entità italiane appartenenti a grandi gruppi (multinazionali ed interni) che scontano nel nostro Paese un’imposizione sui redditi effettiva inferiore all’aliquota del 15 per cento.Questa imposta, introdotta con l’articolo 18 del decreto legislativo delegato, è stata disegnata per essere qualificata, ossia per essere detratta dall’imposizione integrativa complessivamente dovuta nel Paese, e costituire un “Porto Sicuro” consentendo, ai gruppi che intendono avvalersi della semplificazione prevista dall’OCSE, di assumere l’importo pagato a titolo di imposta minima nazionale pari all’imposizione integrativa complessivamente dovuta in Italia.
Per essere considerata “qualificata” e costituire un “Porto Sicuro”, l’imposta minima nazionale deve soddisfare precise condizioni stabilite nelle Regole GloBE.Le disposizioni del decreto declinano nel dettaglio alcuni aspetti a fini di completezza, coerenza e certezza nell’applicazione dell’imposta minima nazionale.
Il Decreto definisce:
- l’ambito soggettivo di applicazione,
- il presupposto applicativo
- le regole di determinazione dell’imposta,
- i criteri di conversione degli importi denominati in una valuta diversa dall’euro, rinvia alle determinazioni del Quadro Inclusivo sul BEPS per il riconoscimento e la perdita dello status di imposta “qualificata” e per il riconoscimento e la perdita dei requisiti del “Porto Sicuro”.
Esso chiarisce anche le regole per l’individuazione dei soggetti tenuti al versamento dell’imposta, le modalità di allocazione dell’onere tra i soggetti appartenenti al gruppo e la loro responsabilità congiunta e solidale.
Si precisa, infine, che le disposizioni attuative collegate alla presentazione della dichiarazione fiscale dell’imposta minima nazionale e al relativo versamento nonché le disposizioni riguardanti i conseguenti controlli saranno contenute in un decreto ministeriale.
Imposta minima nazionale imprese: come si determina
La relazione illustrativa al decreto evidenzia che l’articolo 4, dedicato alla determinazione dell’imposta minima nazionale, specifica che ai sensi del comma 1, il computo della base imponibile avviene, in ogni esercizio, in maniera
conforme alle Regole GloBE (trasfuse nel Titolo II e nelle definizioni dell’allegato A del Decreto Legislativo).Tuttavia, a differenza delle Regole GloBE, l’imposta minima nazionale si applica indipendentemente dalla quota di partecipazione detenuta nei soggetti passivi da parte di qualsiasi controllante (UPE, IPE o POPE) del gruppo
Allegati:
multinazionale o nazionale, salvo quanto previsto nell’articolo 48 del Decreto Legislativo che è disegnato per assicurare la neutralità fiscale agli investitori di minoranza delle entità di investimento o delle entità assicurative d’investimento.
Inoltre, ai fini dell’imposta minima nazionale, non valgono i criteri di allocazione dell’imposizione integrativa di cui all’articolo 34, comma 7, del Decreto Legislativo, che sono disciplinati nell’articolo 10 del presente decreto.