• La casa

    Prima casa e vendita entro 5 anni: quando scatta la decadenza

    Con la Sentenza n 24479/2025 la Cassazione esprime un principio rilevante per l'agevolazione prima casa.

    Nel caso di specie, di seguito dettagliato, viene deciso che per evitare la decadenza dai benefici prima casa non vale l’acquisto effettuato prima della vendita infra‑quinquennale dell’immobile acquistato con le agevolazioni, ciò che la legge richiede è che l’acquisto del nuovo immobile segua l’alienazione infra‑quinquennale, nell’arco di un anno, e che il nuovo immobile sia destinato ad abitazione principale.

    Vediamo il caso di specie.

    Prima casa e vendita entro 5 anni: quando scatta la decadenza

    L"agevolazione prima casa” è una norma che consente, al momento del primo acquisto di un immobile da destinare ad abitazione principale, di usufruire di benefici fiscali relativi a imposta di registro, imposta ipotecaria e catastale, ecc., a determinate condizioni.

    I principali requisiti sono che:

    • l’acquirente non possieda altri immobili nello stesso Comune;
    • l’immobile sia destinato ad abitazione principale entro il termine stabilito dalla legge;
    • non si acquistino altri immobili con le agevolazioni prima casa già godute, salvo che nel frattempo sia venduto l’immobile agevolato e si proceda ad un nuovo acquisto entro un anno.

    Se l’immobile agevolato viene alienato entro 5 anni dall’acquisto, l’agevolazione decade, a meno che il contribuente acquisti un nuovo immobile da adibire a propria abitazione principale entro un anno dalla vendita.

    Se si vende l’immobile acquistato con agevolazioni prima casa prima che siano trascorsi cinque anni, scatta la decadenza del beneficio.

    La sola vendita non è però l’unica circostanza: la normativa prevede un meccanismo di “salvaguardia” se entro un anno dall’alienazione si riacquista un altro immobile da destinare ad abitazione principale. Se ciò accade, il beneficio può essere mantenuto.

    Nel 2009, due coniugi acquistavano in comunione pro‑indiviso un immobile agevolato come “prima casa”.

    Nel 2012 la moglie rilevava la quota del 50% posseduta dal marito, chiedendo di conservare il beneficio per quella quota. 

    Nel 2016, la contribuente cedeva l’intero immobile (comprese le quote), prima che fossero passati i 5 anni dall’acquisto originario. 

    L’Agenzia delle Entrate notificava avviso di liquidazione per revoca parziale dell’agevolazione, in particolare per la quota del 50% acquisita nel 2012 e poi ceduta nel 2016. 

    La Suprema Corte afferma che non è rilevante e quindi non sana la decadenza l’acquisto di un altro immobile prima della vendita infra‑quinquennale dell’immobile agevolato. 

    In altre parole, non basta aver già acquistato un nuovo immobile: è essenziale che il nuovo acquisto avvenga dopo l’alienazione del bene agevolato, e che avvenga entro l’anno successivo.

    Nel caso in esame, il fatto che la contribuente avesse acquistato una quota nel 2012 prima della cessione avvenuta nel 2016 non ha evitato la decadenza del beneficio per quella quota, la Cassazione ha respinto il ricorso. 


    Pe rla Cassazione ciò che conta è il momento degli acquisti rispetto alla vendita agevolata e in sintesi, per evitare decadenza, il contribuente deve:

    • vendere l’immobile agevolato entro i 5 anni;
    • poi (dopo la vendita) acquistare un nuovo immobile destinato ad abitazione principale;
    • fare questo nuovo acquisto entro un anno dall’alienazione.
    • Se viene fatto un acquisto prima della vendita agevolata, non serve: non “sana” la decadenza.
    • Importante: le quote di comproprietà vendute prima dei 5 anni possono implicare decadenza parziale per quella quota. 
    • Professionisti devono informare i clienti di queste tempistiche e consigliare una pianificazione attenta: non bastano intenzioni, serve rigore nei tempi.

  • Agricoltura

    Legge sulla Montagna: le agevolazioni per l’agricoltura

    La Legge n 131/2025 che ha tra gli altri come obiettivo quello di ripopolare le montagne italiane, tra le agevolazioni ne prevede una per l'agricoltura.

    In particolare, con l'articolo 19 si istituisce un credito d'imposta per investimenti e attività diversificate degli agricoltori e dei silvicoltori di montagna.

    Vediamo i beneficiari e come funziona la misura agevolativa.

    Credito d’imposta per investimenti e attività diversificate degli agricoltori e dei silvicoltori di montagna

    Agli imprenditori agricoli e forestali singoli e associati, comprese le cooperative agricole e forestali, ai consorzi forestali, anche partecipati dai comuni, e alle associazioni fondiarie viene riconosciuto un credito d’imposta pari al 10% del valore degli investimenti effettuati dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2027, nel limite complessivo di spesa di 4 milioni di euro per ciascun anno.

    Pertanto, non si applicano i limiti annuali di 250mila euro, per ciascun avente diritto, stabilito, per i crediti d'imposta da indicare nel quadro RU della dichiarazione dei redditi, dall'art 1 comma 53 della legge finanziaria 2008 (legge n. 244/2007), e di 2 milioni di euro, complessivi, fissato dall'art 34 della legge finanziaria 2001 (legge n. 388/2000).

    Attenzione al fatto che per poter beneficiare dell’incentivo, gli imprenditori interessati devono:

    • avere la sede ed esercitare prevalentemente la propria attività nei comuni montani individuati dalla legge in esame
    • effettuare determinati investimenti volti all’ottenimento dei servizi ecosistemici e ambientali benefici per l’ambiente e il clima, anche attraverso interventi di manutenzione del territorio.

    Le tipologie di servizi agevolabili saranno messe a punto con un successivo decreto ministeriale.

    Si prevede che il credito d’imposta è cumulabile con altre agevolazioni per le stesse spese, comunque nel limite dei costi sostenuti, ed è utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 241/1997, dal periodo d’imposta successivo a quello in cui i costi sono stati sostenuti).

    L’incentivo, alle stesse condizioni e limiti, è più sostanzioso e diventa pari al 20% degli investimenti effettuati dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2027, nei territori dei comuni montani individuati dalla legge, con popolazione non superiore a 5mila abitanti, nei quali sia presente una delle minoranze linguistiche storiche di cui alla legge n 482/1999 quali ad esempio:

    • albanesi, 
    • catalane, 
    • germaniche, 
    • greche, 
    • slovene e croate, ecc

    i cui appartenenti rappresentino almeno il 15% dei residenti.

    I criteri e le modalità di concessione di entrambe le tipologie di credito d’imposta, anche ai fini del rispetto del limite complessivo di spesa stabilito, nonché le disposizioni relative ai controlli e al recupero del beneficio indebitamente fruito, saranno definiti con un apposito decreto ministeriale entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge. 

  • Corsi Accreditati per Commercialisti

    Formazione continua revisori: come candidarsi nel Comitato Didattico

    Il MEF con un avviso pubblicato sul proprio sito istituzionale, informa della possibilità di partecipare al Comitato didattico in materia di formazione continua per i revisori legali dei conti, previsto dall’articolo 5 del Decreto Legislativo n 39/2010 .

    In vista del rinnovo del Comitato, composto da un massimo di quindici esperti, che svolge un ruolo centrale nell’elaborazione del programma annuale di aggiornamento professionale dei revisori legali, si pubblicano le regole per partecipare alla call.

    Formazione continua revisori: come candidarsi nel Comitato Didattico

    Ricordiamo che il Comitato didattico è un organismo tecnico-consultivo istituito dal Ragioniere Generale dello Stato, che si rinnova ogni tre anni con apposita determina.

    Funzioni  principali dello stesso sono inerenti le seguenti attività:

    • analisi e studio delle disposizioni normative sulla formazione dei revisori legali;
    • proposte operative per l’attuazione dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 39/2010;
    • elaborazione del programma annuale di formazione continua

    per garantire il costante aggiornamento delle conoscenze teoriche e delle competenze professionali dei revisori iscritti al Registro della revisione legale.

    Il Comitato si riunisce almeno una volta l’anno con partecipazione a titolo gratuito.

    Come candidarsi

    Possono presentare domanda di partecipazione, firmata digitalmente o in maniera autografa, i professionisti in possesso dei seguenti requisiti:

    • Laurea Magistrale in discipline giuridico-economiche o contabili;
    • competenze specialistiche comprovate in materia di revisione legale, tecnica e deontologia professionale, principi contabili nazionali e internazionali, normativa societaria e commerciale, nonché nella rendicontazione di sostenibilità;
    • esperienza professionale consolidata, in particolare come:     
      • responsabile o componente di team di revisione presso società dotate di strutture formative interne;
      • docente universitario o relatore in istituti di ricerca nelle materie pertinenti;
      • membro di ordini professionali con ruoli attivi in ambito formativo.    

    L’incarico ha una durata di tre anni e non comporta compensi.

    Nella domanda occerre allegare un proprio cv in forma sintetica all’indirizzo:igf.ufficio15.rgs@mef.gov.it

  • IUC (Imu - Tasi - Tari)

    Bonus TARI: per chi scatta in automatico

    Con Delibera ARERA n 355/2025 vengono stabilite le regole per il bonus TARI 2025.

    La tassa sui rifiuti (TARI) è il tributo destinato a finanziare i costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ed è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte suscettibili di produrre i rifiuti medesimi.
    La TARI è stata introdotta, a decorrere dal 2014, dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014) quale tributo facente parte, insieme all’imposta municipale propria (IMU) e al tributo per i servizi indivisibili (TASI), dell’imposta unica comunale (IUC).

    Dal 2014, pertanto, la TARI ha sostituito il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), che è stato vigente per il solo anno 2013 e che, a sua volta, aveva preso il posto di tutti i precedenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria (TARSU, TIA1, TIA2).
    La legge 27 dicembre 2019, n. 160 (legge di bilancio per il 2020) ha successivamente abolito, a decorrere dall’anno 2020, la IUC e – tra i tributi che la costituivano – la TASI. 

    Sono, invece, rimasti in vigore gli altri due tributi che componevano la IUC, vale a dire l’IMU, come ridisciplinata dalla stessa legge n. 160 del 2019, e la TARI, le disposizioni relative alla quale, contenute nella legge n. 147 del 2013, sono state espressamente fatte salve.
    I comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico hanno la facoltà di applicare, in luogo della TARI, che ha natura tributaria, una tariffa avente natura di corrispettivo [art. 1, comma 668, della legge n. 147 del 2013].

    Vediamo in dettaglio quando fare domanda PER IL BONUS tari 2025 e quando scatta in automatico.

    Bonus TARI: per chi scatta in automatico

    Secondo quanto stabilito dalla delibera ARERA, il bonus è pari al 25% della TARI/tariffa corrispettiva dovuta dal cittadino e spetterà automaticamente senza esplicita domanda da parte degli utenti, a tutti i nuclei familiari che hanno presentato all’INPS una DSU (dichiarazione sostitutiva unica) e ottenuto un livello di attestazione ISEE sotto la soglia stabilita.

    In particolari le soglie ISEE ammontano a:

    • euro 9.530, 
    • euro 20.000 per famiglie numerose ossia con più di quattro figli a carico.

    Lo sconto per il 2025 partirà da febbraio 2026 e sarà applicato ai nuclei familiari che hanno ottenuto un’attestazione ISEE sotto soglia nel 2025.

    Il provvedimento detta tutte le regole che consentono l’identificazione degli aventi diritto e la corresponsione automatica del beneficio.

    Il provvedimento definisce anche gli obblighi informativi di tutti i soggetti coinvolti nel processo di erogazione anche ai fini del monitoraggio delle somme erogate.

  • Fatturazione elettronica

    Imposta di bollo fatture elettroniche 2° trimestre: entro il 30 settembre

    Entro il 30 settembre i soggetti obbligati devono provvedere al versamento dell’imposta di bollo delle fatture elettroniche relative al secondo trimestre 2025.

    Attenzione al fatto che al fine di ridurre gli oneri amministrativi a carico dei contribuenti, il Decreto Semplificazioni n. 73/2022 convertito nella legge n. 122/2022, ha introdotto semplificazioni per le modalità di versamento dell’imposta di bollo sulle fatture elettroniche, incrementando da 250,00 euro a 5.000,00 euro, il limite di importo entro il quale è possibile effettuare il versamento cumulativamente anziché in modo frazionato.

    Infatti, a partire dalle fatture quelle emesse dal 1° gennaio 2023: 

    • se l’ammontare dell’imposta di bollo dovuta sulle fatture del 1° trimestre non supera in totale 5.000 euro, la stessa potrà essere versata insieme all’imposta dovuta per il 2° trimestre, entro il 30 settembre, 
    • se l’ammontare dell’imposta complessivamente dovuta sulle fatture emesse nei primi due trimestri non supera l’importo di 5.000 euro, il pagamento potrà avvenire insieme con l’imposta dovuta per il terzo trimestre, entro il 30 novembre.

    Riepiloghiamo le regole necessarie a chi deve adempiere a questa scadenza.

    Bollo e-fatture: entro il 30 settembre pagamento per il II trimestre

    Con l’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica, prima verso le Pubbliche amministrazioni e poi verso i privati, l’articolo 6 del Dm 17 giugno 2014 ha disciplinato l’assolvimento dell’imposta di bollo sulle fatture elettroniche, prevedendo l’obbligo di riportare una specifica annotazione su quelle soggette a tale imposta e disponendo modalità e termini di versamento.

    L’annotazione di assolvimento dell’imposta di bollo sulla fattura elettronica avviene valorizzando a “SI” il campo “Bollo virtuale” contenuto all’interno del tracciato record della fattura elettronica.

    L’importo complessivo dell’imposta di bollo relativa alle fatture elettroniche deve essere versato dal contribuente mediante presentazione del modello F24 secondo le scadenze prestabilite.

    L’articolo 12-novies del decreto legge n. 34/2019 (come modificato dal Dm del 4 dicembre 2020) ha previsto che l’Agenzia delle entrate metta a disposizione dei contribuenti e dei loro intermediari delegati, all’interno del portale “Fatture e corrispettivi”, i dati relativi all’imposta di bollo emergente dalle fatture elettroniche emesse (elenco A), integrati dall’Agenzia con i dati delle fatture elettroniche che non recano l’indicazione dell’assolvimento dell’imposta di bollo, ma per le quali l’imposta risulta dovuta (elenco B).

    I soggetti Iva possono dunque verificare di aver correttamente assoggettato le fatture elettroniche all’imposta di bollo e, nel caso di omissione dell’indicazione del bollo sulle fatture emesse, possono confermare l’integrazione elaborata dall’Agenzia ed effettuare il versamento di tale imposta.

    Se, invece, i soggetti Iva ritengono che una o più fatture elettroniche oggetto dell’integrazione elaborata dall’Agenzia non debbano essere assoggettate a imposta di bollo, possono eliminarle dall’integrazione e fornire le relative motivazioni in sede di eventuale verifica da parte dell’Agenzia.

    Relativamente al pagamento, in generale, sulla base dei dati presenti negli elenchi A e B,  l’Agenzia delle entrate procede al calcolo dell’imposta di bollo dovuta per il trimestre di riferimento e ne evidenzia l’importo nell’area riservata del portale “Fatture e corrispettivi” entro il giorno 15 del secondo mese successivo alla chiusura del trimestre. Per il secondo trimestre, tale data slitta al 20 settembre.

    Il versamento dell’imposta di bollo deve essere effettuato secondo le scadenze stabilite all’articolo 6, comma 2, del Dm del 17 giugno 2014 e per il II trimestre 2025, occorre provvedere entro il 30 settembre.

    Sinteticamente ricordiamo che sono previste le seguenti modalità per il pagamento:

    • mediante addebito diretto dal conto corrente bancario del soggetto IVA. Il pagamento viene eseguito semplicemente indicando sull’apposita funzionalità web del portale “Fatture e corrispettivi” l’IBAN corrispondente al conto corrente intestato al contribuente, sul quale viene così addebitato l’importo dell’imposta di bollo dovuta. Una volta inoltrato e confermato il pagamento, avviene un controllo formale della correttezza dell’IBAN, verrà consegnata una prima ricevuta a conferma del fatto che la richiesta di pagamento è stata inoltrata. Successivamente ne verrà rilasciata una seconda, attestante l’avvenuto pagamento o l’esito negativo dello stesso.
    • mediante modello F24 già predisposto dall’Agenzia delle Entrate e scaricabile dal portale.

    I codici tributo da utilizzare, distinti in relazione al periodo di competenza, sono i seguenti:

    • 2521 – Imposta di bollo sulle fatture elettroniche – primo trimestre
    • 2522 – Imposta di bollo sulle fatture elettroniche – secondo trimestre
    • 2523 – Imposta di bollo sulle fatture elettroniche – terzo trimestre
    • 2524 – Imposta di bollo sulle fatture elettroniche – quarto trimestre

    in caso di ravvedimento per la regolarizzazione dell'omesso o insufficiente pagamento, i codici tributo da utilizzare per il versamento delle sanzioni e interessi sono:

    • 2525 – Imposta di bollo sulle fatture elettroniche – sanzioni
    • 2526 – Imposta di bollo sulle fatture elettroniche – interessi.

    Leggi anche Imposta di bollo fatture elettroniche 2° trimestre 2025: pagamento entro il 30 settembre

  • Principi Contabili Nazionali

    OIC 34: questionario entro il 30 settembre

    L’Organismo Italiano di Contabilità (OIC) in data 21 luglio aveva ha pubblicato un questionario allo scopo di raccogliere l’opinione degli operatori sugli aspetti applicativi che hanno generato maggiori difficoltà nell’applicazione dell’OIC 34 (“ricavi”) emesso nel 2023 ed è applicabile a partire dal 1° gennaio 2024, ricordiamo tutti i dettagli in vista della scadenza del 30 settembre prossimo.

    OIC 34: questionario entro il 30 settembre

    In particoalre, l’iniziativa di OIC trae origine da alcune richieste di chiarimento che hanno determinato l’avvio della post-implementation review (PIR) del principio e di semplificazione, anche al fine di favorire la sua applicazione e ridurre i rischi di contenzioso con le Autorità fiscali.
    L’OIC 34 si applica a tutte le transazioni che comportano l’iscrizione di ricavi derivanti dalla vendita di beni e dalla prestazione di servizi indipendentemente dalla loro classificazione nel conto economico.
    Con il questionario l’Organismo Italiano di Contabilità si propone di sondare gli operatori:

    • sui dubbi interpretativi riguardanti l’ambito di applicazione di OIC 34, 
    • la rilevazione dei ricavi, 
    • nonché il modo di contabilizzare alcune fattispecie specifiche come, ad esempio, le vendite con garanzia, le cessioni di licenze, le vendite con obbligo di ri-acquisto, 
    • di raccogliere suggerimenti su possibili aree di semplificazione.

    Gli elementi raccolti con le risposte al questionario, da inviare entro il 30  settembre, verranno analizzati dall’OIC al fine di valutare eventuali modifiche da apportare all’OIC 34.

  • IMU e IVIE

    Prospetto aliquote IMU: invio entro il 14 ottobre

    Dal 2025 è obbligatorio inviare il prospetto delle aliquote IMU da parte dei Comuni, tramite il portale federalismo fiscale.

    Ricordiamo che le delibere di approvazione del proseptto andavano approvate entro il 28 febbraio scorso.

    Successivamente il Dl n 84/2025 convertito in legge, ha previsto una proroga per gli enti locali consentendo maggior tempo per adempiere, ossia entro il termine del 15 settembre.

    Entro il prossimo 14 ottobre il prospetto approvato andrà inviato, vediamo con quali requisiti.

    Prospetto aliquote IMU: entro il 14 ottobre sul portale federalismo

    I Comun dovranno trasmettere il prospetto aliquote IMU entro il 14 ottobre prossimo.

    In caso contrario, per l’anno d’imposta 2025 verranno applicate le aliquote base dell’IMU, e non più quelle dell’anno precedente, come invece accadeva fino al 2024 in caso di inadempienza.

    Ricordiamo che l'IFEL, su questo adempimento, aveva pubblicato alcuni chiarimenti. In proposito eggi: Prospetto aliquote IMU 2025: il MEF pubblica le FAQ 

    Il MEF aveva chiarito che per tale adempimento è possibile consultare le: “Linee guida per l’elaborazione e la trasmissione del Prospetto delle aliquote dell’IMU dove viene evidenziato che il Prospetto aliquote IMU 2025 deve essere approvato con espressa delibera, la quale, però, non va trasmessa al Dipartimento delle finanze ma ne devono essere soltanto indicati gli estremi nella successiva fase di trasmissione del Prospetto.

    Conseguentemente, nel caso in cui il comune trasmetta comunque il testo della delibera approvativa del Prospetto, all’interno, ad esempio, della sezione relativa ai regolamenti dell’applicazione “Gestione IMU” oppure di altra sezione del medesimo Portale (non essendo più presente, a decorrere dall’anno 2025, l’apposita sezione per l’inserimento della delibera di approvazione delle aliquote IMU, sostituita da quella del Prospetto), il MEF procederà alla
    cancellazione della delibera stessa dall’applicazione.
    In merito al contenuto della delibera in questione, veniva anche precisato che, il Comune, nell’ambito della sua autonomia regolamentare, può determinarne discrezionalmente il tenore, purché rechi l’approvazione del Prospetto, il quale, ai sensi dell’art. 1, comma 757, della legge n. 160 del 2019, forma parte integrante della medesima delibera.

  • Reverse Charge

    Reverse charge: non spetta per alcuni prodotti in oro, vediamo quali

    Con la Consulenza giuridica n 13/2023 le Entrate replicano ad Associazione Alfa che chiedeva conferma dell'oggettivo superamento della Risoluzione n. 161/E dell'11 novembre 2005  e quindi della legittima applicazione del regime del reverse charge di cui all'articolo 17, comma 5, del Decreto IV anche per i manufatti auriferi di purezza pari o superiore a 325 millesimi sottoposti ad attività di assemblaggio e/o incastonatura in quanto rispettata la condizione di ''semilavorato'' imposta dall'articolo 1, comma 1, lettera c), numero 3 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 150. 

    L'Associazione, alla luce della normativa richiamata, ritiene che nel novero dei semilavorati rientrino anche quei prodotti finiti (ad esempio mollette per orecchini, moschettoni, anelli a molla, chiusure per anelli o bracciali, maglie varie, castoni e altri similari) che vengono sottoposti ad attività di montaggio (assemblaggio e/o incastonatura) finalizzate alla realizzazione di oggetti utilizzabili dal consumatore finale.

    Vediamo la replica ADE.

    Reverse charge: non spetta per alcuni prodotti in oro, vediamo quali

    Le Entrate ricordano che l'articolo 17, quinto comma, del Decreto IVA prevede che «… per le cessioni di materiale d'oro e per quelle di prodotti semilavorati, come definiti nell'articolo 1, comma 1, lettera c), numero 3 del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 150, di purezza pari o superiore a 325 millesimi, al pagamento dell'imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d'imposta nel territorio dello Stato. (…)».
    Per l'articolo 1, comma 1, lettera c), numero 3, del D.P.R. n. 150 del 2002, sono da intendersi semilavorati: «i prodotti di processi tecnologici di qualsiasi natura meccanici e non, che pur presentando una struttura finita o semifinita non risultano diretti ad uno specifico uso o funzione, ma sono destinati ad essere intimamente inseriti in oggetti compositi, garantiti nel loro complesso dal produttore che opera il montaggio».
    In merito all'ambito oggettivo di applicazione del citato articolo 17, quinto comma, la risposta alla consulenza giuridica n. 13 del 18 novembre 2020 chiarisce che ''In merito all'esatta nozione di ''materiale d'oro'' e di ''prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi'' (n.d.r. enfasi aggiunta), …., con le risoluzioni 26 ottobre 2001, n. 168/E, 28 novembre 2002, n. 375/E ed11 novembre 2005, n. 161/E prendendo a riferimento quanto detto dall'Ufficio Italiano Cambi (U.I.C.) e dalla Banca d'Italia si è ritenuto che con tale espressione il legislatore abbia inteso fare riferimento all'oro nella sua funzione prevalentemente industriale, ossia di materia prima destinata alla lavorazione, distinta, quindi, dall'oro da investimento di cui all'articolo 1, comma 1,
    lettera a), della legge n. 7 del 2000.
    (…)

    L’Agenzia delle Entrate ha ribadito che il reverse charge si applica solo ai beni auriferi semilavorati, quelli cioè destinati a una successiva lavorazione industriale. E sono considerati tali, a titolo di esempio:

    • rottami di gioielli d’oro ceduti per fusione e affinazione
    • beni d’oro usati, anche integri, destinati alla trasformazione industriale
    • polveri e paste contenenti oro, valutate per il contenuto aurifero

    Invece non rientrano nell'ambito dei semilavorati i prodotti finiti, quelli che hanno completato il loro specifico processo produttivo e non necessitano di ulteriori lavorazioni industriali (come chiarito con la risoluzione n. 161/E/2005 dedicata al caso delle montature di anelli o le chiusure per collane e bracciali), 

    L'Associazione aveva chiesto se rientrano nei semilavorati anche quei “prodotti finiti (ad esempio mollette per orecchini, moschettoni, anelli a molla, chiusure per anelli o bracciali, maglie varie, castoni e altri similari) che vengono sottoposti ad attività di montaggio (assemblaggio e/o incastonatura) finalizzate alla realizzazione di oggetti utilizzabili dal consumatore finale”.

    L'Agenzia non concorda con l'istante e ritiene che tali beni non rientrino nella categoria dei semilavorati perché l’attività di assemblaggio o incastonatura è distinta dalla trasformazione del metallo e non è a questa assimilabile, pertanto il meccanismo dell’inversione contabile non trova applicazione in questi casi e l’Iva deve essere assolta secondo le modalità ordinarie.

  • Operazioni Straordinarie

    Detraibilità IVA nella società in liquidazione

    Con la Risposta n 251/2025 l'ade replica a dubbi sulla detraibilità IVA delle società in liquidazione.

    In particolare, per l'agenzia durante la fase di liquidazione, una società può detrarre l’IVA su spese (es. legali, recupero crediti) se queste sono strumentali all’attività liquidatoria e non collegate a operazioni esenti pregresse.

    Per le Entrate la detrazione:

    • è ammessa se le spese servono a liquidare l’attivo/passivo, chiudere contenziosi o recuperare crediti;
    • non è ammessa se lle spese riguardano attività precedenti esenti da IVA e non più rilevanti per la liquidazione.

    Vediamo il caso di specie.

    Detraibilità IVA nella società in liquidazione

    ALFA S.r.l., società in liquidazione volontaria dal 2021, ha presentato un’interpello chiedendo se possa detrare l’IVA relativa a fatture ricevute da professionisti incaricati della gestione di contenziosi tributari e recupero crediti. 

    Si tratta di attività avviate dopo la cessazione dell’attività economica principale (esente ex art. 10 DPR 633/1972), e quindi pienamente riferite alla fase liquidatoria.

    La questione centrale è se, anche in assenza di operazioni attive nella fase di liquidazione, le spese professionali legali possano rientrare tra le operazioni che danno diritto alla detrazione.

    L’Istante ha sostenuto la detraibilità, richiamandosi all’inerenza di tali costi rispetto alla gestione dell’attività di liquidazione.

    L’Agenzia ha ricordato che la detrazione IVA è regolata dall’art. 19 del DPR 633/1972, coerente con l’art. 168 della Direttiva IVA 2006/112/CE.

    Il principio guida è quello dell’inerenza: l’IVA è detraibile solo se i beni o servizi acquistati sono utilizzati per operazioni soggette a imposta.

    Importante anche il chiarimento che la liquidazione non comporta automaticamente la cessazione dell’attività d’impresa: rientra nella sua fase finale, e le operazioni in tale contesto possono ancora essere considerate economiche, se finalizzate al realizzo o alla sistemazione del patrimonio societario.

    Nel caso di ALFA, le operazioni oggetto delle fatture (contenzioso tributario e recupero crediti) sono state considerate strumentali e funzionali all’attività liquidatoria. 

    In particolare, le spese legali erano legate alla definizione agevolata dei debiti e alla riconciliazione dei crediti residui: attività che rientrano tra gli scopi tipici della liquidazione volontaria.

    Di conseguenza, la detrazione dell’IVA è stata riconosciuta, a condizione che sia dimostrabile il nesso diretto tra le prestazioni ricevute e lo svolgimento dell’attività di liquidazione.

    La risposta dell’Agenzia non si discosta dalle aperture già emerse in alcune sentenze della Corte di Cassazione (ad esempio n. 12444/2011 e n. 9464/2018), in cui si affermava che la cessazione dell’attività esente riattiva il regime ordinario di detrazione in fase liquidatoria.

    Tuttavia, la novità di questa risposta n. 251/2025 risiede nell'applicazione pratica di tali principi a un caso operativo concreto, con un chiaro orientamento interpretativo favorevole al contribuente.

    Per i professionisti che assistono società in liquidazione, questo chiarimento rappresenta una conferma importante: se l’attività liquidatoria è svolta in modo documentato e le spese sono pertinenti, l’IVA può essere regolarmente detratta, anche in assenza di operazioni attive.

  • La casa

    Abitazione inidonea e prima casa: cosa accade se si acquista un altro immobile?

    La Cassazione con la Sentenza n 24478/2025 statuisce un principio molto importante sulla pre-possidienza ai fini della agevolazione prima casa.

    In particolare, un soggetto aveva acquistato un immobile con una sola camera da letto e una sala rispettivamente di 12 e 18 metri quadrati.

    Alla nascita di due figli gemelli la casa è divenuta inidonea alla vita della famiglia e veniva acquistato un nuovo immobile rimanendo il primo, inidoneo post parto, di proprietà della persona.

    Le Entrate hanno contestato l'agevolazione prima casa sul nuovo immobile sito nello stesso Comune, vediamo il ricordo e la decisione della Corte di Cassazione.

    Abitazione inidonea: non si perde la prima casa su altro acquisto

    La contestazione delle Entrate era basata sul fatto che la legge non consente di fruire del beneficio “prima casa” al contribuente già proprietario di un’abitazione sita nello stesso Comune in cui si trova l’immobile oggetto di compravendita.

    La Cassazione rin contrato con tale assunto, con la sentenza in oggetto ha affermato che la proprietà di un’abitazione non idonea deve essere parificata alla situazione del contribuente che non ha la proprietà di alcuna abitazione. 

    Pertanto, se il contribuente è proprietario, in un Comune, di un’abitazione inidonea, tale proprietà non impedisce di comprare un’altra abitazione con l’agevolazione prima casa a condizione: che la casa già di proprietà del contribuente e inidonea non deve esser stata acquistata con l’agevolazione. 

    Non si può ottenere il beneficio fiscale effettuando un nuovo acquisto, se non vendendo la casa inidonea prima di acquistare un’altra abitazione o al massimo entro il secondo anno successivo a questo nuovo acquisto.

    La cassazione in sintesi studiando il caso di specie ha statuito che il contribuente che abbia già acquistato un’abitazione con le agevolazioni “prima casa” non può ottenerle di nuovo, anche se quell’immobile è divenuto inidoneo all’uso abitativo.

    Fa cccezione la prepossidenza di immobile se:

    • l’immobile inidoneo non è stato acquistato con le agevolazioni “prima casa”;
    • ad esempio, se è stato ereditato o ricevuto in donazione, l'inidoneità oggettiva o soggettiva può rilevare e consentire un nuovo acquisto agevolato.